Silent Hill - Salvation, Una delle mie poche Fiction serie

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Huskyman
CAT_IMG Posted on 18/9/2009, 12:32




Credo sia il capitolo più bello che abbia mai letto fino ad ora *.*
l'enigma è proprio nello stile di Silent Hill,e quel senso di paura costante nel fatto che non ci siano mostri è reso magnificamente.
che altro posso dire? Ottimo lavoro Xan ;)
 
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°Xander°
CAT_IMG Posted on 11/10/2009, 15:38




16
Parte 2



Il terrore di aver perso il ragazzino per causa sua, lo colpì da capo a fondo, pensò che forse solamente gli ingressi fossero stati murati, ma se l’interno della stanza fosse stato riempito anch’esso di cemento? Brad si sarebbe trovato all’interno del blocco, murato vivo.
Scacciò via quel pensiero all’istante, non voleva immaginare una cosa simile, ma anche il pensiero che il ragazzo fosse lì dentro senza una via di fuga e soltanto con una scorta d’aria limitata gli strinse il petto come se si trovasse all’interno di una morsa. Avrebbe trovato un modo, uno qualunque, per liberare Brad. Avrebbe preso il muro a pugni se necessario, distruggendosi una mano, ma avrebbe fatto assaporare al ragazzino l’aria esterna. Si stupì ancora una volta di quanto Brad gli stesse a cuore, ma la cosa che lo stupì ancora di più, fu quella che avrebbe realmente fatto qualcosa del genere per liberarlo. Dopotutto aveva anche immerso le mani in una secchia colma di sangue caldo per proseguire e andare in camera sua.
Ispezionò ogni singola stanza, compresa quella in cui aveva trovato la busta con all’interno un messaggio e la prima parte di una chiave che doveva essere ricomposta, ma non trovò nulla di cui si sarebbe potuto servire.
Entrò all’interno della camera centosettantasei, come tutte quelle che aveva visto, gli parve vuota. Fece per andarsene quando improvvisamente delle fievoli risa di bambini lo fecero voltare di scatto, illuminando qualcosa che gli era sfuggito. Si trattava solamente un poster logoro rappresentante due bambini, fratello e sorella con molta probabilità, che giocavano in altalena. Qualcosa in quel poster lo attirò, non era tanto l’immagine in sé ma qualcos’altro, qualcosa che non riusciva a spiegarsi, era proprio come era successo con la stanza ventuno: non aveva la più pallida idea di che cosa l’avesse
attratto eppure sapeva che c’era qualcosa lì, così come c’era qualcosa in quel poster. Lo osservò ancora con la testa inclinata verso destra, cercando di cogliere qualcosa, di certo non l’avrebbe toccato, non dopo quello che era successo toccando la targhetta della ventuno. Eppure ne era attratto, come un pezzo di ferro ad una calamita.
«Perché?» si chiese sussurrando.
Improvvisamente altre impercettibili risa di bambini arrivarono dal cortile, seguite subito dopo da un boato. Si precipitò immediatamente all’esterno osservando la nuvola di polvere venutasi a creare con il crollo di una parte di muro, grande abbastanza affinché un essere umano potesse passarci. Sapeva dove avrebbe condotto quella breccia: appena sotto la scala per arrivare al piano superiore del motel. Si girò un’ultima volta ad osservare il poster dei bambini, illuminandolo con la torcia stretta nella mano destra. Rimise questa ultima nel taschino della felpa e, senza indugiare e senza chiedersi cosa avesse provocato quel crollo, si diresse verso lo squarcio attraversandolo e, successivamente, prendendo le scale per poi correre spedito di fronte alla sua camera.
«Brad! Mi senti?» urlò battendo sul cemento, ma non gli arrivò alcuna risposta «Ehi Brad!» continuò e l’esito fu il medesimo.
«Porca puttana!» imprecò sferrando un pugno al muro.
Sentì le nocche battere potenti contro la consistenza dura del cemento, e il dolore gli si ripercosse per tutto l’arto superiore. Stette ancora pochi secondi con il braccio teso e il pugno poggiato al cemento, a labbra strette, con il respiro pesante, osservando con odio la dura roccia che gli si poneva davanti. Ritirò l’arto stringendo, con l’altra mano, il pugno stretto e tremante dal quale fuoriusciva sangue.
«BRAD!» urlò con quanto fiato avesse in gola.
Udì soltanto il continuo ruotare delle pale arrugginite del mulino a vento che poco prima gli aveva sbarrato la strada. Nient’altro. Riprese a gridare il nome del ragazzino fino a quando la voce non gli mancò del tutto.
Passò esasperato una mano tra capelli, per poi abbassare lo sguardo a terra.
“Che cosa ho fatto” pensò osservando il pavimento in ferro su cui gocciolava il sangue dalle nocche “È tutta colpa mia.”
Si sentì stringere il petto dal senso di colpa mentre, accasciandosi in ginocchio di fronte al cemento, continuava a ripetersi di essere colpevole di quanto accaduto. Appoggiò la mano al muro di fronte a sé, ma non avendo il coraggio di alzare lo sguardo. Per quanto ne potesse sapere, Brad poteva anche non essere lì dentro, ma nonostante tutto si sentì tremendamente colpevole per aver lasciato che il ragazzino, con cui aveva cercato di sopravvivere da pochi giorni, restasse bloccato senza una via di fuga.
Passarono i minuti, mentre le ginocchia gli dolevano per la superficie dura su cui erano poggiate, ma non gli importò, il senso di colpa per quello che era successo a Brad lo distraeva da ogni dolore, perfino da quello provocato dalla ferita alla spalla. Poi, come se si fosse destato da una sorta di trance, si chiese cosa stesse facendo lì immobile. Brad poteva essere ancora vivo, poteva esserci un modo per liberarlo e ogni minuto passato lì in ginocchio era un minuto in meno per il ragazzino.
Si alzò, deciso a proseguire puntando lo sguardo verso la
finestra anch’essa murata. Non l’aveva notato pochi istanti prima o forse l’attenzione era tutta puntata verso la porta, ma si accorse che scalfita nel duro cemento vi era una scritta.
“Ventuno” pensò leggendola.
Tutto riconduceva a quel luogo? Era quello il modo? Si trattava dell’unica via di salvezza per il ragazzino? Aprire la camera ventuno? E dopo averlo fatto cosa sarebbe successo o dove l’avrebbe condotto?
«Ti prometto che uscirai fuori di lì» sussurrò sfiorando con le dita il cemento che murava l’ingresso della sua camera, per poi scendere rapidamente le scale dirigendosi verso le stanze in cui non era ancora stato.
Una delle due porte al’ingresso del motel lo condusse in quella che gli sembrò subito la sala motori. Decadente, con parecchio intonaco caduto dai muri e dal soffitto, il locale sembrava volesse crollare sotto il suo stesso peso da un momento all’altro. I motori non erano in funzione, tranne uno che continuava a lavorare senza sosta emettendo un rumore così forte che Logan dovette fare uno sforzo enorme per restare lì dentro e non uscire fuori con le mani alle orecchie. Ispezionò ogni singolo angolo tentando di scrutare qualunque cosa potesse essere utile per liberare Brad, ma le uniche cose che vi erano all’interno erano i motori, per il resto nulla di utile se non quale manico di scopa e parecchia polvere.
Uscì all’esterno, ancora intontito per il forte rumore del motore, tanto che i pochi suoni che riusciva a sentire gli parvero attenuati. Scosse la testa, per riprendersi e subito dopo si diresse verso l’altra porta. Non appena la aprì appurò che all’interno vi fosse la
reception. Entrò dentro, il buio non gli permetteva di vedere chiaramente l’ambiente, ma con la torcia riuscì a scorgere qualche divano stracciato, un attaccapanni di legno totalmente scheggiato, naturalmente il bancone con tanto di campanello per richiamare l’attenzione del receptionista, e un distributore automatico con il vetro in frantumi. Non appena vide quest’ultimo ebbe nuovamente una stretta al cuore, era stato Brad a rompere quel distributore e, se lui fosse andato direttamente lì dentro a prendere realmente qualche bevanda, con molta probabilità non sarebbe successo nulla di ciò che stava accadendo. Gli snack e le bevande erano così piene di polvere che non si chiese neanche se fossero commestibili, la sua attenzione, invece, venne attirata da un orologio a cucù affisso al muro con solo due delle tre lancette e stranamente della stessa misura, mentre sotto vi era un bigliettino bruciacchiato scritto con un pennarello nero. Segnava quelle che sarebbero dovute essere le 15.45 o le 21.15, mentre nel bigliettino Logan poté leggere senza problemi due sole parole.

