Grazie mille ragazzi, è sempre bello leggere i vostri commenti ^^
16
Parte 1
È curioso come nella vita ci siano quegli eventi chiamati coincidenze. Ogni giorno si presentano di fronte agli occhi della gente, il più delle volte non se ne viene a conoscenza; ma quando ci si accorge di una coincidenza si rimane affascinati e inquietati allo stesso tempo.
Ma trovarsi improvvisamente di fronte ad una porta di una camera con impresso il medesimo numero che aveva immaginato di vedere nella data del suo orologio, quella stessa mattina, per Logan non si trattava di una coincidenza. Era ormai giunto alla conclusione che le coincidenze a Silent Hill non esistessero, tutto avveniva per una ragione; lo scopo di tutto, era quello di cercare di capire quale fosse. No, quel numero non l’aveva soltanto immaginato, l’aveva chiaramente visto prima di dare in mano l’orologio a Brad; e per di più, i suoi piedi l’avevano condotto senza che se ne rendesse conto alla camera contrassegnata con il numero ventuno.
L’indecisione prese il sopravvento nella testa di Logan: continuare il suo tragitto verso la sua camera, dove Brad lo stava aspettando, oppure cercare di capire se tutto ciò si trattasse realmente di una coincidenza o meno.
Stette minuti immobile, a scegliere la decisione più giusta, e nello stesso tempo ad osservare la porta, soprattutto la targhetta di metallo indicante il numero della camera.
“Beh, in fondo Brad è al sicuro all’interno della stanza” pensò, deciso a scoprire cosa si celasse dietro quella porta.
Stirò la mano per toccare il talloncino di metallo con inciso il numero, ma non appena lo sfiorò, un dolore acuto alla testa lo tramortì, come se un trapano stesse perforando il suo cranio dall’interno. Fu così lancinante e improvviso che i muscoli delle gambe cedettero al peso del proprio corpo, costringendolo a restare in ginocchio. Chiuse gli occhi mettendosi entrambe le mani alle tempie lasciando cadere il tubo di ferro, il cui suono rimbombò ovunque. Scosse la testa violentemente quando la vista, da sotto le palpebre chiuse, gli si schiarì in un fulmineo bagliore bianco. Un secondo e un terzo lo fecero urlare di dolore. Strinse i denti, con una forza tale, che per poco non gli sarebbero saltati via dalle gengive, ma in quel momento Logan non pensava al suo apparato dentale, non pensava a niente, il dolore era così intenso da negargli qualunque pensiero. Poi ad un tratto il dolore cessò.
Ancora inginocchiato e ad occhi chiusi, respirava affannosamente, ed ebbe l’impressione che il suo cuore stesse pompando più litri di sangue del dovuto. Riaprì lentamente gli occhi, tentando di rimettersi in piedi. Bastò un’ occhiata al pavimento per fargli emettere un grido di orrore.
«No! No!» urlò quando constatò che la notte era calata e che era stato ripiombato in quell’incubo in cui era già stato sotto la galleria o all’interno dell’ospedale.
Ma questa volta fu differente, non era stato il mondo intorno a sé a cambiare, ma più che altro ebbe l’impressione di essere stato, senza alcuna spiegazione, lui stesso ad entrare in quell’ inferno. Alzò lo sguardo verso la porta che non era più in legno ma d’acciaio arrugginito. Nonostante fosse logora il numero ventuno risplendeva in tutta la sua lucentezza.
«Fanculo» disse osservando con odio il numero, mentre con la mano sinistra afferrò nuovamente il tubo di ferro.
Si voltò e, come per le precedenti volte, notò come tutto fosse cambiato nonostante si trovasse ancora all’interno del motel. La pavimentazione consisteva in lamine di ferro mentre alcuni muri erano ricoperti da teloni sudici e intrisi di umidità. Alcune porte erano state buttate giù mostrando ciò che vi era all’interno delle camere, mentre altre erano sbarrate da assi di legno o murate in cemento.
“Brad” pensò immediatamente.
