Silent Hill - Salvation, Una delle mie poche Fiction serie

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°Xander°
CAT_IMG Posted on 10/8/2009, 19:15




Ebbene ragazzi, dopo un periodo di depressione per aver perso un progetto sulla quale lavoravo da un anno, ho deciso di riscrivere l'intera storia, questa volta sto prendendo tutte le precauzioni possibili e immaginabili...il fatto stesso di non aver messo piano piano i vari capitoli anche qua, perchè volevo metterli tutti solamente dopo che avessi finito l'intera storia si è rivelato un errore, e per evitare nuovamente che si ripeta quello che è già successo, vi lascio qua il 12° capitolo che quei pochi stanno aspettando da un pezzo.

PS: Vi invito a rileggere la seconda parte del capitolo 10 e il capitolo 11, prima di andare avanti con il 12....voglio vedere se riuscite a trovare la differenza sostanziale (anche se evidente) tra la vecchia e la nuova versione.

12




Proseguivano in totale silenzio entrambi, nessuno dei due sapeva con precisione cosa fosse potuto succedere alla carreggiata sprofondata nel baratro, la stessa strada che, poche ore prima, Logan stesso aveva percorso. Il dubbio che attanagliava maggiormente il ragazzo era il perché non si fosse udito nessun rombo o una minima scossa di terremoto, cosa che, un evento del genere, avrebbe dovuto provocare. Era questo che lo inquietava, se la strada sulla quale stavano camminando fosse collassata da un momento all’altro, non avrebbero avuto la minima percezione di ciò che stava succedendo, si sarebbero trovati a cadere per decine di metri senza che qualcuno li avrebbe potuti sentire né aiutare. Dopotutto non aveva incontrato nessuno per la sua strada, se non il ragazzino e la donna all’interno dell’ospedale, per il resto la città sembrava essere deserta.
Procedevano silenziosamente verso la meta prestabilita da Logan: il Ridgeview Medical Clinic. Qualunque cosa ci fosse stata lì, Gwen voleva che Logan la scoprisse. Sarebbe potuto esserci di tutto; stentava a fidarsi di quella donna, dopo quello che gli aveva fatto e detto, ma d’altro canto non aveva altro posto dove andare se non lì.
I passi erano pesanti e la spalla gli riprese a fare male, avrebbe dovuto disinfettare nuovamente la ferita e cambiare le garze, ma non avrebbe dato segni di cedimento, non con Brad accanto. Non aveva intenzione di scoraggiarlo più di quanto non lo fosse già, e il sapere che sarebbe stato protetto da una persona ferita non era il massimo. Sarebbe rimasto impassibile al dolore, l’avrebbe fatto per entrambi.
Sebbene il senso di protezione che aveva nei suoi confronti fosse tanto alto da non capirne il motivo, in quel lungo tragitto non si parlarono tra di loro. Ovviamente di cosa avrebbero potuto parlare? Del perché la strada fosse crollata, delle strane creature che circolavano in quella cittadina, di come fosse possibile che Brad non fosse stato piombato nello stesso incubo in cui lui stesso era stato per tre volte, o di come Logan fosse scomparso davanti agli occhi del ragazzino. Erano tutte cose su cui poter discutere all’infinito. e entrambi non avrebbero mai trovato una risposta razionale, non da soli almeno.
La nebbia ricopriva ogni cosa e Logan non poté far altro che seguire la linea continua sulla strada per non smarrirsi; il cielo grigio non dava l’impressione di voler far intravedere uno spiraglio di azzurro; l’aria era fredda, non poteva, ovviamente, sapere la temperatura esatta, ma basandosi sul gelo che colpiva il suo viso, ipotizzò che si aggirasse sui dodici gradi centigradi.
Si girò ad osservare Brad che teneva lo sguardo fisso verso la coltre grigia che gli si poneva davanti, pronto a scorgere ogni minimo movimento o suono sospetto in quel limbo in cui il tempo sembrava essersi fermato. Si sorprese della calma che possedeva, l’aria impassibile che gli si leggeva in viso lo faceva apparire più maturo di ciò che il suo aspetto dimostrava, non dava cenni di stanchezza, e continuava a passo spedito verso la meta prefissata.
Alla sua età, Logan era sicuro che non avrebbe avuto lo stesso coraggio di Brad per riuscire ad arrivare all’ingresso dell’ospedale, specialmente se fosse stato totalmente al buio e senza nulla con cui potersi difendere; lui sarebbe rimasto lì da solo, non riuscendo a muovere un muscolo, nell’attesa che qualcuno sarebbe venuto a salvarlo, ma nessuno sarebbe venuto, sarebbe rimasto intrappolato all’interno del Brookhaven Hospital, che sarebbe diventata la sua tomba.
Scacciò quei pensieri scuotendo la testa, era già preoccupato per quello che era successo, e non aveva l’età di Brad, non c’era bisogno di aumentare le sue agitazioni con ipotesi inutili.
Tornò ad osservare la strada sulla quale stavano camminando: in perfetto stato, nessun segno di crollo imminente. Guardò l’orologio. A breve sarebbe calata la sera, e se dovevano raggiungere la clinica medica, avrebbero dovuto farlo prima che la luce andasse via.
«Che ora è?» chiese improvvisamente Brad voltandosi verso il ragazzo, che sussultò per la domanda improvvisa che ruppe quell’inquietante silenzio.
«Quasi le venti meno venti» rispose incrociando lo sguardo del ragazzino «Dobbiamo arrivare a destinazione prima che faccia buio.»
«Per adesso scegliamo dove andare»
Senza che Logan se ne accorgesse, erano arrivati all’incrocio tra Rendell Street e Munson Street. Ecco qual’era la conseguenza dell’avere la testa piena di pensieri: nonostante osservasse la strada sulla quale stava camminando, la sua mente era altrove, facendo in modo che la via gli apparisse sempre la stessa, non rendendosi conto di dove le sue gambe lo stavano portando.
«Abbiamo due possibilità» disse il ragazzo, dopo aver sfilato dalla tasca dei jeans la mappa e consultandola «Andare dritto e prendere Katz Street, percorrendola tutta fino all’incrocio con Lindsey Street e da lì siamo a due passi» fece una pausa vedendo l’altro percorso «Oppure percorriamo tutta Munson Street fino a Nathan Avenue, prendendo quella arriveremo subito alla clinica»
«C’è anche Saul Street» disse Brad indicando il punto nella mappa con l’indice «Da lì prendiamo Sanders Street al primo incrocio con Neely Street e successivamente saliamo per Lindsey Street»
«Brad, è un tragitto troppo lungo, non possiamo perdere tempo» lo informò, ma c’era dell’altro, non voleva prendere quella strada perché sarebbero dovuti passare attraverso una galleria «Prendere Nathan Avenue è il percorso più sbrigativo a mio parere»
«Una volta mia madre mi disse che se si vuole possedere qualcosa, non bisogna prendere mai la via più breve, perché è la più tortuosa» fece una pausa puntando lo sguardo verso Munson Street che gli appariva così calma da inquietarlo «Non andiamo di qua.»
Logan dovette notare il suo turbamento, e fu per questo che gli arruffò i capelli per tranquillizzarlo.
«Che vuoi che sia, siamo già sopravvissuti a pericoli vari, giusto? Una strada non può di certo fermarci» gli disse amichevolmente sorridendogli, ma Brad non parve rasserenarsi «Andiamo dai, prima arriveremo alla clinica, prima scopriremo qualcosa in più su ciò che sto cercando»
«Perché devi essere tu a decidere?» gli chiese improvvisamente il ragazzino, meravigliando Logan di una domanda del genere che non si sarebbe aspettato.
«Per il semplice motivo che si sta facendo tardi Brad, non possiamo girovagare per Silent Hill in piena notte, quindi ci conviene prendere la strada più breve»
Brad lo guardò per un po’, incredulo, Logan non gli aveva minimamente dato retta, restando convinto della sua scelta. Abbassò lo sguardo a terra e si sentì toccare una spalla.
«Cosa credi Brad? Che lo faccio per me? Lo faccio esclusivamente per te; hai già visto la creatura all’interno dell’ospedale, non avremmo potuto far nulla per abbatterla se non fuggire. In giro per la città ci sarà sicuramente qualcosa ancora più pericolosa, e se sto decidendo di andare nella direzione più breve, lo faccio perché non voglio che ti succeda nulla» disse Logan piegandosi sulle ginocchia, il che gli provocò un forte dolore alla spalla, ma come prima non lo diede a vedere «Capisci quello che voglio dirti?»
Brad annuì debolmente; agli occhi del ragazzo, non sembrò rincuorarsi, ma se non altro si era convinto a seguirlo. Ripresero a camminare più silenziosamente rispetto al tragitto precedente, Logan non avrebbe detto nulla a Brad, non al momento, in fondo sapeva che il ragazzino se l’era presa, e per non buttare altro carbone al fuoco, preferì far sbollire le acque.