È QUI

«Fantastico!» sussurrò non capendo a cosa o a chi si riferissero quelle parole.
Tutto poteva trovarsi lì, quel bigliettino poteva riferirsi a qualsiasi cosa vi fosse dentro quella stanza; o qualunque presenza.
Si voltò di scatto con la paura di trovare alle sue spalle una nuova creatura che l’aveva ormai sotto tiro, e quel foglietto era una sorta di ultima lettura prima della morte. E invece non vide nient’altro che la reception così come l’aveva osservata pochi istanti prima. Scosse lentamente la testa voltandosi nuovamente verso l’orologio appeso al muro. Era già da pochi minuti lì dentro eppure continuava ancora a segnare il medesimo orario. Abbassò lo sguardo verso il suo orologio da polso, notando come si fosse improvvisamente fermato alle ore 15.45, inspiegabilmente la posizione delle lancette rispecchiava quella dell’ orologio al muro, inoltre nel piccolo quadrato, in cui era segnata la data, il ragazzo vide il numero cinque. Picchiò con l’indice il vetro che copriva le lancette ma solamente quella dei secondi continuava a girare, le altre due erano immobili, su quell’orario che non significava nulla per lui. Ma oltre quell’ inconveniente non vi era nient’altro per aiutare Brad; andò per uscire, ma non appena afferrò il pomello della porta, il rumore improvviso di un vetro rotto alle sue spalle lo fece sobbalzare. Andò con una certa preoccupazione verso la fonte del rumore, e non appena vide cosa fosse successo Logan capì cosa doveva fare. Il vetro dell’orologio a cucù si era inspiegabilmente frantumato, facendo in modo che Logan potesse spostare le lancette. Era anche quella una prova, così come lo era stata quella del cancello di ferro con le due teste mozzate. Ma qui, al contrario, non aveva alcun indizio su come procedere, nulla, solamente quelle due parole stampate in un foglietto bruciacchiato.
«Dannazione» mormorò provando a spostare una delle lancette che dal quindici venne posizionata al venti; non successe nulla «Perché ci spero» sussurrò nuovamente alzando innervosito gli occhi verso il soffitto di legno umido e vecchio.
E la vide lì, come se stesse aspettando che compisse quel gesto. Non sapeva se quell’enorme freccia nera, il cui verso puntava verso la finestra rotonda come un oblò, fosse stata tracciata appositamente per lui o si trovasse sul tetto per caso. Era più convinto della prima ipotesi che della seconda. Osservò la finestra della reception, nulla di particolarmente strano, se non che fosse totalmente appannata e con delle chiazze di qualcosa di rosso che sembrò a Logan sangue misto a ruggine. Andò più vicino, ma non scorse nulla che potesse essergli d’aiuto. Si diresse nuovamente verso l’orologio appeso al muro, ruotò la lancetta poco prima mossa spostandola dal venti al trenta. Ancora nulla. Quell’orologio era andato, proprio come il suo. Alzò il polso e con stupore scoprì che anche quello segnava ancora la stessa medesima ora che aveva assunto l’orologio a cucù, non solo, il quadrante della data riportava il numero tre.
Solo allora capì, il suo orologio non si era fermato o guastato. All'opposto, funzionava come un indicatore che gli permetteva di fargli chiaramente capire quale delle tre lancette dell’orologio al muro avesse spostato, e soprattutto che aveva a disposizione solo altri tre tentativi di muovere quegli indicatori. Non si chiese neanche cosa sarebbe successo se il conteggio fosse sceso allo zero, non c’era modo di saperlo, di certo era, che non avrebbe avuto più nessuna possibilità di salvare Brad. Non poteva affermarlo al cento per cento, ma qualcosa dentro di lui sapeva che non poteva permettersi il lusso di sbagliare altre volte. Sapeva quale delle lancette fosse quella delle ore e quale quella dei minuti, restava solo da scoprire il modo in cui posizionarle, ovviamente se i suoi ragionamenti sul come funzionasse il tutto fossero stati esatti.
Stette a pensare su quale orario avrebbe potuto indicare l’ orologio a cucù, per far si che potesse mettesse le mani su qualunque cosa volessero indicare quelle due parole in quel bigliettino. Aveva in mente solo un orario che, ne era certo, si trattava di quello esatto.
Alzò lo sguardo verso l’orologio al muro, e sollevando l’ in-dice della mano destra tremante, cominciò a spostare le lancette in maniera tale che l’ora segnasse le 21.00; entrambe le lancette erano posizionate ai rispettivi posti e Logan si meravigliò che non appena staccò il dito dall’indicatore, il numero impresso nella data del suo orologio da polso scattò dal tre al due. Non successe nulla, eppure era così sicuro che fosse quello l’orario da inserire. Restavano solamente due tentativi, ne avrebbe potuto sprecare un altro, ma se non avesse nuovamente indovinato, l’ultimo non l’avrebbe sprecato a vuoto, nonostante non avesse la più pallida idea di quale fosse il vero orario.
In quel momento la sua testa era vuota, non c’era Cindy e non c’era Brad. C’erano solo lui e quelle lancette. Se voleva salvare il ragazzino e soprattutto, se voleva trovare sua sorella doveva disporre della massima concentrazione.
“È qui” pensò leggendo nuovamente le due parole scritte nel bigliettino “Cosa nascondi di così prezioso? Come puoi sbloccarti? Ventuno…Ventuno…Ventuno. Perché non ha funzionato?”
Il panico prese possesso di sé, non sapeva cosa fare, era tutto molto differente rispetto a quello che aveva fatto di fronte al cancello un’ora prima. Le circostanze erano diverse, nel primo caso sapeva cosa avrebbe dovuto fare, ma avrebbe dovuto trovare il coraggio per farlo e, una volta trovato, era riuscito nel suo intento; ma di fronte a quell’ orologio Logan si trovava spiazzato.
Pensò a Brad, nella migliore delle ipotesi era ancora dentro la sua camera, blindato lì dentro. Cosa stava pensando in quel momento? Ai suoi cari? Alla sua normale vita prima che arrivasse il giorno in cui si erano incontrati?
“Cielo, era … è solo un ragazzino. Come può sopportare tutto questo?” si chiese mentre alcune gocce di sudore freddo cominciavano ad imperlargli la fronte “Ti prego, fa che sia ancora vivo così che possa rivederlo” continuò a pensare tenendo chiudendo gli occhi. Non si trattava di una vera e propria preghiera indirizzata verso l’alto, ma più che altro un incoraggiamento a se stesso; qualcosa che gli mettesse nel cuore e nella mente, il desiderio di rivedere Brad, e quindi non scoraggiarlo più di quanto non lo fosse già. Lo ricordava in ogni minimo dettaglio, come se lo avesse di fronte e potesse toccarlo proprio come poche ore prima: i capelli spettinati che gli davano un’aria da piccola peste, gli occhi castani come il tronco di un
albero illuminato da un primo raggio di sole, e la corporatura di un ragazzino che ha sempre giocato a football sin dai primi anni.
Fu proprio mentre pensava al ragazzino che udì un forte rimbombo proveniente dalla sala motori, come se uno dei tanti lì dentro fosse saltato in aria dopo un esplosione. Istintivamente afferrò il tubo di ferro con entrambe le mani, emettendo un roco verso di dolore, quando un forte bruciore si fece sentire dalla ferita alla spalla. Si voltò di scatto verso la finestra, qualunque cosa fosse stata a creare quel rombo era vicina, e con molta probabilità non avrebbe potuto abbatterla. Non aveva il coraggio di affrontarla, non in quelle condizioni e specialmente non con il pensiero fisso di Brad in testa. Senza esitare si mise accucciato sotto il bancone della reception con il cuore che pulsava forte e potente come un tamburo. Spense la torcia premendo il pulsante al lato e proprio in quell’istante la porta d’ingresso della reception venne spezzata dai cardini e schiantata al muro.
Si appiattì il più che poté al mobiletto, rannicchiandosi su se stesso, nonostante gli costasse sforzo e dolore a causa delle varie ferite che riportava. Sentì dei passi, li riconobbe subito. Erano gli stessi passi che riuscì ad udire, quando lui e Brad erano scampati alla morte all’ interno dell’ospedale. Erano gli stessi passi umidi della creatura con la maschera di ferro. Credeva di averla lasciata all’interno del Brookhaven Hospital, e invece era molto più intelligente e astuta di quanto avesse potuto immaginare. Udì la lenta marcia dell’essere verso la sua direzione; il desiderio di uscire allo scoperto e scappare era enorme, ma sapeva benissimo che si sarebbe trattato di un suici-dio. Lo sentì più vicino che mai, ed era più che sicuro che si trovasse proprio sopra di lui. Le cose erano differenti rispetto a quando lo
