Parte 2
LA STORIA DI BRAD
Premette il tasto per scendere ai piani inferiori,ma l’ascensore non si mosse di un millimetro.
“Dannazione!” pensò uscendo lentamente dall’ascensore, coprendosi dalla luce abbagliante con il braccio. Una cosa che notò subito fu un rumore di acqua che scorreva da un tubo, ma lieve, quasi impercettibile. Non ci badò più di tanto.
Da quello che ricordava quel corridoio aveva tredici o quattordici stanze, non erano i numeri il suo problema in quel momento, ciò di cui aveva bisogno era trovare l’uscita di quell’ospedale e sperare che Logan lo raggiungesse al più presto.
Doveva esserci un’uscita di sicurezza: delle scale o un ascensore secondario. Si bloccò di fronte alla stanza S8 chiudendo per un attimo gli occhi per ricordare dove poteva trovare quell’unica via di fuga. Non ci riuscì, quel continuo scroscio di acqua gli impediva di concentrarsi, ma in compensò poté individuare da dove provenisse, dalla stanza delle docce, proprio lì accanto.
Senza esitare, senza neanche un perché si diresse verso quella stanza, più che altro gli parve che qualcosa lo stesse, in un certo senso, richiamando. Girò il pomello e aprì la porta. Tutto in perfetto stato, i neon funzionavano a intermittenza, oscurando e illuminando alternatamente la stanza, l’ambiente era pieno di vapore acqueo, le docce che facevano scorrere acqua calda incessantemente erano più di una. Non capì perché quella stanza l’aveva attratto, perché era andato ad aprirla. Stava per andare via quando un rumore metallico attirò la sua attenzione, in quella stanza, vicino ad una delle docce qualcosa era appena caduta sul pavimento.
Avvicinandosi notò che si trattava di una chiave che serviva ad aprire la Day Room del terzo piano, o per lo meno, la targhetta che la contrassegnava specificava così. La prese stirando la mano sinistra, e la osservò a lungo. Quindi era per questo motivo che era irragionevolmente entrato lì dentro? Come se per un motivo o un altro sapesse già che lì si trovava quella chiave.
Improvvisamente udì le portiere dell’ascensore chiudersi per poi scendere ai piani inferiori. Sperò che si trattasse di Logan, ma poteva benissimo trattarsi di qualcos’altro, per cui non ci pensò due volte ad uscire dalla stanza delle docce e correre verso la fine del corridoio, dove credeva si trovasse la Day Room se la planimetria di quel piano era simile o uguale a quella del piano in cui aveva incontrato Logan.
Era immerso nel buio, e per evitare di sbattere contro qualche muro tenne le mani tese in avanti. Come aveva supposto toccò il metallo di un portellone che non riuscì ad aprire perché chiuso a chiave. Un mezzo sorriso di ironia si tinse sul suo viso, doveva immaginarlo, ecco perché qualcosa l’aveva spinto a prendere quella chiave. Nonostante quell’ambiente buio lo rendesse cieco riuscì ad inserirla nella fessura e a far scattare la serratura, aprendo quindi il portellone.
Dentro la Day Room i neon erano funzionanti e Brad ne trasse sollievo: quel posto gli sembrava uno dei più sicuri dell’intero edificio, non era stato malmesso, e non sembrava essere degenerato come tutti gli altri luoghi dell’ospedale.
Al contrario, poté notare come il pavimento piastrellato era tanto lucente da potersi specchiarci, i quattro vasi con delle piante esotiche messi rispettivamente ai quattro angoli della stanza non erano stati toccati, e il tavolino in vetro al centro della stanza era integro. Si sentiva al sicuro e una parte di sé voleva restare in quella stanza aspettando che Logan potesse passare di lì, ma l’altra sapeva benissimo che non era affatto prudente stare fermi in un luogo come quello, accogliente o meno che fosse. Non poteva fare altrimenti, avrebbe cercato un’uscita di sicurezza e avrebbe aspettato Logan fuori da quell’edificio.
Uscì dalla Day Room e notò come il buio faceva nuovamente da padrone all’intero edificio. Diede un’occhiata dietro cercando di prendere una parte della calma di quell’androne e tenerla per sé.