Senza esitare, corse verso la sua stanza, nonostante la ferita cicatrizzata alla coscia lo costringesse a muoversi al rilento, orientandosi con la luce della torcia che illuminava l’ambiente circostante. Erano ormai giorni che era arrivato a Silent Hill e assisteva a cose simili, ma non aveva ancora capito di cosa si trattasse e perché succedesse. Notò con stupore e un accenno di paura che la ferita alla spalla gli doleva al punto da costringerlo a poggiarci la mano mettendola a contatto con il cotone della maglietta e, di conseguenza, provocandogli un dolore acuto. Ma talmente tanto era il desiderio di andare nella sua stanza, per poter dare a Brad tutta la protezione di cui aveva bisogno in un luogo come quello, che il dolore fu messo in secondo piano. Ma a quest’ultimo pensiero rise mentre correva senza sosta, a chi doveva dare protezione? Ad un ragazzo che gli aveva salvato la vita e che durante il suo periodo di incoscienza gli aveva dato le massime cure necessarie per la sua guarigione? No, il ragazzino non aveva bisogno della sua protezione ma della sua presenza, necessitava di lui al suo fianco in quel luogo malsano.
Durante la sua corsa, si accorse che un pilone di un enorme mulino tagliavento gli ostacolava la strada impedendogli di arrivare a destinazione. Si bloccò di fronte al grande palo di ferro arrugginito, alzò gli occhi vedendo le tre pale, anch’esse arrugginite, ruotare senza sosta emettendo suoni agghiaccianti di metallo graffiato. Cercò invano di aggirare l’enorme pilastro, occupava l’intera via, e l’unico modo per poter passare era arrampicarsi su di esso. Cosa alquanto impossibile data la mancanza di appigli sui quali potersi aggrappare per salire in cima. Guardò nuovamente in alto il pilone che si stagliava in tutta la sua maestosità nel nero del cielo mentre il mulino continuava a ruotare.
«BRAD!» gridò con la speranza che la sua voce arrivasse alle orecchie del ragazzino all’interno della sua camera.
Lo smarrimento si fece largo dentro di sé, non aveva alcuna mappa per orientarsi, e non sapeva da che parte potesse andare. Si maledisse per non essere andato alla reception a prendere qualche bibita e tornare immediatamente dal compagno. Aveva preferito fare le cose di testa sua per ben due volte piuttosto che stare con lui: uscendo e andando verso la camera nella quale aveva trovato il cadavere putrefatto, e scegliendo di vedere cosa si celasse dietro la camera ventuno. In un certo senso sentiva di meritarsi una cosa del genere, un viaggio in quell’incubo, a causa della sua prepotenza.
Non poteva far altro che tornare indietro, amareggiato e preoccupato per Brad. L’aria era pesante e calda, neanche un alito di vento colpì il suo viso. Si voltò, ricominciando a correre verso la stanza che l’aveva condotto in quel luogo angosciante. Non udiva nulla, solamente il suo respiro affannato e le scarpe, che battevano, ad ogni passo sulle dure lamine di ferro. In lontananza udì ancora il rumore cigolante delle pale del mulino tagliavento che gli aveva sbarrato la strada.
Era strano che non ci fosse nessuna di quelle creature, non ne aveva più viste dall’ultima volta che era strato aggredito. Da una parte ne gioiva, ma dall’altra provò un forte senso di insicurezza. Era sicuro che quegli esseri fossero lì, da qualche parte, magari nascosti, in attesa che lui abbassasse la guardia per pochi secondi, e solo allora lo avrebbero attaccato di sorpresa, impedendogli di difendersi. Per questo motivo, durante la corsa affannata, aveva persino paura di battere le palpebre. Stringeva a sé il tubo di ferro con entrambe le mani, quando improvvisamente udì qualcosa in lontananza. Gli parve che un oggetto di dimensioni enormi fosse caduto sul pavimento di ferro provocando un immenso boato. La prima cosa che pensò, fu che il mulino che l’aveva ostacolato, fosse collassato su sé stesso permettendogli, quindi, di proseguire. Ma dopo pochi secondi, quando l’enorme rombo cessò, riuscì ancora ad udire, come un’eco lontana, il rumore cigolante della pale che continuavano a ruotare.
Arrivò nuovamente alla stanza ventuno con il fiato corto, appoggiò la mano al muro incrostato di ruggine, per prendere fiato. Era stanco, e la ferita alla spalla non agevolava di certo la situazione, impedendogli di riprendersi più velocemente. La tastò da sopra la felpa e strinse i denti quando il dolore si fece sentire come se un ferro rovente lo avesse trafitto. Doveva necessariamente trovare Brad e andare alla clinica medica, dove avrebbero trovato cure specifiche per calmare l’infezione.