Mentre con la mano sinistra teneva stretto il tubo di ferro, con la destra si massaggiò una tempia: era arrivato al punto di mentire anche ad un ragazzino per nascondere le proprie paure. Si sentiva ridicolo e opportunista, ma convincersi di averlo fatto solamente per Brad lo faceva sentire più leggero della bugia che gli aveva detto.
Erano appena arrivati all’incrocio con Katz Street, quando Logan notò del sangue a terra. Non era fresco, ma nemmeno del giorno precedente. Afferrò la mano di Brad pensando che, avendo paura, avrebbe trovato un conforto in quella stretta, ma rimase sbigottito quando il ragazzino sfilò la mano dalla presa.
«Non sei l’unico a cercare qualcuno» disse improvvisamente Brad, mentre osservava il sangue a terra.
«Come?» chiese Logan girandosi ad osservarlo.
«Non sei soltanto tu ad avere qualcuno da cercare, anche io sto cercando mio padre, era all’ospedale poche ore prima che ti incontrassi e poi inspiegabilmente è successo tutto questo»
Logan chiuse gli occhi alzando il volto al cielo. Pensò che con molta probabilità suo padre fosse rimasto lì dentro, magari rimasto ucciso dalla creatura con la maschera di ferro. Non ne aveva la certezza, ma era l’unica cosa che riusciva a pensare, e non gliel’avrebbe detta. Rimase in quel modo per un paio di minuti di assoluto silenzio.
«Bhe?» chiese Brad osservando il ragazzo che gli stava accanto.
Aprì gli occhi, vide il cielo più grigio rispetto a poche ore prima e la nebbia densa attraversare un traliccio di legno su cui passavano dei cavi elettrici. Pensò che quella città, il vero colore del cielo, non l’avrebbe mai visto.
«Brad ascolta … » cominciò cercando di spiegargli la situazione.
«Cosa? Mio padre sicuramente mi sta cercando, e io sono qui senza poter fare nulla!»
«Non sono io che ti sto trattenendo Brad, hai deciso tu di seguirmi, e se l’hai fatto devi avere le tue ragioni. Non starò di certo qui a chiedertele, ma non posso lasciarti isolato, non riuscirei a fare un passo nel sapere che vaghi da solo in questa città dove, hai visto anche tu, nulla è normale» fece una pausa puntando i suoi occhi su quelli del ragazzino «Andremo alla clinica medica, e subito dopo andremo a cercare tuo padre.»
«Un’altra tua scelta» sussurrò Brad, abbassando il capo.
«Ne hai una migliore?» chiese Logan, vedendo che il ragazzino rialzò immediatamente il volto verso il suo «Ci sento Brad, se vuoi dirmi la tua idea, sono tutto orecchi»
Il ragazzino restò nel più assoluto silenzio, guardando fisso gli occhi di ghiaccio di Logan.
«Come immaginavo» disse il ragazzo corrugando la fronte, tornando a guardare la strada «C’è un motel all’angolo con Nathan Avenue, passeremo lì la notte, o hai altro in mente?»
Brad non rispose, sentiva un nodo stringergli la gola, lo stava umiliando, la stessa persona che l’aveva salvato e protetto adesso gli sembrò lontana. Scosse la testa lentamente e riprese a camminare.
Non c’era traccia di senso di colpa in Logan, credeva che Brad capisse di che portata si trattava la sua ricerca. Ma si sbagliava, cercando invano qualcuno a cui, probabilmente, il cuore aveva cessato di battere. Poi improvvisamente, mentre proseguiva a passo spedito verso il motel, un senso di colpa lo serrò. Anche lui stava cercando qualcuno che, con il novanta percento delle probabilità, non era più in vita. Si voltò verso Brad, che procedeva a testa bassa osservando la strada, ma non ebbe il coraggio di dire che gli dispiaceva per quanto accaduto prima. Si voltò nuovamente verso la direzione prefissata, e lo vide all’improvviso.
Un getto d’acido lanciato da una creatura che il ragazzo non aveva visto fino ad allora e che gli parve un incrocio tra una lucertola e un verme. Tese il braccio destro all’indietro istintivamente, afferrando la spalla di Brad, che non aveva ancora capito ciò che stava succedendo, spingendolo verso sinistra, mentre con due passi si girò sul fianco facendo in modo che il getto d’acido non lo colpisse. Lo vide passare davanti ai suoi occhi per poi disperdersi sull’asfalto.
«Brad! Mettiti al riparo!» urlò girandosi verso il mostro che strisciava verso di loro.
Poté squadrarlo meglio, era privo di arti inferiori, situazione che lo costringeva a strisciare, ma in compenso godeva di quelli anteriori uncinati, ricoperti da bende inzuppate di sangue, che gli permettevano di spostarsi, mentre una lunga lingua viola penzolava dalla bocca aperta.
Strinse il tubo di ferro, vedendo con la coda dell’occhio Brad ancora disteso sul prato di una delle villette ai lati della strada.
«Brad! Va’ via!» urlò nuovamente rimanendo immobile in attesa che il mostro si avvicinasse di più.
Era a due passi, il momento giusto. Provò ad attaccare con un colpo dall’alto, nonostante la spalla ferita, ma la creatura con uno scatto fulmineo lo aggirò. Non ebbe il tempo di girarsi, che una fitta di dolore alla coscia lo colpì, impedendogli di restare alzato, cadde a terra senza poter far nulla. La creatura l’aveva colpito con uno degli uncini che aveva come arto anteriore. Issò la schiena facendo pressione sulle braccia; mise a fuoco la situazione: Brad non era più da nessuna parte, mentre constatò che la ferita alla coscia sembrava molto profonda. Tutto ciò non durò più di due secondi, in quanto la creatura gli balzò addosso, facendogli perdere di mano il tubo di ferro. Pensò che sarebbe finita lì, il suo viaggio a Silent Hill si sarebbe concluso in quel modo. Ma i pensieri non durarono a lungo, la creatura lo colpì con la lingua sul viso; fu come ricevere un colpo di frusta, che distolse la sua mente da ogni pensiero. Urlò di dolore mentre sentiva il sangue caldo colargli giù per la guancia; cerco dì divincolarsi e scappare ma era tutto inutile. La creatura tentò di infilzarlo con l’arto sinistro, ma, senza tener conto del dolore poco prima provato, il ragazzo trovò il coraggio di afferrarglielo impedendogli di trafiggerlo. Rise beffardo, non gli avrebbe dato la soddisfazione di ucciderlo in quel modo finché avrebbe avuto un minimo di forze. Venne percorso nuovamente dalla lingua della creatura, provocandogli un dolore più lancinante del precedente. Strinse i denti per trattenere l’urlo di dolore, ma non ci riuscì e gridò con tutta la voce che aveva in petto. La forza al braccio stava scemando lentamente, non avrebbe potuto trattenere l’uncino della creatura ancora per molto, presto si sarebbe ritrovato un buco nel petto. Una terzo colpo di lingua colpì il ragazzo sul viso che urlò nuovamente di dolore, quando improvvisamente udì un verso di agonia da parte del mostro, che rilassò totalmente i muscoli accasciandosi privo di vita, sul ragazzo.
Alzò lievemente lo sguardo vedendo Brad respirare affannosamente, con in mano il tubo di ferro ancora infilzato nella testa del mostro. Logan osservò terrorizzato il mostro che gli stava ancora addosso, mentre sentiva il suo cuore pulsare velocemente. Se lo scrollò di dosso cercando di rialzarsi, ma non ci riuscì, il dolore era troppo. Il viso gli bruciava, il sangue continuava a scivolargli dalle guance e dalla fronte.
«Logan!» urlò Brad poggiando le mani sul viso del ragazzo, sporcandole di sangue «Aggrappati a me, andiamo al motel! Andrà tutto bene Logan, tranquillo» gli sussurrò mettendogli un braccio intorno al collo cercando di alzarlo.
Riuscì a sollevarsi, guardando Brad con sofferenza. Senza lui sarebbe morto, gli aveva promesso di proteggerlo e invece si era ritrovato ad essere protetto.
«Grazie» sussurrò.
«Non fiatare, ti porto al sicuro, mi ringrazierai dopo.»
Iniziarono a camminare lentamente, ma subito dopo si fermarono.
«Aspetta» sussurrò Logan «Il tubo di ferro, prendilo.»
Brad lo fece inginocchiare mentre andò ad estrarre il tubo di ferro dal corpo esanime della creatura.
Logan appoggiò i palmi sul freddo asfalto, vedendo le gocce di sangue macchiare di rosso la linea bianca. Sentì il sapore metallico del sangue in bocca,lo sputò misto a saliva, vedendo il bianco confondersi col grigio.
Cadde privo di sensi battendo la testa.
«Logan!» urlò il ragazzino andando verso di lui.
Lo afferrò nuovamente, mettendogli il braccio attorno a sé, e lentamente lo trascinò verso il motel.