“Andiamo” pensò prendendo un respiro profondo, per poi chiudere il portellone che riecheggiò in tutto il corridoio.
Il suo cuore riprese a battere più velocemente, la prudenza si impossessò nuovamente di lui e iniziò a camminare alla cieca. Pensò nuovamente che tutto quello che gli stava capitando si trattasse solo di un incubo dal quale si sarebbe svegliato presto.
Sua madre gli avrebbe preparato la colazione e sarebbe andato a scuola come tutti i giorni,avrebbe trascorso una piacevole giornata, il pomeriggio a giocare con gli amici per poi tornare nuovamente a sognare. Sapeva che tutto questo si trattava di un incubo, ma era reale, lo sentiva dall’odore, da come ogni minimo dettaglio era curato, da come la paura e il terrore lo accompagnavano, ma illudersi che si trattasse tutto di un sogno in parte lo tranquillizzava.
Senza rendersene conto notò c’era una lieve luce rossastra in fondo al corridoio e sapeva anche di cosa si trattava. Corse subito verso l’uscita di sicurezza contrassegnata con un’indicazione luminosa con su scritto ‘EXIT’, e scendendo sei rampe di scale poté dirigersi al pian terreno. Con un sorriso sulle labbra e libero di un peso che si portava dentro da parecchie ore, andò verso l’ingresso del Brookhaven Hospital. Girò il pomello, e il peso di cui si era liberato pochi attimi prima riprese il suo posto dentro di sé.
«NO!» urlò continuando a tenere in mano l’impugnatura della porta.
Mai tanto sconforto si era impadronito di lui. Tutti i suoi sforzi erano stati vani, perché l’ingresso dell’ospedale era chiuso.
LA STORIA DI LOGAN
Dolorante tamponò la ferita alla spalla causata dal coltello impugnato dall’infermiera, o meglio, ciò che sembrava essere un’infermiera. Il sangue fuoriusciva copiosamente. Doveva trovare qualcosa con cui medicare quel taglio, o almeno, per arrestare l’emorragia. La ferita pulsava come se il cuore si trovasse proprio lì, e ad ogni pulsazione una quantità di sangue fuoriusciva, ma nonostante tutto si riteneva fortunato: se non si fosse scansato in tempo di sicuro sarebbe morto con la gola tagliata nel giro di pochi minuti.
Non aveva possibilità di riposarsi, accasciarsi a terra per riprendere le forze, perché sapeva che qualunque cosa lo avrebbe potuto prendere alla sprovvista.
Diede un’occhiata alla mappa, al secondo piano vi era la camera per le infermiere, di sicuro lì dentro avrebbe trovato qualcosa per curare la ferita, ma se così non fosse stato? Quel luogo non era più un ospedale, era un luogo malsano, decadente e putrefatto.
“La speranza è l’ultima a morire” pensò dirigendosi verso la fine del corridoio, ispezionando cautamente ogni singola stanza, ovviamente tutte bloccate. Arrivò al portellone della Day Room, cercò di aprirlo ma il pomello girava a vuoto. L’unica uscita era quella alla sua sinistra che dava al corridoio centrale del terzo piano, sfiorò con le dita il pomello per aprire la porta quando udì in lontananza le portiere dell’ascensore chiudersi per scendere ai piani inferiori. Si voltò istintivamente verso quella direzione rimanendo all’erta, ma il silenzio e il buio occupavano quel corridoio, non c’era nient’altro.
Girò il pomello della porta, non distogliendo lo sguardo dal corridoio, e poté confortarsi nel constatare che la porta era aperta. Non appena entrò dentro, lo sbattere di una porta poco più in là di lui lo fece sobbalzare. La prima cosa che pensò, fu che si potesse trattare di Brad che, solo e spaventato, era corso via non appena avesse udito il minimo rumore.