vide la prima volta: all’ospedale aveva una via di salvezza, nel luogo in cui si trovava in quel momento, no. Il cuore gli salì in gola dalla paura e per un attimo ebbe l’impulso di urlare, e l’avrebbe di sicuro fatto se non si fosse morso la lingua così violentemente da affondare i denti su di essa. Trattenne il fiato, aveva il terrore che quella cosa potesse sentire il suo respiro impercettibile, mentre il sapore metallico del sangue gli riempì la bocca.
I pensieri si fecero più pesanti nella sua testa. Cindy, Brad, Steve, la sua vecchia vita prima di arrivare in quella città. Pensieri che, con molta probabilità, stava per perdere insieme alla sua vita.
Il suono del respiro coperto dalla maschera di ferro della creatura era sempre più udibile, come se gli si trovasse accanto. Chiuse gli occhi alzando la testa mentre il cuore pulsava sempre più forte, poteva sentirlo, e di conseguenza anche quell’essere l’avrebbe potuto sentire. Era finito ormai.
“Perdonami Brad” riuscì a pensare prima di udire un ringhio proveniente da sopra il bancone, seguito da un verso rabbioso e da un botto nel pavimento così potente da far scricchiolare il parquet consunto. Strinse gli occhi, era arrivato al capolinea, sperò soltanto che fosse stato tutto veloce, di non sentire le viscere fuoriuscire dal suo corpo per essere poi sbranate da quell’essere, di morire prima che potesse dilaniarlo.
Poi le sue orecchie non percepirono più nulla, si chiese se il panico di morire l’avesse colpito così forte e inaspettatamente da perdere anche l’uso dei sensi, impedendogli di conseguenza di sentire la presenza della creatura. Ma quando udì un sonoro e potente grido inumano proveniente da fuori la reception, capì che era nuovamente salvo per miracolo, o perlomeno per adesso. Stette ancora accucciato su se stesso ad occhi chiusi e con la testa poggiata alle ginocchia, mentre da lontano, un potente rombo gli fece raggelare il sangue quando notò che il suono era identico a quello dei boati del suo ricorrente incubo. Fu convinto di doverne sentire altri in rapida successione, eppure, dopo cinque minuti dal primo, non successe nulla: il silenzio era ritornato a far da padrone in quel luogo. Si chiese se fosse prudente uscire, se la creatura fosse tornata silenziosa lì dentro e aspettava soltanto che lui uscisse fuori. Molti ‘se’ gli ronzavano in testa, tuttavia non aveva certezza di nulla.
“Non puoi stare qui per sempre” pensò non muovendosi di un millimetro “La vita di Brad è sul filo del rasoio, non puoi permet-terti il lusso di indugiare ancora.”
Passarono parecchi minuti prima che distendesse le gambe, e il movimento gli provocò un’improvvisa fitta alla spalla che lo costrinse a soffocare un verso di sofferenza. Era certo che da lì a breve, l’infezione si sarebbe diradata anche in altre parti del corpo, e l’unica maniera per evitare che ciò accadesse, era quella di uscire da sotto il bancone e trovare un modo per salvare Brad, per poi dirigersi alla clinica medica.
Come per le altre volte, il suo orgoglio fu la causa di quel dolore, se avesse detto subito a Brad cosa era successo all’interno del Brookhaven Hospital, di certo non si sarebbe ritrovato in quelle con-dizioni.
Decise finalmente di uscire dal suo nascondiglio, nonostante l’ipotesi che la creatura fosse ancora lì ad aspettarlo lo terrorizzasse. Osservando l’ambiente constatò che non c’era nulla, nessuna creatura, tutto era proprio come l’aveva lasciato pochi minuti prima, ovviamente senza contare la porta scardinata che gli permetteva di os-servare la situazione al di fuori dell’edificio. Stette immobile, dietro il bancone di legno scuro, ad osservare fisso qualcosa che attirò la sua attenzione, e che gli fece finalmente capire cosa doveva fare. Abbozzò un sorriso tra lo sconcertato e il sorpreso, era tutto chiaro come il sole adesso.
Si diresse verso la finestra rotonda e, coprendosi la mano con la manica della felpa, la spannò; dopodiché posò l’attenzione sull’orologio a cucù appeso alla parete. A piccoli passi, che provoca-vano lo scricchiolio del pavimento in legno, arrivò al muro. Si voltò verso l’oblò, e quello che aveva solo immaginato di aver capito gli si presentò davanti agli occhi come un desiderio tanto agognato che si avvera da un momento all’altro.
L’enorme mulino a vento aveva smesso di ruotare, con molta probabilità dopo che l’unico motore funzionante nella stanza adiacente era saltato in aria, e per di più, la creatura che poco prima stava per scoprirlo, aveva provocato la caduta di una delle tre pale, mentre le altre due erano diventate la chiave di tutto. Vista da quella distanza, la finestra rappresentava esattamente il quadrante di un orologio, mentre le due pale rimaste fungevano da lancette. L’orario che riuscì a distinguere, segnava le 10.10 o le 13.50. Con solamente quel pensiero in testa mise l’indice su una delle due lancette dell’orologio a cucù e cominciò a spostarla per far si che l’orario segnasse le 10.10, ma si accorse troppo tardi di aver mosso la lancetta delle ore e che, di con-seguenza, non permetteva uno spostamento di quella dei minuti.
«Diamine!» sibilò, togliendo il dito e osservando l’orologio al che aveva al polso.
Gli restava solamente un tentativo, e non volle pensare a cosa sarebbe potuto succedere se avesse sbagliato nuovamente.
“Ti supplico, fa che funzioni” pensò poggiando l’indice nella lancetta dei minuti e cominciando a girarla in senso orario, mentre dalla fronte alcune gocce di sudore cominciarono a scivolargli giù per il viso. La tensione era troppa, aveva persino paura che il dito gli scivolasse dalla lancetta mentre veniva girata, e quindi avrebbe perso il suo ultimo tentativo. E se non fosse stato quello l’orario? Se la disposizione delle due pale avesse assunto quella forma per puro caso? Se il desiderio così intenso di poter riabbracciare Brad l’avesse portato ad immaginare tutto? Respirò profondamente, cercando di reprimere tutti quei dubbi che non facevano altro che far salire maggiormente la sua tensione. Una goccia di sudore gli scivolò in un occhio, provocando un bruciore così fastidioso, che Logan ebbe l’impulso di coprirlo con la mano, ma non poteva. Muovere un muscolo oltre quelli della mano, l’avrebbe potuto distrarre, e l’unico punto in cui doveva focalizzare la sua attenzione, se voleva riuscire nell’impresa, era il quadrante.
Dopo pochi secondi che gli parvero anni, riuscì a posizionare le lancette nell’orario 10.10. Sorrise soddisfatto, ma mentre stava per togliere il dito dalla lancetta ebbe un attimo di titubanza, non sapeva perché doveva farlo, né se fosse corretto quello che stava per fare, ma qualcosa dentro di lui lo portò a spostare di un piccolo scatto la lancetta dei minuti, spostandola dal dieci all’undici. Dopo averlo fatto, tolse il dito dalla lancetta e, guardando l’orologio al polso, il numero zero gli sembrò così nitido che parve occupare l’intero quadrante. Non successe nulla. Nessuna ricompensa, aveva sprecato il suo ultimo tentativo per uno scatto in più di un minuto, ovviamente se l’orario 10.10 fosse stato corretto. Ma ormai non poteva più scoprirlo. Aveva sfidato la sorte e guardandola in faccia aveva perso miseramente e…
Improvvisamente, quando tutto gli parve perso, udì un rumore di ingranaggi provenire dall’interno dell’orologio, seguito dalla uscita improvvisa dell’uccellino di legno dalla finestrella appena sopra il quadrante, e dalla caduta di qualcosa di metallico nel pavimento.
Non riusciva a crederci. C’era riuscito, aveva appena sbloccato il meccanismo che bloccava quell’orologio. Rise di gusto, con tutta la felicità che aveva dentro di sé. Le sue supposizioni erano correttamente fondate, dopotutto sommando le ore e i minuti non poteva ottenere altro risultato se non ventuno.
Nel becco del cuculo vi era un foglietto di carta ripiegato, lo estrasse accuratamente e, illuminandolo con la torcia lo lesse.