Si voltò verso la porta, il cui numero rifulgeva di una luce che sembrava appartenergli per natura, e un’idea gli balenò in testa come un colpo di genio. Se toccando la targhetta era arrivato in quell’incubo, toccandola di nuovo, probabilmente, sarebbe ritornato tutto alla normalità. Rise subito dopo averlo pensato, come poteva essere tanto stupido? Non avrebbe funzionato. Era una cosa così scontata che non ci sperò più di tanto. Con il sorriso sarcastico ancora stampato in faccia stirò la mano per toccare la targhetta, ma accadde qualcosa che gli cancellò quel sogghigno dal viso; poteva aspettarsi di tutto, tranne che essere scaraventato dalla parte opposta del viale sulla quale stava correndo, compiendo un arco in volo di due metri.
Urtò, con forza, il muro con la schiena che gli parve si fosse spezzata, mentre i muscoli completamente irrigiditi non riuscirono a mantenerlo in piedi. Cadde al suolo, tossendo e emettendo rochi versi di dolore.
“Ma che diavolo è successo?” si chiese per poi alzare gli occhi verso la porta, dal lato opposto del vialetto del motel.
Scosse la testa per riprendersi dal trauma, non gli era mai capitato di essere scagliato per due metri contro un muro. Di qualunque cosa si trattasse, aveva capito il vero intento del ragazzo e gliel’aveva impedito. Si rialzò a fatica, facendo forza sulle braccia e, barcollando, si diresse nuovamente davanti alla porta guardandola attentamente. Abbassò lo sguardo e, piegandosi sulle ginocchia, afferrò un ciottolo. Lo lanciò con potenza contro la porta ma non successe nulla, nessun rimbalzo o forza mistica scagliò, come un siluro, il sassolino verso il muro. Provò nuovamente, ma il sasso urtò la porta in acciaio e cadde a terra.
Una parte di lui voleva riprovare a toccare la targhetta, ma l’altra sapeva che se ci avesse provato si sarebbe trovato nuovamente con la schiena al muro. Come per le altre volte era bloccato in quell’incubo e non poteva sapere se ne sarebbe più uscito. Si chiese quando tutto questo sarebbe finito, quando avrebbe trovato sua sorella? O forse prima? Oppure sarebbe durato anche dopo che Cindy fosse tornata a casa con lui?
Diede un ultimo sguardo alla porta, per poi girarsi e proseguire dall’altra parte del motel, verso il cortile interno dalla quale, probabilmente, avrebbe potuto vedere camera sua e quindi tentare di avvicinarsi ad essa. Riprese a correre, notando come gli costasse uno sforzo enorme, a causa del colpo subito sbattendo contro il muro.
Alzò gli occhi, neanche una stella si stagliava in cielo. Era come guardare un velo completamente nero. Uno sguardo negli abissi del nulla. Ebbe il terrore ricordando i suoi sogni prima di arrivare a Silent Hill, in cui, immerso in uno spazio infinito e nero, veniva bruciato vivo. Da quando aveva messo piede in quella città, quel sogno non era più tornato a fargli visita durante il sonno...per quelle poche volte che l’aveva preso.
Era questo che lo convinceva di star facendo la cosa giusta; nel suo sogno, sua sorella gridava il nome di quella città, e quando finalmente era arrivato lì, il sogno non si era più ripresentato. Si convinse che tutto fosse collegato, che quel sogno fosse, in un certo senso, più reale di quanto potesse sembrargli.
Smise di fare teorie sui suoi sogni quando i suoi occhi videro qualcosa che lo fece fermare per inerzia. Davanti a sé c’era il cancello che poche ore prima l’aveva condotto nel cortile interno del motel; lo ricordava a sbarre, come quelle di una cella. verde scuro con chiazze enormi di ruggine arancione; adesso lo stesso identico cancello si presentava ai suoi occhi come un enorme grata di ferro arrugginito, ai cui lati vi erano due teste mozzate di cani, sfigurati in viso, appese a dei ganci da macellaio che penetravano nella carne ancora sanguinante. Sotto di esse, il ragazzo vide due secchi in ferro colmi di sangue che, lentamente, gocciolava da entrambe le teste.
Le guardò entrambe con gli occhi sgranati, aveva già visto un cane morto, sul ciglio della strada, mentre dal suo posto di lavoro tornava verso casa; ma una cosa di una crudeltà simile non l’aveva mai vista né si sarebbe mai aspettato di vederla. Si chiese chi avesse avuto, e soprattutto dove avesse trovato il coraggio di fare qualcosa del genere. L’aria era impregnata di sangue e morte, e per un istante ebbe un capogiro. Si mise una mano alla testa chiudendo gli occhi per potersi riprendere, ma ci impiegò più tempo del previsto. Lentamente tornò a guardare davanti, dopo una manciata di minuti, per poi andare ad aprire il cancello. Spinse con forza l’inferriata per levar via dalla sua vista quella scena, ma il cancello restò chiuso. Diede nuovamente un’ulteriore spinta; nulla da fare. Chiuso a chiave come la maggior parte delle porte in quel motel.