Decise quindi di dirigersi verso la fonte del suono poco prima udito che riecheggiava ancora lievemente nel silenzio di quel luogo. Controllando la mappa vide che si trattava della porta che dava nella stanza dei trattamenti speciali, ai piedi di essa c’era una pozza di sangue fresco che per un attimo impressionò il ragazzo che non riusciva a distogliere lo sguardo. Chiuse gli occhi ed entrò dentro. Una forte puzza di muffa e sangue impregnava quella stanza, ma non ci badò molto, perché la sua attenzione ricadde in una delle quattro camere riservata ai pazienti con problemi mentali. Infatti, dietro l’unica porta non sbarrata da una recinzione e da filo spinato,un telefono squillava incessantemente. Aprì la porta e non la richiuse dietro di sé, dirigendosi verso il telefono che stranamente non era collegato a nessuna presa telefonica.
Alzò la cornetta e stette in silenzio nell’attesa che qualcuno rispondesse, ma dall’altra parte del telefono, chiunque ci fosse, non parlò.
«Pronto?»
«Ciao bel fusto.»
Udendo quella voce gli scappò la cornetta dalle mani dalla paura. La riconobbe all’istante, d’altronde non poteva dimenticare la voce della donna che l’aveva legato ad una barella lasciandolo in balia di nessuno, con un foro di proiettile al petto. Si trattava della stessa infermiera pazza che aveva visto in quella visione o sogno, qualunque cosa fosse. Sentì ridere dall’altra parte della cornetta nonostante non l’avesse poggiata all’orecchio, e quella risata gli fece raggelare il sangue. Non capiva, la sua testa era così piena di domande.
L’aveva realmente vista? Era stato davvero legato in quella barella con un proiettile conficcato nel polmone? Per quanto ne sapesse, poteva benissimo essere ancora lì.
Riafferrò la cornetta.
«Che cosa vuoi?» chiese Logan.
«Che cosa voglio? Io non voglio nulla Logan» fece una pausa ridacchiando «Non da te almeno»
La prima persona a cui pensò in quel momento, fu Brad. Ebbe il timore che fosse in pericolo, in mano a quella donna.
«Dov’è Brad? Giuro che se gli torci anche un solo capello ti farò…»
«Calmo, calmo. Il ragazzino è al sicuro» fece una pausa che riempì Logan di sconforto e ansia «Ovviamente se è riuscito a sopravvivere da solo.»
«E allora perché …»
«Perché volevo semplicemente divertirmi, e poi volevo vedere fino a che punto ti saresti spinto oltre per trovare ciò per cui sei qui»
Sgranò gli occhi, come se avesse ricevuto una seconda pugnalata oltre quella inferta dalla creatura. L’aveva immaginato ricordandosi delle parole che le aveva detto la donna prima di sparire dalla sala ambulatoria in cui l’aveva legato.
“Siamo arrivati, ma come avrai già immaginato, tua sorella Cindy non è qui”
Così gli aveva detto, e adesso gli stava dando una seconda provocazione. Era sicuro che lei sapesse tutto, che sapesse dove si trovava sua sorella, come fosse possibile non ne era a conoscenza, ma doveva strapparle assolutamente delle informazioni.
«DOV’È?!» urlò.
Come risposta ottenne una di quelle risate inquietanti.
«RISPONDIMI!»
«Tutto a suo tempo Logan.»
«TUTTO A SUO TEMPO?! SEI TU LA CAUSA DELLA SUA SCOMPARSA?» le chiese continuando ad urlare.
«Scoprirai tutto da solo, senza che nessuno ti dica nulla» rise per l’ennesima volta «Altrimenti dove sarebbe il bello?»
«Tu sei pazza!»
«Forse, dopotutto chi non lo è in questo mondo? Vediamoci all’ingresso dell’ospedale>>
«Cosa?!»
Non poté finire la frase che la donna dall’altra parte riagganciò.
In preda alla rabbia e alla furia Logan afferrò il telefono e lo scagliò contro il muro urlando, nonostante la ferita alla spalla stesse ancora sanguinando.
Così vicino e allo stesso tempo così lontano da ciò che cercava.
I suoi pensieri si confusero, pensò a Cindy, pensò al ragazzino che aveva perso di vista, pensò a sé stesso e a cosa fosse disposto a fare per stringere tra le sue braccia nuovamente sua sorella. Per i forti pensieri e per la debolezza che aveva addosso perse il controllo delle sue gambe e si accasciò a terra contro la sua volontà. Poggiò le mani sul pavimento umido e Logan non seppe se le sue mani stessero toccando acqua o sangue. Alzò lo sguardo verso il soffitto nel quale una ventola di ferro girava spinta da non si sa quale motore nascosto nei meandri di quell’inferno.