…e con molta probabilità non avevi ancora capito che si trattava di una questione di tempo. Eppure ti avevo avvisato, ora hai le due metà, puoi guardare cosa c’è oltre. Se anche tu vedrai quello che ho visto io, non vorrai vedere nient’altro, vorresti che il tempo si fermasse per far si che quell’istante duri per l’eternità. Ci sono ancora molte cose che non riesci a concepire, ma ti assicuro, questo è solo un piccolo passo di una corsa che è ormai in atto. È semplicemente fantastico, non trovi anche tu? Ci sono i sei, prima erano sette, ma sono diventati sei…

Venne percorso da un brivido per tutta la schiena, era tutta una questione di tempo quindi? Ovviamente sapeva che l’autore del biglietto era lo stesso del messaggio che si trovava nella camera centosettantaquattro, ma il problema restava il chi fosse in realtà l’autore. Come sapeva di lui, e soprattutto come faceva a sapere cosa sarebbe successo? Era tutto collegato, come un mosaico: l’orologio, la freccia sul soffitto, l’esplosione del motore e la caduta di una pala dell’enorme mulino a vento. Di come fosse possibile una cosa di quel genere, Logan non ne aveva alcuna idea, ma era sempre più convinto di una cosa: nulla, in quel luogo, succedeva per caso.
Andò verso l’oggetto metallico caduto a terra e, prendendolo in mano, capì che si trattava della seconda parte della chiave che aveva preso tre ore prima, che estrasse dalla tasca ricongiungendola alla prima. Sentì solamente lo scatto del perno e le due divennero un tutt’uno. La osservò meglio, la parte superiore rotonda e in rilievo indicava chiaramente che avrebbe aperto la porta tanto rinomata della stanza ventuno. Cosa avrebbe trovato al suo interno non lo immaginava, ma non lasciò spazio all’immaginazione, doveva scoprirlo da sé. Senza ripensamenti, afferrò il tubo di ferro e correndo uscì dalla reception attraverso l’ingresso sfondato.
Non voleva pensare che con molta probabilità avrebbe incontrato nella sua strada la creatura che gli stava dando la caccia. Corse più velocemente che poté, attraversando la breccia nel muro, il cortile interno, e, prima di aprire il cancelletto su cui erano appese le due teste mozzate guardò per un istante l’ingresso murato della sua camera.
“Vengo a prenderti ragazzino” pensò, per poi aprire il cancello che, come per le altre volte, emise un suono assordante.
La corsa inizialmente a velocità costante andò a diminuire a causa della stanchezza dovuta alle varie ferite che il suo corpo riportava. Ma l’obbiettivo era uno solo, e niente avrebbe ostacolato il suo cammino, neanche il verso inumano che provenne da dietro di sé. Si voltò per una frazione di secondo, e lo vide. Aveva ragione, era lui. Lo stesso essere che aveva seminato insieme a Brad all’ospedale. L’aveva trovato e lo stava tenendo di mira, e a differenza della volta precedente, i passi della creatura non erano lenti, al contrario, correva e l’avrebbe raggiunto da lì a pochi secondi.
«Oddio» sussurrò Logan aumentando la velocità, senza guardare dietro.
La ferita alla spalla era più esposta che mai al cotone della maglietta, e il dolore che gli provocava lo costrinse a farlo respirare irregolarmente, il fiato gli mancò all’ennesima fitta, e per parecchie inspirazioni non riuscì a prendere ossigeno. La testa gli girava, se avesse mollato, sarebbe stato raggiunto, e nulla di ciò che aveva fatto avrebbe avuto alcun senso. Poi finalmente scorse la porta, la targhetta che emanava uno strano bagliore gliene diede la conferma. In corsa estrasse la chiave dalla tasca dei suoi nuovi jeans, e arrivato davanti alla porta pregò che non venisse scaraventato al muro. Un ulteriore verso provenne dal vialetto. La creatura era a una trentina di metri dalla sua posizione, si voltò a guardarla e fu allora che si fece prendere dal panico. Le mani cominciarono a tremargli, e la chiave gli scappò di mano.
«NO!» urlò piegandosi sulle ginocchia e afferrandola nuovamente, il che gli provocò un’ulteriore fitta alla spalla.
Urlò di dolore rialzandosi e tentando di inserire la chiave nella serratura della porta, ma le mani che continuavano a tremare convulsamente non lo aiutarono, facendogli mancare l’obbiettivo per più di una volta. Si voltò di nuovo e la vide sempre più vicina, che correva verso la sua posizione.
«No! No! No!» continuò ad urlare riuscendo finalmente ad inserire la chiave nella serratura, la girò per tre scatti ma la serratura non si sbloccò «Andiamo! Forza!» dovette girarla per altri due scatti prima che la serratura si sbloccasse del tutto.
La estrasse e afferrò il pomello lucido come l’oro. Si voltò una terza volta verso la creatura che era ormai così vicina da distinguerne ogni dettaglio anche con la torcia spenta. Il terrore si fece vivo dentro di lui mentre girava il pomello e entrava dentro ad occhi chiusi, chiudendo la porta alle sue spalle.
Stette appoggiato con la schiena alla porta, le mani poggiate alle ginocchia e il fiato grosso. Stranamente non sentì la creatura colpire la porta, tutto era calmo, tutto era silenzioso. Riaprì gli occhi, e si chiese se li avesse ancora chiusi. L’ambiente in cui si trovava era nero come la pece nonostante la torcia fosse ancora accesa. Ebbe la paura che all’interno della ventuno in realtà ci fosse il suo incubo, e per poco non ne fu convinto, fino a quando un dolore alla testa, tale e quale a quello provato non appena aveva toccato la targhetta della porta, lo colpì senza alcun preavviso.
Urlò per la sorpresa mettendo le mani alla testa e, come per la volta precedente le gambe cedettero al peso del suo corpo. Si ritrovò in ginocchio, reggendosi la testa, mentre un flash di luce bianca gli accecò la vista, seguito da una nuova fitta più potente della prima. Gridò di dolore.
«DIO!» urlò quando altri due flash lo abbagliarono e altre due fitte lo colpirono.
Poi tutto passò e tutto venne ricoperto di un bianco accecante. Si chiese cosa fosse successo, mentre con il respiro corto stava ancora in ginocchio, in un ambiente totalmente vuoto come nel suo incubo, con l’unica differenza che il nero aveva lasciato il posto al bianco. Cercò di rialzarsi, quando vide una mano protesa verso di lui. Alzò gli occhi e rimase senza fiato.
«Ciao Logan.»