Edited by °Xander° - 10/8/2009, 20:54
 
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CAT_IMG Posted on 10/8/2009, 23:18

Read that fuc*ing manual or
I'M GONNA HEADBUTT YA!


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Bel capitolo!!!
Come sempre dopotutto! Sono veramente contento che tu abbia deciso di continuare la storia X3
Mi piace molto come si stà sviluppando la storia! Forzuto il bimbetto 8D xD
 
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Huskyman
CAT_IMG Posted on 11/8/2009, 13:02




Xan è bellissimo questo capitolo! *:*
però,sinceramente,non la vedo la differenza XD
forse la nuova versione è più incentrata sull'azione?dovrai delucidarmi tu U.U
 
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°Xander°
CAT_IMG Posted on 11/8/2009, 22:03




Non hai notato la differenza che c'è tra la versione precedente del 10° capitolo, dove Logan ammazzava così, a sangue freddo la donna...adesso non fa nulla di tutto questo?
 
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Huskyman
CAT_IMG Posted on 15/8/2009, 11:34




Direi che il mio spirito d'osservazione è molto basso XD
 
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°Xander°
CAT_IMG Posted on 19/8/2009, 14:42




13






Si destò lentamente da un sonno profondo, cercando di aprire gli occhi, mentre i suoni ovattati diventavano man mano distinguibili, riuscendo a cogliere ogni minimo dettaglio: le pale cigolanti di un ventilatore da soffitto in funzione, delle gocce di acqua che cadevano ripetutamente in una superficie umida, e il fracasso di cartoni animati provenienti da un televisore.
Riuscì ad aprire lievemente le palpebre; la vista era appannata, di conseguenza richiuse gli occhi dopo una manciata di secondi, ma gli bastarono per capire che si trovava dentro la stanza confortevole di un motel. Con molta probabilità, pensò, si trattava dello stesso che stavano cercando di raggiungere lui e Brad. L’ultima cosa che ricordava era l’asfalto, freddo e duro sotto i palmi delle sue mani. E il sangue, ricordava anche quello.
Era disteso su un letto comodo, mentre la testa sprofondava in un grande e soffice cuscino. L’ultima volta che aveva dormito, era in uno chalet sulla via per la città, dove aveva già rischiato la vita parecchie volte. Non sapeva quanto tempo fosse passato da allora, nell’arco di durata in cui aveva pernottato lì dentro e il suo risveglio nel pieno centro di Silent Hill, potevano essere passati benissimo più giorni. Ovviamente se tutto quello che aveva vissuto fosse stato reale.
Nonostante tutto, trovò stupenda la sensazione di stare sdraiato su un letto e al sicuro. Le ferite che gli erano state inferte dalla creatura, non gli dolevano minimamente, era sicuro che il merito fosse solo di Brad che, medicandole mentre lui si trovava in stato di incoscienza, aveva fatto in modo di alleviarne il dolore. Dove avesse preso il materiale per curargliele non aveva importanza. Stava bene, stavano entrambi bene; erano al sicuro, al riparo da tutto l’inferno che c’era fuori da quella stanza. Si godette nuovamente la sensazione del cuscino sul suo viso affondando sempre di più la testa, e ad occhi chiusi sorrise per poi andare nuovamente tra le braccia di Morfeo.
 
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Huskyman
CAT_IMG Posted on 19/8/2009, 16:05




A quanto pare,finalmente un posto sicuro.
Riesco quasi a provare la sensazione di morbidezza del cuscino,ottimo lavoro Xan ^^
 
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°Xander°
CAT_IMG Posted on 20/8/2009, 19:09




Grazie mille Huskyman.

14



Fu un risveglio tranquillo, continuava a sentire il morbido cuscino a contatto con la pelle del viso, e trasse sollievo nel sapere che il precedente risveglio non si fosse trattato di un sogno. Aprì gli occhi, notando di trovarsi sdraiato sul fianco destro in posizione fetale. Squadrò in maniera più accurata la camera nella quale si trovava: i muri erano tappezzati con carta da parati beige, l’arredamento era semplice e ben organizzato all’interno dell’ambiente, di fronte a sé aveva un comodino con sopra una abatjour accesa e un bicchiere di acqua. Avrebbe voluto rimanere sdraiato sul letto, ma non aveva più sonno.
Provò a rialzarsi cautamente, per evitare dolori improvvisi. Riuscì ad appoggiarsi allo schienale del letto, nel più assoluto silenzio, tanto che Brad, accomodato a gambe incrociate su una poltroncina di fronte al televisore, non aveva sentito il minimo rumore. Teneva in mano un telecomando, tentando di trovare un canale visibile, ma qualunque tasto premesse il televisore trasmetteva solo statico.
«Non vedevo così tanta neve da anni» disse il ragazzo con tono ironico.
«Logan!» si meravigliò Brad voltandosi e scendendo di scatto dalla poltrona dirigendosi verso di lui «Stai bene!» continuò mettendogli le braccia intorno al collo abbracciandolo.
Il ragazzo sorrise, a quanto pare aveva dimenticato il piccolo diverbio che avevano avuto.
«Ehi piano, piano» lo incitò continuando a sorridere e stringendolo a sé, caldamente, come un fratello maggiore che abbraccia il minore «Come stai?»
«Sto bene» rispose il ragazzino non togliendo il mento dalla spalla di Logan «Tu?»
«Mai stato meglio» disse per poi ridere lievemente scostandosi dall’abbraccio, osservandolo negli occhi «Grazie a te» aggiunse sorridendo.
Brad sorrise imbarazzato e abbassò lo sguardo. Aveva ragione, era solamente grazie al ragazzino se adesso era in forze, se non fosse stato per lui sarebbe morto in mezzo alla strada. Gli doveva un favore.
«Non ho fatto tutte queste grandi cose» disse Brad impicciato «E poi non potevo lasciarti in quel modo.»
«Hai fatto tantissimo Brad, mi hai salvato. Ti devo la vita ragazzino» lo vide grattarsi dietro la testa, abbozzando un sorriso di compiacimento, segno di ulteriore imbarazzo «In ogni caso avremo modo di parlare, funziona la doccia?» chiese vedendo che il ragazzino annuiva, a quanto pare anche lui ne aveva già usufruito.
“Perfetto” pensò rimettendosi in piedi, barcollò un momento ma poi ritrovò l’equilibrio.
«Mi do una rinfrescata, parleremo dopo.»
Il ragazzino mostrò il pollice alzato, sorridendo per poi andare a sedersi nuovamente sulla poltrona, tentando di far funzionare la tv.
Logan chiuse alle sue spalle la porta del piccolo ma accogliente bagno. Accese la luce e si guardò allo specchio, notando, come prima cosa, tre cicatrici sul volto. La barba era già cresciuta di pochi millimetri, ma senza tener conto di questo particolare, non aveva un brutto aspetto. Chiuse gli occhi poggiando la mano al muro, si sentiva ancora stanco fisicamente, ma non avrebbero indugiato ancora, né lui né Brad.
Aprì la doccia, levandosi la felpa e la maglietta, e fu allora che ebbe timore di ciò che vide. La ferita alla spalla aveva cominciato a fare infezione, era più gonfia e di un colore che tendeva al viola.
«Dannazione» sussurrò poggiando la mano sul taglio che gli provocò un forte bruciore, e soffocò un verso di dolore stringendo i denti «Non ci voleva».
Si spogliò totalmente e entrò nel box doccia, avendo l’impressione di rinascere quando l’acqua fredda colpì il suo corpo. La sensazione fu magnifica, non faceva una doccia da prima che partisse da Los Angeles, e adesso la riteneva una delle invenzioni migliori che l’uomo avesse creato. Stette immobile con il volto rivolto verso il getto, mentre l’acqua gli scivolava gelida e lenta fino ai piedi.
In quel momento i pensieri che aveva per la testa, tutte le preoccupazioni del non trovare Cindy e le paure della città nella quale era andato, tutte le domande che si era posto fino a quel momento, tutti i dubbi che aveva su quello che gli stava succedendo, tutto si dissolse fondendosi con l’acqua. Solamente il pensiero dell’essere ancora in vita rimase all’interno della sua testa, e rise, contento di essere ancora vivo, mentre gli spruzzi gli arrivavano in viso. Rilassò i muscoli, non muovendosi di un millimetro, godendosi ogni goccia di acqua che lo bagnava.
Uscì fuori dopo mezz’ora abbondante, rilassato e rinfrescato. Avrebbe dato qualunque cosa per potersi fermare qualche altro giorno in quella stanza, ma sapeva che non sarebbe stato possibile.
Si guardò la coscia, anche lì vi era una cicatrice, ma come per le altre, Brad aveva medicato quella ferita. Sorrise, per poi attaccare all’altezza della vita un asciugamano. Uscì dalla camera a piedi nudi, senza vergogna, mentre dai capelli continuava a gocciolare acqua. Brad osservava la situazione di fuori, attraverso la finestra. Tutto come sempre, nebbia e cielo grigio, ma non vi era movimento, tutto era immerso in una calma irreale. Il ragazzino si voltò per un attimo verso Logan e, preoccupato, si indirizzò verso di lui.
«E questa?» chiese indicando la ferita alla spalla «Quando te la sei procurata?»
«All’ospedale, quando ci siamo separati.»
«E non mi hai detto niente?»
«Perdonami, ma non volevo che ti preoccupassi più di quanto non lo fossi già.»
Brad la guardò con attenzione, e constatò che era già in corso un’infezione.
«Fa male?» chiese poggiando l’indice e il medio nella ferita, vedendo Logan stringere i denti e contrarre i muscoli «Si, direi di si.»
«Scusa se non te l’ho detto.»
«Per adesso pensiamo a disinfettarla» disse andando in bagno e aprendo uno sportello, prendendo una cassetta di pronto soccorso «Purtroppo per l’infezione non posso fare nulla.»
Uscì del disinfettante e del cotone, mettendoli sul tavolo. Logan non si mosse, aveva tutti i muscoli contratti, ricordava l’ultima medicazione che aveva apportato a quella ferita e non voleva riprovarla.
«Ti aspetti che lo faccia io?» chiese Brad osservandolo.
«No, faccio da solo, tranquillo» rispose un po’ imbarazzato.
Disinfettò la ferita a dovere, evitando di mostrare il bruciore che provava. Brad lo osservava con un’espressione divertita, vederlo così impacciato non era una delle cose che immaginava di quel ragazzo. Logan parve accorgersene.
«È così evidente?» chiese.
«Se ti riferisci al fatto che disinfettare una ferita, per te è un’impresa titanica, sì, è abbastanza evidente.»
«Ma guarda questo» disse scherzosamente Logan spingendolo con la mano, ottenendo una risata di Brad come risposta.
Quando ebbe finito incrociò le braccia appoggiandosi all’armadio, sentendo al tatto la pelle ancora bagnata. Brad andò verso il letto, si accasciò a terra e stirò un braccio sotto le doghe, uscendo fuori un paio di jeans che porse a Logan.
«Tieni, ho trovato questi in una delle altre camere, ho pensato che ti sarebbero serviti, dato che quelli che avevi erano lacerati» gli disse mentre Logan li prese tra le mani «È ciò che di meglio ho potuto trovare, certo non sono nuovi ma accontentati, oltretutto non so se sono della tua misura, ci sono andato ad occhio.»
«Grazie Brad, sono perfetti»
Il ragazzino sorrise mentre il ragazzo si dirigeva verso il bagno per rivestirsi.
Uscì pochi minuti dopo a petto nudo, i jeans che Brad gli aveva dato calzavano alla perfezione, non poteva chiedere di meglio.
«Non è che hai trovato anche qualche felpa o qualche paio di scarpe?» chiese il ragazzo in tono ironico.
«Non ti allargare troppo ora» rispose Brad ridendo.
Osservò l’orologio, erano le 13.23, ma fu quando vide il giorno che il suo cuore ebbe un sussulto, pensò di sicuro che l’orologio si fosse rotto, perché se così non fosse stato …
«Brad, che giorno è oggi?»
Il ragazzino si voltò verso il calendario appeso al muro, stando immobile per una manciata di secondi, in cui Logan sperò gli venisse detta una data differente rispetto a quella vista nell’orologio.
«Il sedici»
Sospirò di sollievo, due giorni, fortunatamente erano passati solo due giorni; mentre, stando alla data dell’orologio, ne sarebbero dovuti passare sette. Troppi per essere stato in stato di incoscienza.
«Ci sono problemi?» chiese Brad.
«No, fortunatamente no» rispose il ragazzo cercando di aggiustare l’orologio estraendolo dal polso.
Girò la rotellina per portare indietro la data, ma lo stupì il fatto che il numero restava fisso sul ventuno. Pensò che si fosse rotto qualche ingranaggio, ma, se così fosse stato, anche l’orario sarebbe dovuto essere errato, eppure confrontandolo con l’orologio da parete affisso al muro della camera, constatò che coincideva.
«Beh effettivamente ho un problema con l’orologio.»
«Fammi vedere.»
Il ragazzo sembrò titubante, ma dopo pochi secondi gli porse l’orologio, che nelle mani di Brad pesava incredibilmente. Un regalo di Steve, non se ne sarebbe mai staccato.
«Totalmente in acciaio?» chiese Brad.
«Esatto, perché?»
«Strano, di solito questo genere di orologi non dovrebbero avere problemi, se non in rarissimi casi, infatti non vedo nessun guasto.»
«Guarda la data» gli indicò Logan.
Il ragazzino osservò il piccolo quadratino sulla parte destra del quadrante, corrugando la fronte per lo sforzo. Rialzò lo sguardo subito dopo, guardando Logan in maniera strana.
«Si, lo so, è sbagliata mentre è davvero bizzarro che l’orario sia…»
«No Logan, io non vedo nulla di sbagliato» lo interruppe Brad.
Gli restituì l’orologio e non appena lo ebbe in mano osservò nuovamente il numero che contrassegnava la data. Strizzò gli occhi scuotendo la testa, per poi tornare a guardare il quadrante.
«Sedici» sussurrò il ragazzo passando il pollice sul vetro dell’orologio.
Pensò che si trattasse di una svista, di un momento di poca lucidità, aveva anche lo stomaco vuoto e sicuramente la fame gli aveva giocato un brutto scherzo. Eppure qualcosa in lui sapeva che la causa non era nessuna di quelle che aveva supposto. Aveva chiaramente letto il numero ventuno e anche tentato di correggere la data ma non c’era riuscito.
«Ventuno» sussurrò in preda ai pensieri.
Perché proprio quel numero in una serie di trentuno numeri? Perché proprio il ventuno? Cosa voleva significare? E qual’era il motivo per cui lo aveva visto?
«Tutto bene?» chiese il ragazzino facendolo ripiombare nel mondo reale.
Osservò Brad ancora abbastanza frastornato.
«Si» disse rimettendo l’orologio al polso «Brad dovremmo riprendere la ricerca al più presto, dopo pranzo che ne dici di sloggiare?»
«Non faremmo prima ad andar via domani?»
Troppo tempo, sarebbero stati già tre giorni di sosta, ma dopotutto avrebbero potuto parlare di ciò che era successo, dopo che lui aveva perso i sensi. Era indeciso: restare o partire? Non lo sapeva. Ci pensò su mettendosi una mano alla tempia e chiudendo gli occhi.
«L’avevi detto anche tu che con il buio non è sicuro camminare fuori» gli ricordò il ragazzino.
Non aveva tutti i torti, infondo Cindy aveva aspettato così tanto, cosa sarebbe stato un giorno in più?
Riaprì gli occhi mentre la ferita alla spalla cominciò a pulsargli dolorosamente, ma non lo diede a vedere. Osservò il ragazzino che si sedette ai piedi del letto e lo guardava in attesa di una sua decisione.
«Hai ragione Brad» disse «Partiremo domani.»