Dove era finito? Tanta era la determinazione che aveva in corpo da farlo sprofondare in un mondo come quello, in una città che non aveva nulla di normale. Si, avrebbe attraversato ogni pericolo che gli si fosse parato davanti pur di arrivare fino in fondo.
Si rialzò a fatica e controllò la mappa. Senza pensarci due volte si diresse verso le scale d’emergenza che l’avrebbero condotto ai piani inferiori. Scese velocemente, rischiando più di una volta di scivolare e cadere giù rompendosi sicuramente qualche arto, e in quel momento era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Arrivò di fronte alla porta che l’avrebbe condotto al corridoio centrale del primo piano, ma inspiegabilmente notò una cassetta del pronto soccorso ai suoi piedi. Non sapeva se qualcuno gliel’avesse lasciata lì di proposito o se fosse stata solo fortuna, ma non stette lì a riflettere più di tanto.
Si accasciò a terra per medicarsi la ferita posando il tubo di ferro accanto a sé. Levò con fatica la felpa e la maglietta per agevolare tutto, prese acqua ossigenata,disinfettante,garze e bende. Non aveva mai frequentato alcun corso di pronto soccorso, ma in quel momento non aveva nessuno per potergli curare quella ferita, avrebbe dovuto fare tutto da sé. Non appena versò l’acqua ossigenata sulla ferita urlò a denti stretti di dolore alzando la testa e chiudendo gli occhi. Quando il dolore svanì, con il fiatone, passò il disinfettante con un tampone, che non gli provocò dolore ma che in compenso gli procurò una sensazione di bruciore abbastanza sopportabile. Il grosso era passato, mise delle garze, delle bende e si rivestì, faticando per rialzarsi.
Uscì fuori, e dirigendosi verso l’ingresso dell’ospedale, udì la risata angosciante di quella donna. La vide di fronte al portellone dell’ingresso con le mani sporche di sangue, l’espressione sadica e folle che ricordava in volto e il camice da infermiera logoro.
«Ehi bel fusto, ci hai messo un po’»
Stette in silenzio, fermo come una statua, osservando negli occhi la donna.
«Cominciavo a dubitare delle tue capacità» riprese «Immaginavo che avessi una brutta ferita, per cui ti ho fatto trovare dei medicinali per poterti curare»
«Chi sei tu? A che gioco stai giocando? Prima mi leghi ad una barella lasciandomi lì solo, a morire dissanguato, e adesso ti preoccupi per me?» disse impassibile il ragazzo non provando un minimo di gratitudine per la donna.
La donna osservò le sue vesti.
«Chi sono io non è importante. Per quanto mi riguarda, curare la gente è il mio mestiere» disse per poi trattenere una risata «E poi non voglio che ti succeda nulla di male»
«Brutta stronza bugiarda! Di chi è quel sangue?» chiese alzando il tono della voce.
«Se te lo dicessi cosa cambierebbe?» gli chiese restando ferma «Potrebbe essere di chiunque, di qualcuno che conosci o di qualcuno che non conosci.»
«Dov’è Brad?» chiese afferrando il tubo di ferro con entrambe le mani.
«Domanda sbagliata Logan, ritenta, sarai più fortunato»
«Dove si trova?!» chiese nuovamente stringendo la presa del tubo di ferro.
«Avresti il coraggio di attaccarmi senza che io abbia la possibilità di difendermi?»
Rimase in silenzio, non le avrebbe potuto fare del male, non ne avrebbe avuto il coraggio, e lei lo sapeva.
«Tic, tac, tic, tac. Il tempo passa Logan, e ad ogni minuto perso, il tuo obiettivo si allontana sempre di più»
«Lo so che lo sai … dimmelo! Dove si trova il ragazzino?»
«Logan…»
«DIMMELO!» urlò osservandola ma rimanendo immobile al suo posto «DOVE SI TROVA BRAD?!»