Edited by °Xander° - 11/10/2009, 17:07
 
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Huskyman
CAT_IMG Posted on 11/10/2009, 16:06




Wow,questo capitolo mi ha lasciato letteralmente col fiato sospeso! O.O
la parte in cui la creatura insegue Logan è davvero coinvolgente,poi ho trovato molto ingegnoso l'indovinello dell'orologio.
Ancora una volta,ottimo lavoro Xan! ;)
 
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CAT_IMG Posted on 11/10/2009, 20:22

Read that fuc*ing manual or
I'M GONNA HEADBUTT YA!


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Veramente molto affascinante il modo in cui descrivi le scene specialmente quando Logan si sente in pericolo sempre davvero di essere lui! Non smetterò mai di dire che sei troppo bravo a raccontare le storie *ç*
Continua così e vedi di far presto *frusta XD
 
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°Xander°
CAT_IMG Posted on 14/11/2009, 00:53




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I palmi delle mani erano ancora poggiati in un nulla bianco, la superficie era fredda, come se stesse toccando un blocco di ghiaccio, ma la sensazione gli parve più che piacevole. L’ambiente era totalmente privo di senso, il non sapere neanche dove fosse il sopra o il sotto lo scombussolava; lo spazio all’interno della ventuno era infinito, e guardando verso il basso gli parve di essere sospeso nel vuoto. Il tubo di ferro, scalfito e macchiato a chiazze di sangue era poggiato anch’esso a terra, e gli apparve come l’unico appiglio di realtà in quel luogo luminescente. Stirò la mano, ma i muscoli del braccio cedettero per il dolore poco prima provato, costringendolo a ritirarla e a massaggiarsi la spalla stringendo i denti. Prese grandi quantità di aria respirando lentamente, riappoggiò i palmi a terra cercando di far pressione sulle braccia per rimettersi in piedi, nonostante lo sforzo gli sembro che stesse riuscendo nell’impresa. Gli venne quasi da ridere al pensiero che una cosa del genere, che fino a pochi giorni prima faceva in maniera del tutto naturale, gli costasse un così tanto sforzo.
Improvvisamente una mano protesa verso di lui, lo fece ripiombare a terra dallo spavento, fortunatamente i riflessi non erano attutiti come le sue capacità motorie, e protendendo le mani verso il basso evitò di picchiare la testa. Come aveva fatto a non sentire una presenza a pochi centimetri da lui? E come era possibile che, di chiunque si trattasse, si fosse avvicinata così tanto senza fare il minimo rumore?
Alzò lo sguardo e il suo cuore parve fermarsi improvvisamente, sgranò gli occhi che, con il bianco dell’ambiente, mettevano in risalto il colore azzurro ghiaccio.
“Non è possibile” pensò osservando la sagoma che gli si poneva di fronte “Cosa ci fa qui?”
«Ciao Logan»
La sua voce era inconfondibile, l’avrebbe riconosciuta tra mille voci in una sala da ricevimenti, ma non si mosse, rimase immobile ad osservare il suo volto. Era proprio come la sua mente riusciva a ricordare, ogni singola parte; stessa cosa per il profumo che emanava, come poteva dimenticarsene: Absolu. Impossibile, lo sapeva, non poteva trovarsi a Silent Hill, eppure la persona davanti a sé con la mano protesa non era un’illusione.
«Non avere paura» continuò a parlare mostrando poi un sorriso di una sincerità così vera da risultare ingannevole «Sono proprio io.»
«Tu … » cominciò il ragazzo per poi bloccarsi cercando di indietreggiare e puntandogli l’indice contro «Tu non sei qui. Tu non puoi … non è possibile.»
«Dici? Eppure riesco a comunicare con te proprio come se fossi qui in questo istante, dopotutto potresti benissimo essere tu quello a non essere realmente qui.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo lentamente, poteva avere ragione. Tutto quello che aveva passato e stava continuando a vivere non era altro che il frutto della sua immaginazione, compresi gli incubi che ogni notte lo tormentavano; tutto sarebbe stata una finzione: Cindy, Brad, l’intera città … ogni parola o azione che aveva compiuto fino ad allora. Tra il vivere in un inferno, e l’averlo immaginato da capo a fondo, Logan si convinse che la seconda scelta fosse la più sensata e che le parole della persona che gli stava di fronte fossero le più vere mai sentite in vita sua. A breve si sarebbe reso conto che la realtà intorno a lui si sarebbe dissolta come quando ci si sta per destare da un sogno, si ha la consapevolezza soltanto in quel momento che tutto è frutto della mente, e che il risveglio avverrà ormai in tempi brevi.
La sensazione in Logan, però, svanì all’istante, proprio quando udì una risata trattenuta.
«Oddio, non credevo sarebbe stato così semplice prenderti in giro» proruppe quando il ragazzo alzò il volto «Dovevi proprio vedere l’espressione che hai assunto, fenomenale!»
Il ragazzo cercò di alzarsi senza bisogno di aiuto, impiegò più di quaranta secondi prima che potesse reggersi su entrambe le gambe.
«Non è divertente Me … » si interruppe a causa di un improvviso capogiro che lo fece barcollare per un attimo, cercò di appoggiarsi alla porta che aveva alle sue spalle, la stessa che all’esterno di quella stanza l’aveva scagliato contro un muro, ma constatò con angoscia che alle sue spalle non vi era altro che il nulla, proprio come in ogni parte di quell’ambiente « … Dove siamo?» chiese, sicuro che l’interlocutore sapesse la risposta.
«Dentro la camera numero ventuno di un motel che si trova a Silent Hill»
«No, questa … » fece una pausa aprendo le braccia e cominciando a girare attorno a sé «Questa non è una camera, qui siamo nel bel mezzo del niente, e sono certo che tu sai come uscire di qui. Sbaglio Megan? O qualunque cosa tu sia.»
La ragazza cominciò a camminare avanti e indietro facendo battere i tacchi in un pavimento inesistente.
«Qualunque cosa io sia? Cosa pensi che io sia? Qualche mutaforma, come nei film di fantascienza che guardavamo insieme?»
«Ho visto abbastanza cose strane in questa città da poterlo credere, una di quelle sei proprio tu, che ti trovi qui, in questo luogo assurdo, e sei così tranquilla come se per te fosse una cosa normalissima!» disse il ragazzo tutto d’un fiato puntando l’indice verso la ragazza.
«È difficile anche per me, ma cosa dovrei fare? Farmi prendere dallo sconforto? Disperarmi e angosciarmi in attesa che tutto finisca? Non finisce, e non può finire!» rispose Megan osservando il nulla intorno a sé.
Il cuore di Logan si fermò di colpo, sarebbe stato costretto a restare lì per sempre? Aveva rischiato per ogni secondo la vita in quella città per arrivare a passare il resto dei suoi giorni in un luogo infinito e accecante? Cosa ne sarebbe stato di Brad? E Cindy? No, avrebbe trovato un modo per uscire di lì, uno qualunque, anche se rischioso.
Puntò lo sguardo verso la ragazza, e piegandosi per afferrare il tubo di ferro non distolse gli occhi da ella.
«Cosa hai intenzione di fare?» chiese Megan guardandolo avanzare per poi superarla.
«Uscire da qui.» tagliò corto il ragazzo.
«Non è possibile, te l’ho già detto, non puoi. Non ho potuto io, come pensi di uscirne tu?» domandò cominciando a camminare dietro di lui «È una cosa che non può svanire, neanche con il passare del tempo, io lo sto facendo giorno dopo giorno.»
Effettivamente era da parecchi mesi che non vedeva Megan, a casa non l’aveva più trovata, e entrambi i numeri di cellulare davano il medesimo risultato: al momento non disponibile. Si trovava a Silent Hill da più tempo di lui, ma perché? Perché era lì anche lei? Si fermò di scatto voltandosi verso di lei.
«Da quanto tempo sei qui Meg?»
La ragazza abbassò lo sguardo verso gli stivali che indossava, sorridendo forzatamente; l’espressione del viso, però, mostrava chiari segni di tristezza.
«Non lo sai?»
«Come potrei? Non ti ho più cercata da parecchio tempo. E inoltre non ti sei più fatta viva. E poi, perché proprio qui, in questo posto?» chiese posandole due dita sotto il mento facendole alzare il volto per poi guardarla negli occhi verdi come due smeraldi.
«Perché è questo l’unico posto in cui posso stare.»
«Non lo è, ti porterò via di qui.»
La donna sorrise nuovamente, e si posò una ciocca di capelli biondo cenere dietro l’orecchio destro.
«Ne sei così convinto, vuoi uscire di qui a tutti i costi, eppure ti assicuro che una volta presa l’abitudine non ci farai più caso.»
«Non hai neanche idea di quello che stai dicendo, ho un compito da portare a termine. Ricordi di mia sorella Cindy? Ho la certezza che sia viva Megan, ed è qui, a Silent Hill. Devo trovarla a tutti i costi; e non solo, un ragazzino con cui ho passato buona parte del tempo qui, rischia di morire e se non esco da questo posto rischio di perderlo.» spiegò alla ragazza per poi voltarsi e riprendere a camminare cercando qualcosa di differente oltre al bianco interminabile, seguito da Megan e dal suo rumore di tacchi.
Camminare in un pavimento invisibile, senza orientamento e senza una meta ben precisa lo faceva sentire perso, come se avesse abbandonato qualcosa di importante che non avrebbe più ritrovato, ma non lo diede a vedere, per non scoraggiare ancora di più la ragazza che gli stava dietro. Era già parecchio turbata da quel luogo, non sapeva come aveva fatto ad arrivare lì, né il perché, ne avrebbero parlato una volta usciti da quella stanza.
Passarono venti minuti senza che nessuno dei due proferisse parola, ma gli occhi di Logan non scorsero nulla di differente rispetto a ciò che aveva visto da quando era entrato lì dentro, gli occhi stavano cominciando a stancarsi di quella luce accecante, aveva voglia di chiuderli e sedersi da qualche parte a riposare, dato che la ferita alla spalla ricominciò a pulsargli più forte delle altre volte. Ma non poteva, il riposo sarebbe venuto dopo, quando avrebbe ritrovato Brad e l’avrebbe portato lontano da quel motel. E poi c’era Megan, avrebbe portato via di lì anche lei. Sorrise ripensando ai tempi trascorsi con lei, quei tre anni passati insieme.
«Ricordi la prima volta che ci siamo conosciuti?» chiese il ragazzo non voltandosi, per sciogliere il ghiaccio e distrarsi dai brutti pensieri che gli ronzavano in testa.
«E chi se lo dimentica» rispose Megan per poi ridacchiare «Al Griffith Park, a fare jogging entrambi, mi sei venuto addosso improvvisamente e siamo caduti come due sacchi di patate.»
«Ehi aspetta, sei stata tu a venirmi incontro, io ero per la mia strada e tu sei uscita all’improvviso dal nulla.»
«Sempre la stessa storia, c’era solamente un vialetto, da dove sarei potuta sbucare fuori? Da dietro le siepi? Eri tu che parlavi al telefono fino a prova contraria.»
«Ciò non toglie il fatto che sei stata tu a venirmi incontro.»
Sentì una mano sulla spalla destra dargli una leggera spinta provocando un lieve sorriso.
«Ti ho chiesto scusa, e tu da gentil orco quale sei mi hai subito detto dove avevo la testa» continuò Megan.
«E continuo a chiedermelo tutt’ora.»
«Ah ah ah, che spiritoso che sei. Intanto subito dopo mi hai chiesto se mi andava di prendere un caffè insieme per farmi perdonare.»
«Si, lo so, è stato l’errore più grande della mia vita» disse per poi ridere leggermente, ottenendo come reazione un’altra spinta alla spalla.
«Tu e la sgarbatezza andate proprio a braccetto eh? E poi? Cosa è successo dopo?»
«Fammi pensare, ti ho invitato ad andare al Luna Park sulla baia,un paio di giorni dopo che ci siamo conosciuti» rispose lui continuando a camminare.
«Esatto, ed è stato proprio quando abbiamo fatto le montagne russe che ci siamo dati il primo bacio.»
«Che cosa romantica eh?»
«Unica nel suo genere. Che coppia stramba eravamo, al cinema a guardare i film horror e noi due gli unici a ridere mentre gli altri erano terrorizzati.»
«Per l’esattezza, se posso correggerti, l’unico a ridere eri tu, e per colpa tua ci hanno buttati fuori.»