Edited by °Xander° - 20/8/2009, 21:02
 
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Huskyman
CAT_IMG Posted on 20/8/2009, 22:21




Non so che dire Xan,mi sembra proprio di leggere un Silent Hill in versione cartacea *.*
Poi mi sono immedesimato molto nel fatto della doccia,anche a me succede che sotto l'acqua calda sembra che tutti i miei problemi e le preoccupazioni spariscano.
Ormai stai tirando fuori tutto il meglio di te,bravo :)
 
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Carambola
CAT_IMG Posted on 24/8/2009, 15:09




Mi ero persa gli ultimi capitoli, sono davvero colpita dal risultato! Complimentissimi!
Questi ultimi sono fantastici, specialmente per il modo in cui hai scritto!

Ah-ehm...
CITAZIONE
Poté squadrarlo meglio, era privo di arti inferiori, situazione che lo costringeva a strisciare, ma in compenso godeva di quelli anteriori uncinati, ricoperti da bende inzuppate di sangue, che gli permettevano di spostarsi, mentre una lunga lingua viola penzolava dalla bocca aperta.

....eh, si, sono questi i momenti che adoro di più 8DDD
Ma a parte le creature e l'atmosfera, andando avanti nella lettura ho notato quanto il rapporto tra Logan e Brad si sia solidificato in una maniera impressionante, ( a proposito, tenerissima la parte della medicazione con Logan impacciato! X333) , ormai sono una squadra e devono proteggersi dalle insidie di Silent Hill.

Aspetto il seguito!!

Sono molto felice che tu abbia ripreso in mano SHS!

 
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°Xander°
CAT_IMG Posted on 30/8/2009, 21:34