«Non lo so, sei soddisfatto adesso? E adesso passiamo alla seconda domanda»
Continuava a provocarlo.
«Cosa sai di Cindy?» disse ricomponendosi
La donna cominciò a ridere «Perché vuoi trovarla?»
«Dimmi solo quello che sai e sparisci dalla mia vista»
L’infermiera si avvicinò a passo lento al ragazzo.
«La cerchi perché sei solo, perché non hai nessuno, nessuno che ti possa capire o ascoltare, perché tu non vuoi nessuno» gli disse alzando la mano per toccarlo in viso.
«NON TOCCARMI!» urlò ritirandosi indietro, dando per istinto un colpo di tubo di ferro alla cieca con l’intenzione di colpire la donna che gli stava di fronte «DIMMI DOVE SI TROVA CINDY! ORA!»
«Mi avresti spezzato le gambe con quel colpo» disse la donna impassibile, come se non avesse notato la sfuriata del ragazzo.
«TI ROMPERO’ OGNI SINGOLO OSSO DEL CORPO SE NON MI DIRAI QUELLO CHE VOGLIO SAPERE!» continuò ad urlare osservando l’infermiera.
«Non è così che funziona bel ragazzo»
La osservò con odio «Dovrei ucciderti per quello che mi hai fatto passare» le disse a denti stretti.
«Ti ho aiutato, ancora non riesci a capirlo? Ti sto dando una possibilità Logan» disse sorridendo beffarda.
«Smettila di parlarmi così, quello non era un aiuto! Non era una possibilità di trovare mia sorella!»
Si mise le mani alla testa, stava perdendo la ragione, parlare di Cindy con l’unica persona che sapeva qualcosa su di lei, e non ricevere alcuna informazione, lo stava facendo diventare matto. Urlò al nulla alzando la testa verso il soffitto, mentre la donna lo osservava con un ghigno in faccia.
«Chi ti ha detto che la possibilità che ti stavo offrendo, era per trovare tua sorella? Ti illudi con nulla»
Riabbassò lo sguardo, e con passo spedito si diresse verso la donna afferrandola improvvisamente per il collo ma senza fare pressione, e sbattendola con la schiena al muro. La vide da vicino, i suoi occhi erano castano chiari, mentre la pelle era rosea e liscia, curata nei minimi dettagli. Il naso era storto, ma erano gli abiti e il copricapo a rendere sadico il suo aspetto. Poté sentire il suo fiato caldo ma che odorava di menta.
«Dimmi dove si trova mia sorella» le disse stringendo i denti.
La donna cominciò a ridere nonostante il gesto del ragazzo.
«Che gentiluomo che sei ragazzo mio» gli sussurrò guardandolo nei suoi occhi color ghiaccio.
«Invece di parlarmi a metafore del mio comportamento perché non passiamo alla parte in cui mi dici cosa sai di me e come sai di mia sorella?» continuò a dirle non distogliendo lo sguardo dai suoi occhi.
La donna fece una smorfia di disgusto.
«Che alito pesante che hai, vuoi una mentina?» disse trattenendo una risata
Il ragazzo la sbatté nuovamente al muro non mollando la presa dal suo collo.
«Ti sembra che abbia voglia di scherzare?» le chiese stringendo sempre di più i denti per l’odio che provava verso quella persona.
L’infermiera, ridacchiando, appoggiò le sue mani al petto del ragazzo spingendolo via leggermente, e Logan mollò la presa istintivamente osservandola camminare verso la reception. Ad ogni passo l’eco del rumore dei tacchi rimbombava ovunque.
«Quindi non l’hai ancora capito?» gli chiese girata di spalle mentre girava in tondo all’ingresso dell’ospedale.
«Non ho capito cosa?»
«Niente, lascia perdere. Non sei ancora pronto» disse uscendo una chiave dal camice che indossava.
«Non sono pronto per che cosa? Di che stai parlando?!»
Ottenne una risata come risposta e l’odio di Logan che provava per quella donna continuò ad aumentare.
«Logan, non hai ancora chiaro il concetto che qui non funziona in questo modo, non sono io a dover dare risposte alle tue domande» gli spiegò, giocherellando con la chiave tra le mani «Le risposte devi trovarle tu stesso, da solo, senza l’aiuto di nessuno. Tantomeno con le minacce»
Il ragazzo continuava ad osservarla fissa.