“Sono in trappola” pensò cercando nuovamente di spingere il cancelletto “Sono fottutamente in trappola.”
Guardò meglio ciò che aveva dinanzi a sé. Estrasse la torcia dal taschino della felpa e fece luce su qualcosa alla fronte delle teste di entrambi i cani. Erano delle targhette di ferro affisse con dei chiodi di dimensioni notevoli.
“Oddio” pensò con ribrezzo mentre andava a leggere l’incisione sulla testa alla sinistra.
Goccia dopo goccia, il fiume va in piena.
Goccia dopo goccia, il calice è colmo per la cena.
Goccia dopo goccia, non ne vale la pena.
Goccia dopo goccia, svuotarlo per andare in altalena.“Svuotare il calice” pensò abbassando lo sguardo verso il secchio colmo di sangue.
Poggiò la suola delle scarpe sulla superficie lucida del secchio di ferro per spingerlo, ma non ci riuscì. Saldato con il pavimento, il secchio non si mosse di un millimetro.
«No» sussurrò scuotendo il capo «Non lo svuoterò con le mani, non posso farlo.»
Indirizzò lo sguardo verso la testa alla destra del cancello.
Sorso dopo sorso, ecco io ti invito.
Sorso dopo sorso, a trangugiare il nettare divino servito.
Sorso dopo sorso, berlo è un favoloso rito.
Sorso dopo sorso, per raggiungere l’infinito.Logan aveva chiaramente capito che doveva svuotare entrambi i secchi colmi di sangue per proseguire. La domanda che gli si ripercuoteva nella testa era il come. Entrambi i secchi erano saldati al pavimento e non poteva svuotarne il contenuto semplicemente ribaltandoli. Non sapeva neanche cosa ci fosse in fondo, se ci fosse una chiave o un marchingegno capace di sbloccare la serratura non appena il livello del liquido rosso fosse sceso sotto una soglia prestabilita. Alzò lo sguardo verso le teste mozzate dei cani dalle quali il sangue continuava a cadere a rilento, facendo si che quello contenuto in entrambi i secchi traboccasse fuori.
Come avrebbe potuto svuotarli, senza qualcosa che gli permettesse di poterlo fare? L’unica maniera a cui pensò, era di farlo con entrambe le mani, ma si rifiutò categoricamente.
Appoggiò la schiena al muro continuando ad osservare il contenuto dei due recipienti. Non c’era un’altra via per arrivare al cortile, e non c’era altro modo di svuotare entrambi i secchi.
A tal punto era arrivato? Svuotare dei contenitori di sangue con le sue sole mani, per poter andare avanti? Quale mente malsana aveva contribuito a creare una trovata del genere?
Si avvicinò deciso al secchio sinistro. Si accasciò sulle ginocchia mentre l’odore forte del sangue gli inebriò le narici salendo fin sopra alla testa. Strizzò gli occhi mettendo le mani a coppa, e lo fece. La vischiosità del liquido rosso gli passò tra le dita emettendo un suono che gli ribaltò lo stomaco. Il calore del sangue si diffuse in entrambe le mani, come l’acqua ristagnata di una pozzanghera, come il mare durante una giornata d’inferno, come l’acqua in un bollitore, come un fiume di lava.
«MERDA!» urlò levando di scatto le mani dal recipiente, osservandolo sbalordito, mentre i palmi gli tremavano convulsamente.
Se si fosse trattenuto una frazione di secondo in più, si sarebbe ritrovato entrambe le mani carbonizzate; inspiegabilmente il sangue aveva preso a riscaldarsi costantemente sempre di più. Le osservò, non aveva ustioni fortunatamente, ma il rosso che le ricopriva gli fece girare la testa.
Appoggiò i palmi a terra, respirando irregolarmente e il pensiero della viscosità di quel liquido lo fece sentire ulteriormente male. Alzò lo sguardo verso la testa mozzata del cane, avendo l’impressione che lo stesse guardando con un ghigno feroce, come se gli stesse facendo capire che se l’era meritato.
«Vaffanculo» sussurrò continuando ad osservare la testa mozzata appesa alla recinzione.