Grazie mille Carry...è sempre bello leggere i tuoi commentuzzi ^^

15



Non fu di certo un pranzo da re quello che consumarono venti minuti dopo, ma nessuno dei due si lamentò delle pietanze che consistevano in strisce di carne secca e vari pacchetti di snack.
«Dove le hai prese queste?» chiese Logan quando li vide in mano a Brad, dopo averli tirati fuori da uno sportello del mobiletto all’ingresso «Non credo fossero già qui dentro.»
«No, infatti» rispose lanciandogli una confezione di Tortilla Chips che prese al volo «Mentre eri privo di coscienza, come ti ho detto prima sono andato a controllare nelle altre stanze per vedere se ci fosse qualcosa, ho ispezionato anche la reception dove ho visto un distributore automatico.»
«L’hai rotto?»
«No, gli ho messo tutte le monetine che avevo in tasca» rispose ironico «Certo che l’ho rotto, non c’è nessuno qui, a chi vuoi che importi.»
Effettivamente non aveva tutti i torti, quel motel, così come tutte le altre zone della città era deserto, nessuno si sarebbe accorto del danno al distributore automatico.
Aprì il pacchetto di snack che gli aveva lanciato il ragazzino e subito l’odore della paprika gli inebriò le narici, facendogli venire l’acquolina alla bocca e facendogli contrarre lo stomaco dalla fame. Afferrò una patatina e la gustò come se non avesse mangiato da giorni. Fu l’unica ad essere gustata lentamente, le successive vennero mangiate con più foga, in quanto la fame era troppa.
Brad sgranocchiava le sue mentre osservava, dalle imposte abbassate della finestra, la situazione fuori dalla stanza.
«Movimenti?» chiese Logan pulendosi le labbra.
«Niente.»
Era strano, erano da due giorni lì, e il quell’arco di tempo Brad non aveva visto neanche una di quelle creature. Non era successo nulla di strano, non era ripiombato improvvisamente in quell’incubo di ferro, ruggine e sangue. Ma soprattutto nessuno dei suoi sogni riguardava più sua sorella. Afferrò una confezione di carne secca e, aprendola, ne prese una strisciolina strappandola con i denti e assaporandone il gusto salato. Non ne mangiava da tempo, e il sapore gli fece ritornare in mente molti ricordi. Sorrise osservando il cibo che aveva in mano, si distese sul letto, sentendo la freschezza delle lenzuola sulla schiena scoperta e strappò un altro pezzo di carne.
«Sai che una volta con un mio amico, in un supermarket abbiamo sostituito la carne secca con delle strisce di legno?» chiese a Brad mentre osservava ancora il cibo che aveva in mano «Sapessi le risate che ci siamo potuti fare quando il commerciante venne richiamato dalla clientela.»
Il ragazzino si voltò verso Logan, ancora disteso nel letto a torso nudo.
«Spero che non abbia perso il posto.»
«Nah, il caro Jack era troppo affezionato a quel luogo per essere sbattuto fuori, anche se ovviamente non ha mai scoperto chi era stato il vero colpevole.»
Brad scosse la testa alzando gli occhi al cielo per poi girarsi nuovamente verso la finestra.
La nebbia non sembrò volersi diradare, al contrario, sembrò infittirsi sempre di più. Di quel passo il giorno dopo, se non fossero stati uno accanto all’altro, si sarebbero persi di vista senza che potessero più ritrovarsi.
«Strano» sussurrò Brad.
Logan si riscosse dai ricordi che gli si stavano presentando in testa come delle foto in un vecchio album fotografico.
«Hai detto qualcosa?» chiese.
«Dicevo che è una cosa strana questo clima, questo tempo. Insomma, sono stato così tante volte qua a Silent Hill con mio padre e da quando sono nato non c’è mai stata nebbia per tutto questo tempo.»
«Credo che non ci fossero nemmeno quegli esseri in cui ci siamo imbattuti»
Brad si voltò nuovamente, constatando che Logan adesso era seduto ai piedi del letto e lo guardava.
«Questa città, ha avuto di certo qualche cambiamento, non sappiamo come e soprattutto non sappiamo il perché, ma non è più la Silent Hill che hai conosciuto o di cui ho letto» continuò alzandosi e andando accanto a Brad dando un’occhiata fuori «Mi chiedo come facciano le piante a sopravvivere senza luce del sole.»
Un mistero in più uno in meno … ormai non faceva più differenza. C’erano così tanti interrogativi per quello che stavano passando entrambi, che se si fosse aggiunto un’ulteriore fatto incomprensibile non ci avrebbero fatto neanche caso.
La ferita alla spalla continuava a pulsare, ma se non prima fossero arrivati alla clinica medica non avrebbero potuto far nulla per levare l’infezione. Ovviamente non lo fece notare al ragazzino che gli stava accanto. Improvvisamente i suoi occhi aguzzarono qualcosa proveniente da una camera al piano di sotto. Andò, senza indugiare, verso il comodino accanto al letto per bere l’acqua dal bicchiere poggiato su di esso. La freschezza gli inondò la gola come un acquazzone nei deserti della California. Non pensava che qualcosa di così semplice come un pacchetto di snack o della carne secca, ma soprattutto come un normalissimo bicchiere d’acqua, fossero delle cose di una bontà così grande. Dopotutto quando non si ha nulla a disposizione, tutto al palato ha un sapore gradevole.
Si sedette nuovamente sul letto e silenziosamente prese i propri calzini indossandoli per poi guardare sotto il letto. Brad capì ciò che stava facendo quando lo vide allacciarsi le scarpe da ginnastica.
«Che stai facendo? Dove hai intenzione di andare?» chiese preoccupato.
«A prendere qualcosa da bere» rispose impassibile Logan.
«Ma l’acqua del rubinetto del bagno è potabile, e poi non sei ancora in forma per poter andare in giro da solo e poi … »
«Brad stai tranquillo» lo interruppe alzando lo sguardo verso quello del ragazzino «Quando ero privo di coscienza hai fatto tutto da solo o sbaglio? Resta qui, chiudi la porta a chiave e andrà tutto bene. Mancherò solo una decina di minuti.»
Indossò la maglietta nera e la felpa, afferrò il tubo di ferro poggiato accanto alla porta d’ingresso poi si girò verso il ragazzino.
«Dov’è la torcia?» chiese.
Brad indicò un cassetto dello stesso mobile dal quale aveva uscito fuori i vari pacchi di snack. Il ragazzo cercò dentro e la trovò, premette il pulsante accendendola, abbagliante e affidabile come era stata fino a quel momento. Aprì la porta girandosi un’ultima volta verso Brad, gli sorrise con tutta la sincerità che poteva dimostrare, richiudendo la porta alle sue spalle.
Era nuovamente fuori e l’aria, ancora più gelida dell’ultima volta che l'aveva respirata per le strade di quella città, gli raggelò le ossa. Chiuse gli occhi, aveva mentito nuovamente a quel ragazzo, nonostante avesse fatto di tutto per lui. Si sentì uno schifo, ma represse quello stato d’animo di cui al momento non aveva affatto bisogno. Fece un lungo respiro e riaprì gli occhi dirigendosi verso le scale che l’avrebbero condotto al piano inferiore.
Brad aveva ragione, non era ancora nelle condizioni ottimali per poter proseguire, in quanto la ferita alla coscia, nonostante fosse cicatrizzata gli impediva di camminare in maniera regolare e lo costringeva a zoppicare lievemente.
Non sapeva dove andare, era un motel abbastanza grande, e per arrivare alla stanza che aveva adocchiato da sopra doveva percorrere il perimetro dell’intero edificio per poi arrivare al cortile interno.
Cominciò a camminare attraversando varie stanze, tenendo stretto il tubo di ferro mentre il silenzio cupo era tutto ciò che udiva. Il suo cuore cominciò a palpitare più velocemente, ma nonostante tutto proseguì.
Non era più abituato a muoversi per quella città da solo, da quando Brad aveva preso posto al suo fianco qualcosa in lui era cambiato, e l’aveva capito quando, usciti dall’ospedale, aveva riso di gusto dopo molto tempo che non riusciva a farlo. La cosa era anche abbastanza strana, conosceva quel ragazzo da pochi giorni, eppure adesso non poteva più fare a meno di lui, come se lo conoscesse da mesi. Perché proprio adesso? Perché proprio con quel ragazzino? Tutto ciò era contro il suo carattere, contro tutto ciò che si era promesso dopo la morte di Steve. Neanche un ragazzino, in gamba ma spaesato come Brad, meritava il suo affetto; eppure non riusciva a negarglielo.
Ispezionò alcune stanze totalmente vuote. Solamente in una, arredata in maniera differente rispetto a quella in cui si era risvegliato, trovò qualcosa di non molta rilevanza.
Un articolo di giornale ammuffito e stracciato, era affisso al muro:

La polizia di Ashfield ha trovato il corpo di Jeff Mahone, impiegato presso lo stabilimento cartaceo della contea. L’uomo sembra essersi suicidato gettandosi dal Long Cove Bridge, dopo aver assassinato, con un colpo di pistola, il ventenne Carl Johnson avente precedenti penali per droga, truffa e furto. La scientifica ha confermato un riscontro delle impronte digitali nell’arma del delitto con quelle del suicida. Non si conoscono ancora i motivi di un tale gesto, ma i parenti continuano a sostenere che l’uomo non era affetto da alcun disturbo mentale.
“L’avrà fatto per autodifesa” sostiene la moglie vedova “Non conoscevo una persona migliore di Jeff, non avrebbe fatto del male a una mosca”
“Certo era strano” afferma il datore di lavoro “Sembrava perennemente impaurito, ma non credo sarebbe arrivato al punto di uccidere qualcuno … o almeno credo.”


Si sentì turbato da una vicenda simile, ma non riuscì a capirne le motivazioni.
Uscì fuori continuando a percorrere il perimetro dell’intero edificio, udendo come unica cosa il suono dei suoi passi e del suo respiro. Si sentiva come se fosse l’unico essere vivente rimasto in quella cittadina. Effettivamente non era così lontano dal vero, dato che lui e Brad erano gli unici esseri umani che fino a quel momento vagavano per le vie di Silent Hill.
Senza accorgersene arrivò davanti ad un cancello di ferro che una volta aperto, causando un rumore acuto e stridulo di cardini di ferro cigolanti, lo condusse al cortile interno in cui si era prefissato di andare.
Alzò gli occhi verso la finestra della sua stanza, non sapeva se Brad in quel momento lo stesse osservando e si stesse domandando cosa diavolo ci facesse lì sotto, o se magari aveva ripreso nei suoi tentativi di far funzionare il televisore. Alzò le spalle, troppo tardi per tornare indietro, aveva fatto trenta e avrebbe fatto trentuno, avrebbe dato le spiegazioni più logiche al ragazzino a tempo debito.
Si diresse verso la porta della camera che aveva attirato la sua attenzione, si avvicinò leggendo il numero centosettantaquattro affisso sulla porta in legno. Estrasse la torcia elettrica dal taschino della felpa con la mano sinistra, e afferrò il pomello con la medesima mano, illuminando quel piccolo spiraglio che aveva aperto. Non fu una cosa che durò a lungo, distolse immediatamente lo sguardo disgustato. Ci vollero un paio di minuti prima che potesse ritornare a guardare all’interno aprendo completamente la porta. All’interno della camera un forte odore di morte e putrefazione impregnava ogni cosa, mise una mano davanti alla bocca otturando le narici con pollice e indice, mentre con ribrezzo osservava il cadavere con un foro grande quanto un pallone da pallacanestro in pieno petto, appeso alla parete tramite un gancio da macellaio affondato sulla nuca. Qualunque cosa fosse successa lì dentro non era accaduta di recente: una o due settimane al massimo.
La camera sembrava essere stata messa sottosopra, i mobili erano tutti a terra a pezzi, il letto macchiato di sangue così come il bagno.
«Santo cielo» riuscì soltanto a sussurrare mentre gli occhi si spostavano continuamente dal caos regnante dentro quella stanza al corpo appeso al muro.
Si chiese se Brad era passato di lì un paio di giorni prima, quando era andato in giro per il motel in cerca di qualcosa, ma la risposta arrivò lampante e diretta. Era ovvio che il ragazzino non avesse neanche messo piede lì dentro, altrimenti gliel’avrebbe di certo comunicato. “Lì dentro c’è stato un massacro, non andarci” gli avrebbe detto indicando con l’indice dalla finestra, la stanza dove si trovava adesso. Era sicuro che il ragazzino avesse visitato solamente il piano superiore dove si trovava la loro camera e la reception, per il resto aveva preferito restare al sicuro al suo fianco.
Si voltò verso il bagno e qualcosa attirò la sua attenzione. Si ci diresse constatando che la puzza di morte era più forte lì che all’interno della camera. Nello specchio sopra il lavandino, con del sangue rappreso ormai da settimane vi era una scritta tremolante indicante un’implorazione di aiuto. Non capiva, cosa era successo realmente lì dentro?
Scosse la testa pensando che qualunque cosa fosse successa, non era affar suo, ma vide qualcos’altro che lo insospettì. Sopra la tavoletta del gabinetto scorse una busta da lettere che prese in mano, osservando la scritta nera riportata sulla parte anteriore.
«Per te» lesse a voce impercettibile.
Quell’intestazione poteva riguardare chiunque, non aveva idea chi fosse il destinatario, ma era certo che lì dentro, nessuno l’avrebbe mai aperta, poco ma sicuro. Strappò la busta facendo cadere a terra una strana chiave di ferro senza indicazioni su cosa avrebbe aperto, e un biglietto piegato a metà. Li prese entrambi piegandosi sulle ginocchia. Aprì il foglio su cui con una calligrafia asciutta e scorrevole vi erano impresse parole senza alcun significato logico.