«Dimmi almeno il tuo nome, se mi è consentito saperlo, dato che inspiegabilmente tu conosci il mio» le disse «Oppure devo scoprire da solo anche quello?»
La donna sorrise con lo sguardo abbassato rivolto alla chiave che teneva in mano.
«Non che la cosa non sarebbe divertente, in ogni caso sono Gwen» gli rispose senza alzare lo sguardo e continuando a distrarsi con la chiave «Gwen Howard» aggiunse osservando finalmente il ragazzo.
Senza tante formalità si diresse verso la porta d’ingresso.
«Ehi dove credi di andare?» chiese Logan
«Un po’ qui. Un po’ lì» rispose aprendo la porta con la chiave e uscendo.
«Aspetta!»
La porta si chiuse con un tonfo rimbombante, tanto che il ragazzo pensò che l’intero edificio potesse crollare per il forte rombo.
Andò verso l’uscita e provò ad aprire l’ingresso, ma era inspiegabilmente chiuso.
«Maledetta!» urlò dando un calcio alla soglia dell’ospedale.
Era bloccato lì dentro, e tutta la discussione che aveva avuto con la donna gli era stata praticamente inutile. Chiuse gli occhi e rannicchiandosi si portò le ginocchia alla testa, pensando ancora alle parole di Gwen, mentre in lontananza udì nuovamente la sirena che aveva udito già varie volte. Durò a lungo e per tutta la durata del lungo suono stette rannicchiato.
“Sono in trappola” continuò a pensare non riuscendo a togliersi dalla testa l’immagine di quella donna che lo provocava.
«LOGAN!» udì da lontano, e senza alzare la testa ringraziò Dio per aver fatto sì che quella voce colpisse le sue orecchie.
«Brad!» disse stupito.
Non ebbe il tempo di alzare lo sguardo che si ritrovò abbracciato al ragazzino che gli si buttò addosso. Lo strinse a sé per sentire il contatto con un umano, lo strinse a sé per capire che era realmente lì e che nulla gli aveva fatto del male. Poggiò il mento nella spalla del ragazzino accarezzandogli la testa, notando come tutto era tornato alla normalità.
«Stai bene?» gli domandò vedendo che Brad annuiva con la testa.
«E tu come stai?»
“Ho una ferita alla spalla e ho incontrato la donna più strana che abbia mai conosciuto” pensò, ma non gliel’avrebbe detto, non gli avrebbe detto niente.
«Sto bene» gli disse «Perdonami se non sono stato con te»
«Non preoccuparti»
«Ne parleremo con più calma, adesso troviamo un modo per uscire di qui»
«La porta è chiusa, ho provato ad aprirla, ma la serratura è chiusa a chiave e …» si bloccò per osservare un punto a terra.
Per un istante Logan ebbe il terrore che qualche strana creatura gli si stesse avvicinando silenziosamente pronta ad ucciderlo, ma non c’era niente, al contrario vide una chiave sopra un foglio di carta.
«Impossibile» sussurrò il ragazzino andando a prendere la chiave «Prima non era qui»
L’etichetta della chiave faceva chiaramente capire che la porta che avrebbe aperto si trattava proprio dell’ingresso dell’ospedale.
Prese anche il foglio di carta dove vi era una scrittura lineare e chiaramente leggibile.
Lo troverai alla Ridgeview Medical ClinicSotto, con del rossetto rosso, vi era l’impronta di un bacio.
Brad non aveva idea di come fossero potuti sfuggire ai suoi occhi entrambi gli oggetti, ma Logan sapeva chi li aveva lasciati.
Alzò lo sguardo verso il ragazzino, non credeva ancora di ritrovarselo di fronte. Gli sorrise e lo abbracciò nuovamente.
«Non ti lascerò solo nuovamente» gli sussurrò all’orecchio «Anche se dovessimo attraversare l’inferno insieme»
Si rialzò e usò la chiave per uscire dal Brookhaven Hospital per tornare a rivedere la luce del giorno.
Edited by °Xander° - 10/8/2009, 20:18