«Bhe direi, quel genere di film era proprio patetico. Avrei preferito prendere sei dollari, buttarli nel cesso e tirare lo sciacquone piuttosto che andare a guardare quegli scempi. Ormai i film sono tutti uno uguale all’altro. Registi come un tempo non ne esistono più» disse per poi ridere alzando la testa guardando in alto, il che non cambiava lo scenario, era tutto uguale, niente di apparentemente diverso. Cercò di mantenere un’aria apparentemente calma, respirando regolarmente per non far capire alla ragazza alle sue spalle il suo turbamento. Ripensò a quando da piccolo lui e sua sorella erano andati al parco divertimenti, nella casa degli specchi, tutto era proprio come in quel posto dove si trovava: ovunque guardasse vedeva solo il suo riflesso, in alto, in basso, in tutti i posti, e non era capace di trovare una via di fuga; la sensazione di abbandono fu immensa, pensò che forse era entrato dentro uno specchio e che non era più in grado di uscirne; ma poi arrivò Cindy che lo condusse fuori come se fosse una supereroina, sempre lei che si prendeva cura di lui ad ogni occasione. Mentre camminava e osservava in alto si sentì sempre più smarrito, e sempre più lontano dal suo obiettivo, e sapeva benissimo che non sarebbe venuto nessuno a portarlo fuori di lì. Per la prima volta da quando era entrato in quella città, Logan era convinto che stesse per fallire.
«So cosa stai pensando, te l’avevo detto» sentenziò la ragazza dietro di lui «Non puoi fare nulla Logan … »
«E ricordi quando ti feci quella dichiarazione?»
« … non si può scappare da qui.»
«Ti ho dato quell’anello mentre eravamo a fare immersioni.»
« … nessuno può.»
«E ho fatto finta di trovarlo sotto uno scoglio.»
« … neanche tu.»
«TI PREGO SMETTILA!» urlò improvvisamente facendo rimbombare il suono della propria voce in tutte le direzioni «IO RIUSCIRÓ AD USCIRE DA QUESTO POSTO! USCIREMO INSIEME IO E TU, ANDRÓ A PRENDERE QUEL RAGAZZINO E TUTTO QUESTO SEMBRERÁ SOLO UN BRUTTO SOGNO! MA HO BISOGNO DEL TUO APPOGGIO, SE CONTINUI A DIRMI CHE NON C’È UNA VIA DI FUGA ALLORA MORIREMO ENTRAMBI QUI DENTRO!»
Il silenzio calò tra i due, solo dopo un paio di minuti Logan ricominciò a parlare.
«Senti mi dispiace, non dovevo urlarti contro. Non so cosa mi sia preso e … »
Si bloccò quando vide Megan alzare la mano e scuotere la testa lentamente, facendogli capire di non doversi scusare.
«Non devi scusarti, anche per me era così all’inizio, credevo di poter fare qualcosa, ma non ce l’ho fatta, io davvero, spero che tu possa farcela, ma per me è impossibile.»
«Cosa stai dicendo Meg? Ce ne andremo insieme da qui.»
«No Logan, io resto qui, se mai troverai una via di uscita io non la varcherò con te. Tu hai un buon motivo per continuare, ma per me … » fece una pausa cercando di trovare le parole giuste « … per me non c’è nulla lì fuori. Se mai dovessi uscirne, sarei come un neonato uscito dal grembo di una madre inesistente, in balia di nessuno.»
Logan afferrò la sua mano incrociando le dita con le sue.
«Hai me» le disse guardandola in viso «Starò io con te.»
«Lo so, staresti con me sempre, ma … lui si è portato via tutto quello che c’era di bello nella mia vita, tutti i miei sentimenti, tutti coloro che amavo, compreso te.»
Il ragazzo sgranò gli occhi; di cosa stava parlando? A chi si stava riferendo con ‘lui’? Cosa le era successo in quei mesi in cui non si erano più visti?
«Meg, io sono andato via perché i nostri caratteri erano diventati opposti, non riuscivo più ad amarti, e non volevo illuderti restando ancora con te.»
La donna lo guardò con un’aria stupita, curiosa e con un pizzico di odio che scomparve, però, subito dopo un secondo, ma Logan lo notò immediatamente e staccò la sua mano da quella di Megan.
«Non ricordi?»
«Cosa dovrei ricordare? I sentimenti che provavo verso di te? Te l’ho detto … » si bloccò per deglutire inumidendosi la gola arida « … Non eravamo più fatti l’una per l’altra Meg.»
Aveva paura, c’era qualcosa che non ricordava nella sua vita, qualcosa che era stato rimosso, o che aveva voluto rimuovere. E aveva imparato che una cosa del genere, se non succede quando si è sbronzi, succede quando l’evento in questione si tratta di qualcosa così traumatizzante da volertene liberare la mente.
«Che cosa dovrei ricordare?» chiese nuovamente smarrito, come se la sua voce non gli appartenesse più.
«Lascia perdere Logan» rispose la ragazza passandogli accanto, riprendendo a camminare.
Non poteva crederci, un vuoto, uno squarcio che aveva creato lui stesso con molta probabilità e che adesso si stava per risaldare, e l’unica persona in grado di poterlo fare evitava di aiutarlo. Afferrò la donna per la mano, girandola verso di sé e notando come due lacrime solitarie sgorgavano da entrambi gli occhi, facendo sbavare il mascara bluastro.
«Megan» le disse, poggiando entrambe le mani sul suo viso e il cuore che gli pulsava in maniera irrefrenabile «Che cosa è successo? Cos’è che ho dimenticato?»
La ragazza sospirò guardando in alto, l’ambiente luminoso e la lucidità dei suoi occhi, rendevano quel verde smeraldo inquietante ma nello stesso tempo irresistibile.
«L’avevi tu in custodia» disse non guardandolo in viso «È successo tutto velocemente e …»
«Oddio» sussurrò il ragazzo togliendole le mani dal viso, e inspiegabilmente ebbe un nodo in gola «O mio Dio … »
Il tubo di ferro gli scivolò dalle mani, finendo nel pavimento uniformemente bianco causando un rimbombo assordante. Gli occhi erano spalancati e non osava sbattere le palpebre, cominciò a indietreggiare reggendosi la fronte con la mano destra.
«Oddio» continuò a sussurrare «Oh mio Dio! Oh mio Dio! Oddio!»
Le gambe gli cedettero e cadde in ginocchio a testa bassa, mentre il nodo alla gola si sciolse e le lacrime cominciarono a sgorgare silenziose. Megan gli andò incontro inginocchiandosi anche lei e poggiando la testa del ragazzo sul suo petto.
«Come ho potuto dimenticare? Come ho potuto dimenticare? Come ho potuto dimenticare? Oh mio Dio!» continuava a sussurrare mentre il sapore salato delle lacrime gli arrivava alla bocca «Come ho potuto dimenticare? Come? Come? Oddio!»
Le labbra gli tremavano. Tutto nella sua mente aveva ritrovato la propria logica, Megan era in quel posto perché non era riuscita ad uscire da quel dolore che la tormentava, non aveva trovato una via d’uscita perché per lei non vi era alcuna uscita da quella pena, l’avrebbe portata con sé fino alla fine dei suoi giorni. Lui dal canto suo, non riuscendo a ricordare, avrebbe cercato un’uscita da quel dolore a lui inesistente. Dolore manifestato materialmente come un immenso e infinito nulla bianco.
Scoppiò a piangere a singhiozzi, stringendo a sé la ragazza.
«Come ho potuto dimenticare, Megan? Come ho fatto a dimenticarmi di lui? È colpa mia! È stata colpa mia!»
«No Logan, non è colpa tua, non avresti potuto fare nulla per evitarlo. Non è colpa tua.» lo consolò la ragazza mentre Logan nel suo petto continuava a ripetere quel lamento straziante.
«Sono un mostro! Come ho potuto dimenticarmi di lui? Come avrei potuto dimenticarmi di Dylan? Sono un mostro!»
«No Logan, non lo sei!» continuò a confortarlo stringendolo sempre di più a sé «Tu sei una brava persona, un’ottima persona. Lo so con certezza, è per questo che ho deciso di sposarti … » si bloccò per deglutire, il nodo alla gola della ragazza stava anch’esso per sciogliersi « … ed è anche per questo … È per questo motivo se ho deciso di creare una famiglia insieme a te.»
Il pianto di Logan si fece sempre più vivo, sempre più straziante alle orecchie della ragazza che non l’aveva mai visto in quello stato, neanche quando era successo tutto quello che l’aveva portata a vivere in quel modo.
«Dylan! Dylan!» sussurrò tra le lacrime «Come ho fatto a dimenticarmene? Megan! Come ho potuto dimenticarmi di lui? Di nostro figlio?»
«È stato lo shock Logan. Hai affrontato la cosa rimanendo nel più assoluto silenzio. Facendoti scivolare il tutto come se non fosse mai successo niente. Ne hai parlato soltanto con Steve, ma per il resto ti sei chiuso in un bozzolo di tristezza che non riusciva a farti vedere la realtà dei fatti e a farti dimenticare lentamente quello che era successo, facendoti dimenticare persino della sua esistenza» le spiegò la ragazza i cui occhi cominciarono a lacrimare silenziosamente.
«È morto per colpa mia. È stata colpa mia! Dovevo badare io a lui, e non mi sono reso conto che in un attimo di distrazione ha attraversato la strada da solo. Oddio! Oddio!»
Le lacrime continuavano a sgorgare dai suoi occhi, come se non aspettassero altro che uscire fuori.
«Non è stata colpa tua Logan. L’autista era ubriaco, e se avessi provato a salvarlo saresti morto anche tu.»
«L’avrei meritato, per averlo perso d’occhio!»
«Non devi neanche pensare ad una cosa simile Logan. Se sei qui adesso, a sfogarti finalmente dopo due anni, è perché questo luogo, questa città, ha obbiettivi più grandi per te. Hai detto tu stesso di avere dei compiti da portare a termine sbaglio?»
«Come ho potuto dimenticare? Come ho fatto a dimenticarmi di lui?» riusciva solamente a dire il ragazzo, piangendo a testa bassa.
Nel bianco interminabile, improvvisamente Megan vide un rettangolo nero, l’unica uscita esistente da quel luogo. Sorrise mentre le lacrime le solcavano il viso.
«È ora di andare Logan.»
«Sono un mostro! Sono un mostro!»
«Ehi, guardami» gli disse poggiando le mani sul volto pungente di del ragazzo, costringendolo ad osservarla negli occhi «Credevo che tutto questo sarebbe durato per sempre anche per te, ero convinta che il dolore ti avrebbe oppresso fino alla morte. Ma ora, guardando quell’uscita ho capito che mi sbagliavo. Non sei destinato a restare qui dentro. Il dolore ti accompagnerà per sempre, ma lentamente non avrai più il peso che hai addosso in questo momento. Devi andare avanti, Logan. Libera quel ragazzino di cui mi hai parlato e vai a cercare tua sorella» gli disse senza fare neanche una pausa.
Lo guardò negli occhi, quegli occhi di ghiaccio che l’avevano attratta sin da subito. Avvicinò le sue labbra a quelle del ragazzo e lo baciò con passione e tristezza, e in quel bacio, Logan capì che sarebbe stato l’ultimo. Megan sarebbe rimasta lì dentro, non l’avrebbe seguito. Il dolore per lei era troppo, non aveva dimenticato nulla a differenza sua. Passò una mano tra i suoi capelli e continuò a baciarla con tutto il sentimento che poteva provare per quella donna, mentre le ultime lacrime sgorgavano dai suoi occhi. Voleva trasmetterle una parte di lui, un frammento della sua determinazione, in modo che, un giorno, anche lei avrebbe trovato un’uscita disponibile da quel purgatorio.
Quando le labbra di distaccarono la ragazza lo abbracciò stresso a sé, sentendosi stringere a sua volta nel petto del ragazzo. Chiuse gli occhi, lasciando che altre gocce di pianto fuoriuscissero da essi, sorridendo.
«Ti amo Logan! Ti amerò per sempre.»
Ma Logan non rispose, avrebbe voluto dire “Ti amerò per sempre anche io Megan” ma le corde vocali gli impedirono che quei suoni uscissero fuori dalla sua bocca. Le diede un bacio schioccante sulla guancia e si rialzò in piedi afferrando il tubo di ferro, voltandosi verso il rettangolo nero. Sentì una mano sulla spalla, e la strinse alla sua ma senza girarsi verso di lei.
«Vai campione!» sentì, e senza un briciolo di esitazione lasciò la presa della mano e si diresse a passo spedito verso l’uscita di quel luogo. Non si sarebbe voltato, se l’avesse fatto non avrebbe più attraversato quel varco.
Quando i suoi piedi toccarono il pavimento nero e i suoi occhi videro soltanto l’oscurità, si girò ma non vide nulla. Il varco si era chiuso alle sue spalle. Delle lacrime uscirono dai suoi occhi ancora una volta.
«Ti amo Megan» sussurrò abbassando lo sguardo.
Improvvisamente lo stesso medesimo dolore alla testa che aveva provato quando era entrato nella camera ventuno lo colpì con uguale intensità e violenza.
Gli sfuggì un urlo, e come per le volte precedenti cercò di reggersi la testa con entrambe le mani.
«CIELO!» urlò di dolore «BASTA!»
Ma il tutto continuò, facendo credere a Logan che di lì a poco il cervello gli sarebbe esploso. Come per le volte precedenti dei flash bianchi illuminarono la sua vista nonostante gli occhi fossero chiusi.
«CRISTO! BASTA!» gridò, ma il dolore continuò violento fino a quando non si sentì mancare. Cadde a terra, battendo la testa, ma prima di perdere completamente i sensi gli parve di udire la voce ovattata e confusa di un bambino.
“Dylan” pensò.
«Papà?» riuscì a distinguere solo quella parola prima che i sensi lo abbandonarono del tutto.