Probabilmente ci sono cose che non riusciresti a capire nemmeno tra un centinaio di anni, ma io posso insegnarti ciò che sto lentamente imparando. Guardare attraverso tutto questo, questa finzione. Siamo attori di una commedia in cui il telone del palcoscenico non è stato ancora alzato. E se si alzasse? Cosa cambierebbe? Nulla, continueremmo a recitare nella medesima commedia, e non saremo mai noi stessi. Sbaglio? Al contrario io sto tentando di recitare a soggetto, non ho un copione prestabilito da seguire, così come lo hai tu. Io posso vedere ciò che c’è dietro la scenografia, vedere il dietro le quinte … ed è una cosa meravigliosa, in cui possono posare gli occhi solo pochi eletti. Credo che tu riesca a vederlo a stralci, ma non ne godi a pieno la bellezza. È un po’ come osservare un’opera d’arte in cui un incosciente ha buttato schizzi di vernice nera; puoi osservare solo alcune parti sopravvissute al vandalismo ma non potrai mai ammirare la bellezza del quadro nel suo insieme. Ma non disperare, tutto con il tempo si risolverà. Il tempo, cosa siamo noi di fronte al tempo? Spazzatura, siamo la melma che divora sé stessa, siamo totalmente insignificanti di fronte al tempo.
Il pezzo di ferro che ti voglio regalare è una parte mancante di un tutt’uno. L’ho trovata proprio lì, all’ingresso di questo edificio. Mi dispiace, ma non ho potuto prendere la parte mancante. Dovrebbe essere ancora lì dove ho trovato il primo pezzo, ma non posso essere in grado di vederla. Non adesso. È soltanto una questione di tempo prima che tu possa metterci le mani sopra e unirla alla sua altra metà. Come noi vediamo una sola faccia della luna, ce n’è un’altra dal lato opposto, uguale ma contraria allo stesso tempo; una medaglia con due facce uguali e contrarie per sapere cosa c’è al di là del palcoscenico e pote…


Il resto del biglietto era totalmente illeggibile a causa di una chiazza di inchiostro nero.
Si rialzò lentamente poggiando una mano sul freddo muro piastrellato, mentre con uno sguardo pieno di curiosità osservava quella strana chiave che aveva preso insieme all’interno della busta.
La toccò facendo scivolare il polpastrello del pollice in ogni sua scanalatura per poi soffermarsi nella parte concava in cima; lì vide che c’era un piccolo perno per congiungere quella parte che stringeva tra le mani, con una seconda che non aveva.
“All’ingresso dell’edificio” pensò ricordando ciò che aveva letto poco prima.
Era più che sicuro che si riferisse alla reception, la stessa davanti alla quale era passato mezz’ora prima. Ma cosa avrebbe aperto quella chiave una volta uniti i due pezzi, era la domanda che si stava ponendo in quel momento il ragazzo. Poteva trattarsi di qualunque cosa: un lucchetto, una porta, una cassetta di sicurezza. Non lo sapeva, e non l’avrebbe scoperto di certo stando lì immobile.
Si diresse verso l’uscita della camera cercando di evitare la vista del cadavere al muro. Non ci riuscì, e lo osservò nuovamente per un paio di secondi mentre dei conati di vomito salivano dalla gola. Aprì la porta e la sbatté alle sue spalle, godendosi il profumo dell’aria pulita e fresca. Appoggiò le mani alle ginocchia, chiudendo gli occhi mentre cercava di reprimere i conati che si stavano facendo sempre più frequenti. Non ci riuscì, si voltò, poggiando una mano al muro e rigettò il suo pranzo. Talmente era tanto il disgusto per quello che aveva visto dentro quella camera che nemmeno lui, che era di stomaco forte, era riuscito a sopprimere quell’impulso.
«Cazzo!» urlò, chiudendo gli occhi mentre tossiva.
Passarono minuti prima che si riprendesse, si pulì in viso ancora ansimante, e alzando gli occhi verso la sua camera non vide segni di squilibrio. Senza alcuna espressione in viso, riabbassò lo sguardo imboccando l’uscita di quel cortile. Il disgusto era l’unica sensazione che regnava dentro di lui. Nient’altro. La prima cosa che avrebbe fatto non appena avesse trovato Cindy, sarebbe stata quella di fuggire da quella città e dimenticarla per sempre. L’avrebbe ricordata solo in qualche incubo ricorrente, come un luogo dove la morte l’aveva atteso dietro ogni angolo. Ma al suo risveglio avrebbe avuto la soddisfazione di avere accanto sua sorella, avrebbe capito di avercela fatta.
Procedeva a passo svelto verso la reception, senza sapere se avesse trovato realmente qualcosa. Per quanto ne poteva sapere quelle parole scritte erano totalmente senza senso. L’ingresso di cui aveva letto poteva benissimo trattarsi di quello di un altro edificio.
Osservò l’orologio. Era fuori dalla sua stanza da quasi un’ora. Aveva detto a Brad che sarebbe mancato una decina di minuti. E adesso, che scusa avrebbe inventato per giustificarsi di una così grande attesa? E se fosse spuntato a mani vuote senza neanche una bibita, cosa avrebbe pensato il ragazzino? Il tutto, ovviamente, se non fosse stato visto dalla finestra mentre entrava in quella stanza. Si sentiva terribilmente in colpa per aver continuato a mentire a Brad, e convincersi del fatto che le sue erano bugie con un fin di bene, non lo aiutava. Sarebbe rientrato all’istante, qualunque cosa si trovasse dentro la reception, avrebbe aspettato un altro giorno. Sì, sarebbe ritornato dal ragazzino e con molta probabilità gli avrebbe detto la verità. Gli avrebbe detto che, in quel momento in cui stavano entrambi guardando fuori dalla finestra, aveva visto qualcosa di luccicante proveniente da quella camera, spiegandogli che si trattava di un gancio di metallo su cui era appeso un cadavere putrefatto da settimane. Bhe, forse l’ultima parte l’avrebbe saltata.
Si bloccò all’istante, voltando la testa verso sinistra e vedendo qualcosa che richiamò il suo interesse. Si trovava di fronte ad una porta di una camera, nulla di strano, se non fosse che il numero inciso nella targhetta di metallo inquietò il ragazzo. Non ci andò di proposito, più che altro fu come se i suoi piedi l’avessero portato da solo lì.
«Ventuno» sussurrò osservando attentamente il numero affisso alla porta

Edited by °Xander° - 31/8/2009, 00:28
 
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Huskyman
CAT_IMG Posted on 31/8/2009, 02:19




Wooooooow,bellissimo questo capitolo *.*
mi vien voglia di assaggiare una di quelle patatine eh eh
poi forte il bigliettino sugli attori e il palcoscenico(mi ricorda una delle ultime poesie che ho scritto e che più adoro ^^)
vabbè,basta chiacchiere a vuoto,nel complesso noto che sta prendendo una piega davvero interessante la storia,anche se mi chiedo come mai Logan sia l'unico che coglia questi segni...ma son sicuro che se continuerò a leggere la tua storia tutto mi sarà svelato a tempo debito,Continua Così ;)
 
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CAT_IMG Posted on 13/9/2009, 19:08

Read that fuc*ing manual or
I'M GONNA HEADBUTT YA!


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bellissimo sto capitolo, veramente affascinantoh il modo come hai descritto ogni cosa, continua *ç*
 
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°Xander°
CAT_IMG Posted on 17/9/2009, 22:32