Non avrebbe provato a mettere le mani anche nel secondo secchio. Avrebbe trovato un altro modo per oltrepassare quel cancello, come limite ultimo avrebbe provato con il tubo di ferro. Ma sapeva benissimo che non vi erano altri modi per oltrepassarlo, l’unico modo era quello e, se voleva farlo, se davvero voleva ritrovare sua sorella e raggiungere Brad si sarebbe dovuto ustionare le mani.
«No, no, no!» diceva al nulla, camminando avanti e indietro, in preda all’indecisione e al panico.
Andò verso il cancello, afferrando la grata con entrambe le mani e scuotendolo con forza.
«BRAD!» urlò mente batteva i palmi sul ferro del cancelletto, sperando con tutto se stesso che il ragazzino udisse la sua voce. Ma non rispose nessuno.
Riprese a camminare nervoso davanti alla via sbarrata. Brad era da solo, senza di lui, in quel luogo che non aveva alcuna parte logica. E lui era lì, bloccato da una recinzione davanti a due secchi colmi di sangue, a due passi da Brad.
“Se solo non avessi toccato quell’incisione con quel numero, a quest’ora sarei al sicuro nella mia camera disteso nel letto” pensò prendendosela con se stesso. Sapeva quello che doveva fare ma non ne trovava il coraggio, eppure se non l’avesse fatto sarebbe rimasto bloccato lì, per sempre. Osservò nuovamente entrambi i recipienti colmi di sangue, che si riempivano ancora, sempre di più.
«Ragiona … ragiona» si diceva ricominciando a camminare avanti e indietro «Un metodo alternativo per svuotare quei secchi.»
Cominciò a sudare in preda all’angoscia e all’agitazione, nessun’idea arrivò alla sua mente. Puntò lo sguardo verso le teste dei cani e andò a rileggere le targhette.
«Aspetta» sussurrò toccando la targhetta metallica piantata nella fronte della testa sinistra «Non ne vale la pena svuotarlo» fece una pausa abbassando gli occhi nuovamente sul secchio che goccia dopo goccia si riempiva «Goccia dopo goccia … ma certo!»
«Sorso dopo sorso» continuò, girando di scatto la testa verso l’altra targhetta leggendo anche quella «Uno deve essere svuotato, mentre l’altro deve continuare a riempirsi.»
Era sicuro che il significato di quelle scritte fosse quello, e soprattutto, si convinse che il contenuto dell’altro secchio non si sarebbe surriscaldato progressivamente. Non poteva fare altrimenti, si piegò sulle ginocchia immergendo le mani nel liquido, la cui consistenza non gli sembrò viscosa come quello nel quale stava per ustionarsi, anzi, gli sembrò semplice acqua. Come aveva immaginato, la temperatura non salì all’improvviso, permettendogli di constatare che quello che aveva tra le mani non era sangue e, come ulteriore conferma, l’odore che si introdusse nelle sue narici lo accertò.
«È vino» sussurrò fuoriuscendo le mani dal recipiente e alzando lo sguardo verso la testa del cane.
Titubante, la sfiorò con la punta del dito. Gomma; non si trattava di una vera testa mozzata, ma di una maschera. Come era stato così cieco da non essersene accorto subito. La staccò con forza dal gancio da macellaio sul quale era conficcata, lacerandola, mentre dall’interno qualcosa di metallico cadde a terra. Impregnata di vino, gli scivolò dalle mani andando a finire dentro il secchio, il cui contenuto macchiò con poche gocce i suoi jeans. Abbassò lo sguardo verso l’oggetto caduto anche se sapeva già cosa avrebbe visto. Una chiave che, con molta possibilità avrebbe aperto il cancello che aveva di fronte.
Si stupì del fatto che tutto quello che aveva di fronte, fosse concatenato, la scritta l’avrebbe condotto alla soluzione finale passo per passo, solamente se avesse avuto il coraggio di compiere quei determinati passi.
Prese la chiave da terra e la inserì nella serratura, la girò in senso orario quando lo scatto improvviso lo rasserenò. Aprì il cancello, che provocò un rumore più cigolante di come non lo fosse già in precedenza, ritrovandosi nel cortile interno. La prima cosa che fece, fu alzare lo sguardo verso la sua camera e, non appena vide la porta e la finestra murata da uno spesso strato di cemento il suo cuore prese ad accelerare così velocemente che non poté più controllarsi.
«BRAD!» urlò spaventato, sperando che il ragazzino lo sentisse da dietro, ma la speranza gli morì in gola «Mio Dio ... BRAD!» urlò nuovamente.