Edited by °Xander° - 14/11/2009, 03:13
 
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CAT_IMG Posted on 14/11/2009, 01:51

Read that fuc*ing manual or
I'M GONNA HEADBUTT YA!


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DDD8
Cha pathos (non ricordo se si scrive così, e non sò nemmeno se è il significato che sto dando al momento è giusto XDDD) in questo capitolo! D8
Complimentoz 8D *clappeggia
 
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Huskyman
CAT_IMG Posted on 14/11/2009, 12:36




Non ho parole O.O
capitolo meraviglioso!!!
molte cose sono state rivelate,e attendo altre rivelazioni ^^
 
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Dalamar89
CAT_IMG Posted on 16/11/2009, 22:04




E finalmente l'ho letta anch'iooo! *si fustiga molto per non averlo fatto prima*
Davvero complimenti Xanderottolo!! *_______* Il tuo racconto è stupendo e coinvolgente, mi sembra di leggere un libro vero! Ti lascia sempre sulle spine e DEVI sapere come va avanti *A* e sì che io l'ho letto tutto di filata XP
Anche se non conosco il gioco posso dire che l'atmosfera è fantastica, fa davvero venire i brividi! Ogni volta che leggo un capitolo mi attanaglia la stessa sensazione che ho avuto una volta durante un incubo... di incertezza, pericolo costante e inquietudine dovuta al non sapere se quello che sta succedendo è la realtà o no... Wow 8D
Mi piace come sono descritte le situazioni e gli ambienti, tanti dettagli ma allo stesso tempo indeterminatezza, che sia per la nebbia, per il buio o per i suoni atipici! Insomma si "sente" che non si è mai al sicuro!
Poi è bello come all'azione si alternino i flashback, che dovrebbero fare luce e invece fanno anche aumentare gli interrogativi XD Ma anche si scopre il carattere di Logan poco alla volta, ed è un personaggio davvero interessante *_* certo, gliene capitan proprio di tutti i colori poverello... però è un figo perchè va avanti in ogni caso XD E poi si nota che nel personaggio c'è molto di autobiografico quindi il tutto è ancora più credibile : )
Mi piace molto anche Brad! Sono sinceramente preoccupata per lui ogni volta che succede qualcosa! >.< è bello perchè piccolo e carino ma quando serve tira fuori le palle 8D e mi domando perchè sia l'unica persona "normale" che Logan ha trovato a Silent Hill...non vedo l'ora di saperne di più su di lui!
Come hanno detto molti il legame che si crea tra loro due è bellissimo, sono subito una squadra e il loro affiatamento probabilmente li salva dall'impazzire in quel posto! mi è piaciuta la scelta di affiancare a Logan un compagno bambino : )
Però devo dire che l'ultimo capitolo mi ha lasciata un po' di stucco D8 è molto diverso dagli altri, non me lo aspettavo... e poi dopo un trauma del genere non riesco ad immaginare in che stato sia Logan! già era preso male prima..
Povero Logan, deve avere tanti di quei sensi di colpa con tutte le cose che gli sono successe in passato : <

Hai davvero talento a scrivere, Ron! E ammiro molto la tua costanza!
Non vedo l'ora di sapere come continua : D
 
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°Xander°
CAT_IMG Posted on 18/11/2009, 15:59




Grazie mille a tutti.
Dalamarra, sono felicissimo che anche tu abbia cominciato a leggerla, e lo sono ancora di più nel sapere che ti ha appassionata. E' un incoraggiamento in più, davvero ^^.
Si come hai ben detto i flashback chiariscono poche parti, ma creano ancora più domande di quante già non ce ne siano nel presente ... quando mi diverte far rimanere i lettori con il dubbio XD
Grazie mille ancora ^_^
 
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Carambola
CAT_IMG Posted on 5/12/2009, 19:00




Comincio il mio commento chiedendoti scusa per non aver frequentato il topic ultimamente, ma non ti preoccupare, IO SO TUTTO, non mi sfugge nullahhh 8DD
Ho letto tutti i capitoli persi! Mantengo sempre le promesse e figurati se non leggevo la mia fan fic preferita!

Che dire, hai scritto un casino di roba, ottimi capitoli, da quello "delle patatine" come lo chiamo io, XDD all'ultimo, di Dylan...
Allora, una cosa che veramente mi piace della tua fan fic e del tuo stile di scrittura é che non ti limiti solamente a quello che accade a Silent Hill ma anche a quello che succede nella mente del personaggio, in questo modo i lettori non fanno che affezionarsi di più al personaggio leggendo le sue riflessioni, sensazioni...tra l'altro ottimamente descritte!
Un'altra cosa che ho apprezzato degli ultimi capitoli é che andando avanti diventi sempre più abile e attento nelle descrizioni, mentre leggo ho davvero la sensazione di trovarmi accanto al personaggio e sentire le sue stesse emozioni.

Per quotare Dal, ALLUCINANTE! é incredibile come riesci a rendere l'idea del terrore e della paura senza l'utilizzo dei mostri ma con qualcosa di puramente psicologico!!

L'ultimo capitolo....che dire? Scioccante!
Si fa pian piano luce sul passato tormentato di Logan!

CITAZIONE
quando mi diverte far rimanere i lettori con il dubbio XD

LOL! Mi tormentavi di brutto quando ti chiedevo della tipa pazza XDDDDDD

Va beh, seriamente, Xan, un ottimo lavoro, ho letto dei capitoli veramente fantastici, sono rimasta come sempre deliziosamente sparaflashata dal tuo Silent Hill (non avevo dubbi 8D) e aspetto il prossimo capitolo!!!
 
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°Xander°
CAT_IMG Posted on 9/1/2010, 20:28