Grazie mille ragazzi, è sempre bello leggere i vostri commenti ^^

16



Parte 1



È curioso come nella vita ci siano quegli eventi chiamati coincidenze. Ogni giorno si presentano di fronte agli occhi della gente, il più delle volte non se ne viene a conoscenza; ma quando ci si accorge di una coincidenza si rimane affascinati e inquietati allo stesso tempo.
Ma trovarsi improvvisamente di fronte ad una porta di una camera con impresso il medesimo numero che aveva immaginato di vedere nella data del suo orologio, quella stessa mattina, per Logan non si trattava di una coincidenza. Era ormai giunto alla conclusione che le coincidenze a Silent Hill non esistessero, tutto avveniva per una ragione; lo scopo di tutto, era quello di cercare di capire quale fosse. No, quel numero non l’aveva soltanto immaginato, l’aveva chiaramente visto prima di dare in mano l’orologio a Brad; e per di più, i suoi piedi l’avevano condotto senza che se ne rendesse conto alla camera contrassegnata con il numero ventuno.
L’indecisione prese il sopravvento nella testa di Logan: continuare il suo tragitto verso la sua camera, dove Brad lo stava aspettando, oppure cercare di capire se tutto ciò si trattasse realmente di una coincidenza o meno.
Stette minuti immobile, a scegliere la decisione più giusta, e nello stesso tempo ad osservare la porta, soprattutto la targhetta di metallo indicante il numero della camera.
“Beh, in fondo Brad è al sicuro all’interno della stanza” pensò, deciso a scoprire cosa si celasse dietro quella porta.
Stirò la mano per toccare il talloncino di metallo con inciso il numero, ma non appena lo sfiorò, un dolore acuto alla testa lo tramortì, come se un trapano stesse perforando il suo cranio dall’interno. Fu così lancinante e improvviso che i muscoli delle gambe cedettero al peso del proprio corpo, costringendolo a restare in ginocchio. Chiuse gli occhi mettendosi entrambe le mani alle tempie lasciando cadere il tubo di ferro, il cui suono rimbombò ovunque. Scosse la testa violentemente quando la vista, da sotto le palpebre chiuse, gli si schiarì in un fulmineo bagliore bianco. Un secondo e un terzo lo fecero urlare di dolore. Strinse i denti, con una forza tale, che per poco non gli sarebbero saltati via dalle gengive, ma in quel momento Logan non pensava al suo apparato dentale, non pensava a niente, il dolore era così intenso da negargli qualunque pensiero. Poi ad un tratto il dolore cessò.
Ancora inginocchiato e ad occhi chiusi, respirava affannosamente, ed ebbe l’impressione che il suo cuore stesse pompando più litri di sangue del dovuto. Riaprì lentamente gli occhi, tentando di rimettersi in piedi. Bastò un’ occhiata al pavimento per fargli emettere un grido di orrore.
«No! No!» urlò quando constatò che la notte era calata e che era stato ripiombato in quell’incubo in cui era già stato sotto la galleria o all’interno dell’ospedale.
Ma questa volta fu differente, non era stato il mondo intorno a sé a cambiare, ma più che altro ebbe l’impressione di essere stato, senza alcuna spiegazione, lui stesso ad entrare in quell’ inferno. Alzò lo sguardo verso la porta che non era più in legno ma d’acciaio arrugginito. Nonostante fosse logora il numero ventuno risplendeva in tutta la sua lucentezza.
«Fanculo» disse osservando con odio il numero, mentre con la mano sinistra afferrò nuovamente il tubo di ferro.
Si voltò e, come per le precedenti volte, notò come tutto fosse cambiato nonostante si trovasse ancora all’interno del motel. La pavimentazione consisteva in lamine di ferro mentre alcuni muri erano ricoperti da teloni sudici e intrisi di umidità. Alcune porte erano state buttate giù mostrando ciò che vi era all’interno delle camere, mentre altre erano sbarrate da assi di legno o murate in cemento.
“Brad” pensò immediatamente.
Senza esitare, corse verso la sua stanza, nonostante la ferita cicatrizzata alla coscia lo costringesse a muoversi al rilento, orientandosi con la luce della torcia che illuminava l’ambiente circostante. Erano ormai giorni che era arrivato a Silent Hill e assisteva a cose simili, ma non aveva ancora capito di cosa si trattasse e perché succedesse. Notò con stupore e un accenno di paura che la ferita alla spalla gli doleva al punto da costringerlo a poggiarci la mano mettendola a contatto con il cotone della maglietta e, di conseguenza, provocandogli un dolore acuto. Ma talmente tanto era il desiderio di andare nella sua stanza, per poter dare a Brad tutta la protezione di cui aveva bisogno in un luogo come quello, che il dolore fu messo in secondo piano. Ma a quest’ultimo pensiero rise mentre correva senza sosta, a chi doveva dare protezione? Ad un ragazzo che gli aveva salvato la vita e che durante il suo periodo di incoscienza gli aveva dato le massime cure necessarie per la sua guarigione? No, il ragazzino non aveva bisogno della sua protezione ma della sua presenza, necessitava di lui al suo fianco in quel luogo malsano.
Durante la sua corsa, si accorse che un pilone di un enorme mulino tagliavento gli ostacolava la strada impedendogli di arrivare a destinazione. Si bloccò di fronte al grande palo di ferro arrugginito, alzò gli occhi vedendo le tre pale, anch’esse arrugginite, ruotare senza sosta emettendo suoni agghiaccianti di metallo graffiato. Cercò invano di aggirare l’enorme pilastro, occupava l’intera via, e l’unico modo per poter passare era arrampicarsi su di esso. Cosa alquanto impossibile data la mancanza di appigli sui quali potersi aggrappare per salire in cima. Guardò nuovamente in alto il pilone che si stagliava in tutta la sua maestosità nel nero del cielo mentre il mulino continuava a ruotare.
«BRAD!» gridò con la speranza che la sua voce arrivasse alle orecchie del ragazzino all’interno della sua camera.
Lo smarrimento si fece largo dentro di sé, non aveva alcuna mappa per orientarsi, e non sapeva da che parte potesse andare. Si maledisse per non essere andato alla reception a prendere qualche bibita e tornare immediatamente dal compagno. Aveva preferito fare le cose di testa sua per ben due volte piuttosto che stare con lui: uscendo e andando verso la camera nella quale aveva trovato il cadavere putrefatto, e scegliendo di vedere cosa si celasse dietro la camera ventuno. In un certo senso sentiva di meritarsi una cosa del genere, un viaggio in quell’incubo, a causa della sua prepotenza.
Non poteva far altro che tornare indietro, amareggiato e preoccupato per Brad. L’aria era pesante e calda, neanche un alito di vento colpì il suo viso. Si voltò, ricominciando a correre verso la stanza che l’aveva condotto in quel luogo angosciante. Non udiva nulla, solamente il suo respiro affannato e le scarpe, che battevano, ad ogni passo sulle dure lamine di ferro. In lontananza udì ancora il rumore cigolante delle pale del mulino tagliavento che gli aveva sbarrato la strada.
Era strano che non ci fosse nessuna di quelle creature, non ne aveva più viste dall’ultima volta che era strato aggredito. Da una parte ne gioiva, ma dall’altra provò un forte senso di insicurezza. Era sicuro che quegli esseri fossero lì, da qualche parte, magari nascosti, in attesa che lui abbassasse la guardia per pochi secondi, e solo allora lo avrebbero attaccato di sorpresa, impedendogli di difendersi. Per questo motivo, durante la corsa affannata, aveva persino paura di battere le palpebre. Stringeva a sé il tubo di ferro con entrambe le mani, quando improvvisamente udì qualcosa in lontananza. Gli parve che un oggetto di dimensioni enormi fosse caduto sul pavimento di ferro provocando un immenso boato. La prima cosa che pensò, fu che il mulino che l’aveva ostacolato, fosse collassato su sé stesso permettendogli, quindi, di proseguire. Ma dopo pochi secondi, quando l’enorme rombo cessò, riuscì ancora ad udire, come un’eco lontana, il rumore cigolante della pale che continuavano a ruotare.
Arrivò nuovamente alla stanza ventuno con il fiato corto, appoggiò la mano al muro incrostato di ruggine, per prendere fiato. Era stanco, e la ferita alla spalla non agevolava di certo la situazione, impedendogli di riprendersi più velocemente. La tastò da sopra la felpa e strinse i denti quando il dolore si fece sentire come se un ferro rovente lo avesse trafitto. Doveva necessariamente trovare Brad e andare alla clinica medica, dove avrebbero trovato cure specifiche per calmare l’infezione.
Si voltò verso la porta, il cui numero rifulgeva di una luce che sembrava appartenergli per natura, e un’idea gli balenò in testa come un colpo di genio. Se toccando la targhetta era arrivato in quell’incubo, toccandola di nuovo, probabilmente, sarebbe ritornato tutto alla normalità. Rise subito dopo averlo pensato, come poteva essere tanto stupido? Non avrebbe funzionato. Era una cosa così scontata che non ci sperò più di tanto. Con il sorriso sarcastico ancora stampato in faccia stirò la mano per toccare la targhetta, ma accadde qualcosa che gli cancellò quel sogghigno dal viso; poteva aspettarsi di tutto, tranne che essere scaraventato dalla parte opposta del viale sulla quale stava correndo, compiendo un arco in volo di due metri.
Urtò, con forza, il muro con la schiena che gli parve si fosse spezzata, mentre i muscoli completamente irrigiditi non riuscirono a mantenerlo in piedi. Cadde al suolo, tossendo e emettendo rochi versi di dolore.
“Ma che diavolo è successo?” si chiese per poi alzare gli occhi verso la porta, dal lato opposto del vialetto del motel.
Scosse la testa per riprendersi dal trauma, non gli era mai capitato di essere scagliato per due metri contro un muro. Di qualunque cosa si trattasse, aveva capito il vero intento del ragazzo e gliel’aveva impedito. Si rialzò a fatica, facendo forza sulle braccia e, barcollando, si diresse nuovamente davanti alla porta guardandola attentamente. Abbassò lo sguardo e, piegandosi sulle ginocchia, afferrò un ciottolo. Lo lanciò con potenza contro la porta ma non successe nulla, nessun rimbalzo o forza mistica scagliò, come un siluro, il sassolino verso il muro. Provò nuovamente, ma il sasso urtò la porta in acciaio e cadde a terra.
Una parte di lui voleva riprovare a toccare la targhetta, ma l’altra sapeva che se ci avesse provato si sarebbe trovato nuovamente con la schiena al muro. Come per le altre volte era bloccato in quell’incubo e non poteva sapere se ne sarebbe più uscito. Si chiese quando tutto questo sarebbe finito, quando avrebbe trovato sua sorella? O forse prima? Oppure sarebbe durato anche dopo che Cindy fosse tornata a casa con lui?
Diede un ultimo sguardo alla porta, per poi girarsi e proseguire dall’altra parte del motel, verso il cortile interno dalla quale, probabilmente, avrebbe potuto vedere camera sua e quindi tentare di avvicinarsi ad essa. Riprese a correre, notando come gli costasse uno sforzo enorme, a causa del colpo subito sbattendo contro il muro.
Alzò gli occhi, neanche una stella si stagliava in cielo. Era come guardare un velo completamente nero. Uno sguardo negli abissi del nulla. Ebbe il terrore ricordando i suoi sogni prima di arrivare a Silent Hill, in cui, immerso in uno spazio infinito e nero, veniva bruciato vivo. Da quando aveva messo piede in quella città, quel sogno non era più tornato a fargli visita durante il sonno...per quelle poche volte che l’aveva preso.
Era questo che lo convinceva di star facendo la cosa giusta; nel suo sogno, sua sorella gridava il nome di quella città, e quando finalmente era arrivato lì, il sogno non si era più ripresentato. Si convinse che tutto fosse collegato, che quel sogno fosse, in un certo senso, più reale di quanto potesse sembrargli.
Smise di fare teorie sui suoi sogni quando i suoi occhi videro qualcosa che lo fece fermare per inerzia. Davanti a sé c’era il cancello che poche ore prima l’aveva condotto nel cortile interno del motel; lo ricordava a sbarre, come quelle di una cella. verde scuro con chiazze enormi di ruggine arancione; adesso lo stesso identico cancello si presentava ai suoi occhi come un enorme grata di ferro arrugginito, ai cui lati vi erano due teste mozzate di cani, sfigurati in viso, appese a dei ganci da macellaio che penetravano nella carne ancora sanguinante. Sotto di esse, il ragazzo vide due secchi in ferro colmi di sangue che, lentamente, gocciolava da entrambe le teste.
Le guardò entrambe con gli occhi sgranati, aveva già visto un cane morto, sul ciglio della strada, mentre dal suo posto di lavoro tornava verso casa; ma una cosa di una crudeltà simile non l’aveva mai vista né si sarebbe mai aspettato di vederla. Si chiese chi avesse avuto, e soprattutto dove avesse trovato il coraggio di fare qualcosa del genere. L’aria era impregnata di sangue e morte, e per un istante ebbe un capogiro. Si mise una mano alla testa chiudendo gli occhi per potersi riprendere, ma ci impiegò più tempo del previsto. Lentamente tornò a guardare davanti, dopo una manciata di minuti, per poi andare ad aprire il cancello. Spinse con forza l’inferriata per levar via dalla sua vista quella scena, ma il cancello restò chiuso. Diede nuovamente un’ulteriore spinta; nulla da fare. Chiuso a chiave come la maggior parte delle porte in quel motel.
“Sono in trappola” pensò cercando nuovamente di spingere il cancelletto “Sono fottutamente in trappola.”
Guardò meglio ciò che aveva dinanzi a sé. Estrasse la torcia dal taschino della felpa e fece luce su qualcosa alla fronte delle teste di entrambi i cani. Erano delle targhette di ferro affisse con dei chiodi di dimensioni notevoli.
“Oddio” pensò con ribrezzo mentre andava a leggere l’incisione sulla testa alla sinistra.

Goccia dopo goccia, il fiume va in piena.
Goccia dopo goccia, il calice è colmo per la cena.
Goccia dopo goccia, non ne vale la pena.
Goccia dopo goccia, svuotarlo per andare in altalena.


“Svuotare il calice” pensò abbassando lo sguardo verso il secchio colmo di sangue.
Poggiò la suola delle scarpe sulla superficie lucida del secchio di ferro per spingerlo, ma non ci riuscì. Saldato con il pavimento, il secchio non si mosse di un millimetro.
«No» sussurrò scuotendo il capo «Non lo svuoterò con le mani, non posso farlo.»
Indirizzò lo sguardo verso la testa alla destra del cancello.

Sorso dopo sorso, ecco io ti invito.
Sorso dopo sorso, a trangugiare il nettare divino servito.
Sorso dopo sorso, berlo è un favoloso rito.
Sorso dopo sorso, per raggiungere l’infinito.


Logan aveva chiaramente capito che doveva svuotare entrambi i secchi colmi di sangue per proseguire. La domanda che gli si ripercuoteva nella testa era il come. Entrambi i secchi erano saldati al pavimento e non poteva svuotarne il contenuto semplicemente ribaltandoli. Non sapeva neanche cosa ci fosse in fondo, se ci fosse una chiave o un marchingegno capace di sbloccare la serratura non appena il livello del liquido rosso fosse sceso sotto una soglia prestabilita. Alzò lo sguardo verso le teste mozzate dei cani dalle quali il sangue continuava a cadere a rilento, facendo si che quello contenuto in entrambi i secchi traboccasse fuori.
Come avrebbe potuto svuotarli, senza qualcosa che gli permettesse di poterlo fare? L’unica maniera a cui pensò, era di farlo con entrambe le mani, ma si rifiutò categoricamente.
Appoggiò la schiena al muro continuando ad osservare il contenuto dei due recipienti. Non c’era un’altra via per arrivare al cortile, e non c’era altro modo di svuotare entrambi i secchi.
A tal punto era arrivato? Svuotare dei contenitori di sangue con le sue sole mani, per poter andare avanti? Quale mente malsana aveva contribuito a creare una trovata del genere?
Si avvicinò deciso al secchio sinistro. Si accasciò sulle ginocchia mentre l’odore forte del sangue gli inebriò le narici salendo fin sopra alla testa. Strizzò gli occhi mettendo le mani a coppa, e lo fece. La vischiosità del liquido rosso gli passò tra le dita emettendo un suono che gli ribaltò lo stomaco. Il calore del sangue si diffuse in entrambe le mani, come l’acqua ristagnata di una pozzanghera, come il mare durante una giornata d’inferno, come l’acqua in un bollitore, come un fiume di lava.
«MERDA!» urlò levando di scatto le mani dal recipiente, osservandolo sbalordito, mentre i palmi gli tremavano convulsamente.
Se si fosse trattenuto una frazione di secondo in più, si sarebbe ritrovato entrambe le mani carbonizzate; inspiegabilmente il sangue aveva preso a riscaldarsi costantemente sempre di più. Le osservò, non aveva ustioni fortunatamente, ma il rosso che le ricopriva gli fece girare la testa.
Appoggiò i palmi a terra, respirando irregolarmente e il pensiero della viscosità di quel liquido lo fece sentire ulteriormente male. Alzò lo sguardo verso la testa mozzata del cane, avendo l’impressione che lo stesse guardando con un ghigno feroce, come se gli stesse facendo capire che se l’era meritato.
«Vaffanculo» sussurrò continuando ad osservare la testa mozzata appesa alla recinzione.
Non avrebbe provato a mettere le mani anche nel secondo secchio. Avrebbe trovato un altro modo per oltrepassare quel cancello, come limite ultimo avrebbe provato con il tubo di ferro. Ma sapeva benissimo che non vi erano altri modi per oltrepassarlo, l’unico modo era quello e, se voleva farlo, se davvero voleva ritrovare sua sorella e raggiungere Brad si sarebbe dovuto ustionare le mani.
«No, no, no!» diceva al nulla, camminando avanti e indietro, in preda all’indecisione e al panico.
Andò verso il cancello, afferrando la grata con entrambe le mani e scuotendolo con forza.
«BRAD!» urlò mente batteva i palmi sul ferro del cancelletto, sperando con tutto se stesso che il ragazzino udisse la sua voce. Ma non rispose nessuno.
Riprese a camminare nervoso davanti alla via sbarrata. Brad era da solo, senza di lui, in quel luogo che non aveva alcuna parte logica. E lui era lì, bloccato da una recinzione davanti a due secchi colmi di sangue, a due passi da Brad.
“Se solo non avessi toccato quell’incisione con quel numero, a quest’ora sarei al sicuro nella mia camera disteso nel letto” pensò prendendosela con se stesso. Sapeva quello che doveva fare ma non ne trovava il coraggio, eppure se non l’avesse fatto sarebbe rimasto bloccato lì, per sempre. Osservò nuovamente entrambi i recipienti colmi di sangue, che si riempivano ancora, sempre di più.
«Ragiona … ragiona» si diceva ricominciando a camminare avanti e indietro «Un metodo alternativo per svuotare quei secchi.»
Cominciò a sudare in preda all’angoscia e all’agitazione, nessun’idea arrivò alla sua mente. Puntò lo sguardo verso le teste dei cani e andò a rileggere le targhette.
«Aspetta» sussurrò toccando la targhetta metallica piantata nella fronte della testa sinistra «Non ne vale la pena svuotarlo» fece una pausa abbassando gli occhi nuovamente sul secchio che goccia dopo goccia si riempiva «Goccia dopo goccia … ma certo!»
«Sorso dopo sorso» continuò, girando di scatto la testa verso l’altra targhetta leggendo anche quella «Uno deve essere svuotato, mentre l’altro deve continuare a riempirsi.»
Era sicuro che il significato di quelle scritte fosse quello, e soprattutto, si convinse che il contenuto dell’altro secchio non si sarebbe surriscaldato progressivamente. Non poteva fare altrimenti, si piegò sulle ginocchia immergendo le mani nel liquido, la cui consistenza non gli sembrò viscosa come quello nel quale stava per ustionarsi, anzi, gli sembrò semplice acqua. Come aveva immaginato, la temperatura non salì all’improvviso, permettendogli di constatare che quello che aveva tra le mani non era sangue e, come ulteriore conferma, l’odore che si introdusse nelle sue narici lo accertò.
«È vino» sussurrò fuoriuscendo le mani dal recipiente e alzando lo sguardo verso la testa del cane.
Titubante, la sfiorò con la punta del dito. Gomma; non si trattava di una vera testa mozzata, ma di una maschera. Come era stato così cieco da non essersene accorto subito. La staccò con forza dal gancio da macellaio sul quale era conficcata, lacerandola, mentre dall’interno qualcosa di metallico cadde a terra. Impregnata di vino, gli scivolò dalle mani andando a finire dentro il secchio, il cui contenuto macchiò con poche gocce i suoi jeans. Abbassò lo sguardo verso l’oggetto caduto anche se sapeva già cosa avrebbe visto. Una chiave che, con molta possibilità avrebbe aperto il cancello che aveva di fronte.
Si stupì del fatto che tutto quello che aveva di fronte, fosse concatenato, la scritta l’avrebbe condotto alla soluzione finale passo per passo, solamente se avesse avuto il coraggio di compiere quei determinati passi.
Prese la chiave da terra e la inserì nella serratura, la girò in senso orario quando lo scatto improvviso lo rasserenò. Aprì il cancello, che provocò un rumore più cigolante di come non lo fosse già in precedenza, ritrovandosi nel cortile interno. La prima cosa che fece, fu alzare lo sguardo verso la sua camera e, non appena vide la porta e la finestra murata da uno spesso strato di cemento il suo cuore prese ad accelerare così velocemente che non poté più controllarsi.
«BRAD!» urlò spaventato, sperando che il ragazzino lo sentisse da dietro, ma la speranza gli morì in gola «Mio Dio ... BRAD!» urlò nuovamente.
 
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CAT_IMG Posted on 18/9/2009, 00:03

Read that fuc*ing manual or
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Omg questo ccapitolo èveramente fantastico, ogni scena è descritta in un modo talmente dettagliato che mi sembrava di stare lì D8
 
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