18
Parte 1



Passarono circa due ore dal momento in cui perse i sensi, dopo un male lancinante alla testa che l’aveva portato oltre la soglia del dolore che riusciva a trattenere.
La sensazione di quel risveglio gli sembrò tale e quale a quella provata la mattina dopo la sua prima sbornia a diciotto anni, la ricordava eccome quella mattina; ciò che non ricordava era quello che era successo la sera precedente. Si era semplicemente risvegliato in un letto che non era il suo, con addosso ancora i vestiti che puzzavano di alcool - tra cui vodka, gin, rum, e se non ricordava male aveva preso anche qualche pastiglia - con un giramento di testa in corso che l’ aveva scombussolato più della sera precedente.
Riprese conoscenza lentamente: prima riacquistò l’udito e non riusciva a sentire altro se non il vento leggero che smuoveva le foglie di alcuni alberi, poi venne il turno della sensibilità dell’intero corpo, e insieme ad esso il dolore per le numerose ferite che riportava, specialmente quella alla spalla. Ad occhi chiusi, fece un ghigno di sofferenza, come se stesse ancora dormendo e stesse sognando qualcosa di sconcertante. Ma purtroppo per lui, l’unico momento in cui poteva dimenticarsi di ogni cosa, in cui riusciva ad essere libero da qualunque preoccupazione, era finito.
Aprì le palpebre lentamente, aggrottando le sopracciglia per lo sforzo che gli costò quel semplice gesto. La vista appannata gli permise di vedere un impasto di colori confusi uno con l’altro, ma lentamente ogni cosa si delineava mostrando il contorno.
Si accorse di essere disteso al suolo a pancia in giù, con la schiena rivolta verso il cielo, mentre la guancia poggiava su un tappeto di ciottoli umidi di acqua.
La felpa era sudicia così come i jeans e le scarpe. In quelle ore in cui si era trovato in stato di incoscienza, con molta probabilità, dal cielo grigio di Silent Hill era caduta la pioggia.
Tentò di muoversi, ma non ci riuscì, come se ogni singolo osso del suo corpo fosse rotto.
Era nel vialetto del motel, proprio fuori dalla camera ventuno, quella camera che l’aveva trasportato in quell’incubo a cui non sarebbe mai riuscito ad abituarsi. Era svanito tutto, facendo ritornare l’intera città in una cappa di nebbia e solitudine. Improvvisamente tutti i sensi tornarono più vivi che mai, con alte probabilità la stanza che condivideva con Brad non era più murata, e di conseguenza, avrebbe potuto rivedere il ragazzino.
Piegò le dita, raccogliendo in un pugno una manciata di sassolini.
«Brad» tentò di dire, ma dalla gola secca gli uscì solo un sussurro. Cercò di muoversi nuovamente, constatando che fortunatamente nessuna delle sue ossa era rotta. Mosse una gamba, spostando una grande quantità di sassolini, il cui suono alle orecchie gli sembrò quello di una frana. Stessa cosa fece con il braccio sinistro, che spostò in avanti con il palmo della mano ancora chiuso. Si sarebbe rialzato e avrebbe iniziato a correre all’impazzata per arrivare alla sua camera e riabbracciare Brad, se non fosse stato per il braccio destro che, non appena tentò di muovere, gli procurò un dolore così lancinante da costringerlo ad urlare di sofferenza. La spalla, ferita al Brookhaven Hospital, non era stata più disinfettata da quando aveva lasciato la sua camera, e di conseguenza, dopo ore, il dolore era insopportabile.
«Dio» sussurrò continuando a tenere gli occhi stretti, dopo che la pena si affievolì.
Diede un pugno alla ghiaia, con la mano del braccio non ferito. Quella città gli stava mostrando ogni sfumatura del dolore: partendo da quello esterno, come le molteplici ferite che gli erano state inferte in tutto il corpo, per finire con quello interno che, probabilmente, era il male peggiore. Ferite aperte che non si sarebbero potute chiudere, e molte, che aveva già faticato a cicatrizzare, si riaprivano, gettandolo in un abisso di sofferenza.
Il ricordo di quello che era successo all’interno della camera ventuno era più nitido che mai, e il solo pensiero gli mise un’ angoscia in corpo tale che pensò di fermarsi. Che senso aveva continuare se quel dolore, che aveva cercato di reprimere, l’avrebbe perseguitato? Come avrebbe fatto ad andare avanti se quel trauma, che aveva dimenticato, gli era stato ricordato tutto in una sola volta? Aveva perso suo figlio, il suo stesso sangue, solo per una distrazione. Perché avrebbe dovuto proseguire con quel senso di colpa che l’avrebbe accompagnato per tutta la vita? Se fosse riuscito nell’impresa di ritrovare Cindy, sarebbe cambiata qualcosa?
La risposta gli arrivò subito dopo.
Se si fosse fermato, sarebbe rimasto in quello sconfinato universo bianco in cui Megan aveva deciso di restare. Ma non lo fece, aveva deciso di uscirne.
“Libera quel ragazzino di cui mi hai parlato e vai a cercare tua sorella” queste erano state le parole dell’ex moglie prima che lo baciasse. Aveva uno scopo, era questo quello che lo aveva spinto ad uscire da lì dentro; il suddetto scopo l’aveva portato ad essere disteso su un tappeto di ghiaia privo di sensi. Megan non aveva nient’ altro per cui continuare a vivere, lui sì. Aveva ancora la speranza. La speranza che sua sorella fosse viva e che sarebbe riuscito a trarla in salvo da quella città. Inoltre c’era qualcun altro che, nonostante non conoscesse molto, aveva preso un posto di rilievo in quel cuore che credeva fosse rimasto impenetrabile dopo la morte di Steve. Era strano, l’aveva solamente portato in salvo dall’ospedale due giorni prima, eppure provava dell’affetto per Brad. Si era chiesto il perché in continuazione, ma non riusciva a trovare una risposta. Sapeva soltanto che quel ragazzino era ormai diventato importante per lui, e avrebbe fatto qualunque cosa, pur di proteggerlo. Erano questi due fattori che gli impedivano di arrendersi e lo incitavano a proseguire.
Alzò la testa guardando il vialetto che, alla luce del giorno, avvolto nel grigiore che aleggiava in tutta la cittadina, gli appariva più lungo di quanto non fosse. L’aveva percorso più di due volte poche ore prima, in una realtà diversa da quella in cui si trovava adesso, eppure gli sembrava ben diverso, non solo per via del fatto che non si trovasse più all’interno di quell’incubo.
Il silenzio faceva da padrone in quel momento, anche il vento che soffiava pochi minuti prima era svanito del tutto, riusciva ad udire solamente il suo respiro pesante e la ghiaia sotto di se che veniva smossa ad ogni boccata d’aria che prendeva.
Doveva rialzarsi. Non aveva idea di cosa ci fosse in giro, ma se fosse rimasto lì a terra e qualche creatura avesse fiutato il suo odore, o in un modo o nell’altro avesse percepito la sua presenza, non avrebbe avuto più speranze alle quali aggrapparsi. In effetti non avrebbe avuto più neanche una testa con cui pensare agli appigli metaforici.
Mosse nuovamente gli arti inferiori e il braccio non ferito, ma il timore più grande era muovere l’altro arto superiore. Prese due enormi boccate d’aria, inspirando lentamente e espirando soffiando dalla bocca. Il coraggio non trovò vie libere dentro di sé, ma nonostante tutto decise di compiere quel gesto ugualmente. Stinse gli occhi e i denti e lo fece. Poggiò il palmo della mano nello strato di ghiaia, e la sensazione che ebbe prima di urlare di dolore, fu quella di tanti cocci di vetro che gli trafiggevano il palmo. Fece forza su entrambe le braccia, alzando lo sguardo verso il cielo grigio mentre reprimeva un grido, cosa che gli risultò impossibile. Urlò con quanto fiato avesse nei polmoni, chiedendosi se con un gesto del genere avrebbe attirato l’attenzione di qualche creatura, o meglio, di Brad.
Poggiò, con immediata prontezza, la mano che tremava convulsamente, all’altezza della spalla, in ginocchio, a denti stretti e occhi sbarrati, mentre respirava affannosamente emettendo rochi versi dalla gola. L’infezione aveva fatto il suo effetto, e se non avrebbe raggiunto la clinica medica in tempo, quello sarebbe stato solamente l’inizio di un’agonia enorme. Scosse la testa eliminando ogni pensiero, l’unica cosa su cui doveva concentrarsi era quella di rimettersi in sesto e andare verso la sua camera, sperando che Brad fosse sano e salvo. Non avrebbe sopportato di perderlo, non dopo quello che avevano condiviso insieme in quei giorni: si erano protetti a vicenda, avevano scherzato e parlato. Logan sapeva benissimo che erano cose banali, ma l’affetto che provava per quel ragazzo era sincero.
Aprì gli occhi, il fiato ancora pesante e un’espressione sofferente stampato in volto. La mano tremante pressava la ferita alla spalla destra, che bruciava come un pezzo di ferro rovente, un dolore che non veniva circoscritto solo alla zona della ferita, ma all’intero corpo. Partiva dalla spalla per diramarsi in ogni direzione del suo corpo, come un terremoto le cui scosse si prolungano per un tragitto lungo anche chilometri, ma nonostante tutto resta l’epicentro la zona in cui la violenza del fenomeno è maggiore.
Cercò di issarsi facendo forza sulle sole gambe, e nonostante gli costasse una enorme fatica non poter contare sull’ausilio degli arti superiori, riuscì a rimettersi in piedi. Continuò a guardare il vialetto e l’idea che fosse differente da come l’avesse lasciato non mutava, era proprio lo stesso che aveva percorso più volte, eppure gli sembrava diverso in qualcosa. Con molta probabilità si trattava solo di una sua stupida convinzione, e le convinzioni, si sa, cambiano il modo di vedere la realtà. Lo sguardo cadde a terra, dove vide il suo fidato tubo di ferro, resistente come sempre, che l’aveva salvato per più di un’occasione. Piegò le ginocchia sperando di non avere alcun capogiro e quindi di non cadere a terra e ritrovarsi nuovamente al punto di partenza, e afferrò il tubo di ferro con la mano sinistra, dopo averla levata dalla spalla. La consistenza del ferro, la presa salda stretta attorno ad esso, gli fecero riacquistare più sicurezza; quell’oggetto non era solamente un’arma, ma anche l’unica sua fonte di salvezza in quella cittadina.
Si rimise nuovamente in piedi, prendendo una boccata d’aria talmente gelida che per un momento pensò che i polmoni gli si sarebbero congelati, impedendogli di respirare nuovamente. Cercò di udire qualcosa e il risultato non fu positivo. L’intero motel era avvolto dal silenzio, ma il pericolo non emetteva rumore, l’aveva imparato girando per le strade di quella città. Non doveva mai abbassare la guardia o non avrebbe avuto più nulla a cui aggrapparsi per continuare la sua ricerca.
Lentamente, cominciò a camminare, barcollando incerto proprio come un bambino che compie i primi passi cercando di raggiungere il divano vicino. Si voltò un’ultima volta verso quella porta, la stanza numero ventuno, chiedendosi cosa fosse successo se avesse provato nuovamente a toccare la targhetta in metallo inciso. Non ci avrebbe provato, non dopo ciò che era successo. Dopo essere stato catapultato in una realtà insana dello stesso posto in cui si trovava in quel momento, dopo aver rischiato di essere ucciso dalla creatura che gli aveva dato la caccia, dopo aver ricordato cose dimenticate. Quella porta era ormai priva di significato. Forse.
Si diresse verso le scale che l’avrebbero condotto al piano superiore, nonostante il dolore provocato dall’infezione che stava lentamente facendo strada sempre più in profondità, la gioia nel poter vedere Brad sano e salvo lo spinse ad accelerare il passo. Arrivò nel punto in cui l’enorme pilone del mulino a vento gli aveva sbarrato la via in quell’incubo, guardando a terra non scorse nulla. Non un minimo segno nel pavimento, nulla fuori posto. Il desiderio che entrambe le realtà potessero coincidere in qualcosa, magari per farsi una minima idea di quello che stava succedendo, si infranse. Sbuffò continuando a guardare a terra, nulla aveva più un senso. Beh, in realtà nulla non aveva mai avuto senso da quando aveva messo piede a Silent Hill, il che lo portò a pensare se davvero tutto quello che gli era successo non fosse avvenuto per puro caso o avesse tutto una logica. Una sola volta aveva avuto lo stesso dubbio, durante un avvenimento che aveva rimosso dalla testa, e che adesso ricordava alla perfezione. Un ricordo limpido, come se fosse successo il giorno precedente, così presente, così reale da perdercisi dentro. La morte di suo figlio lo portò a chiedersi, poco prima che il trauma rimuovesse dalla sua mente la dinamica dell’accaduto, se tutto fosse successo per caso o se fosse realmente stata colpa sua. Ovviamente sapeva la risposta, e illudersi che fosse stato il caso a volere che Dylan finisse sotto una Mercedes, avrebbe soltanto peggiorato la situazione in cui si trovava. La colpa, come aveva affermato disperato all’interno della camera ventuno, era solo ed esclusivamente sua, la distrazione di un attimo che aveva stravolto la vita di una madre e la mente di un padre.
Alzò lo sguardo, fermo ancora dove si trovava l’ostacolo che gli impediva di raggiungere la sua camera. La pallidezza della sua pelle e la stanchezza del corpo l’avrebbero facilmente fatto passare per morto vivente, ma non c’era nessuno che potesse vederlo. Nessuno avrebbe potuto accorrere verso di lui e chiedergli se avesse bisogno di aiuto, nessuno avrebbe potuto sostenerlo nella sua impresa. Silent Hill era una città fantasma.
“Magari fosse solo quello” pensò ironico mentre riprendeva a camminare.
Si chiese che fine avesse fatto Gwen, era ancora viva? L’avrebbe incrociata nuovamente nel corso della sua disperata ricerca? Logan suppose che, con la stessa probabilità con cui avrebbe rivisto Brad vivo e al sicuro, avrebbe rivisto anche Gwen con le sue provocazioni e il suo comportamento da lurida puttana. Era certo che la prossima volta che l’avrebbe vista le avrebbe strappato dalla trachea tutte le informazioni che voleva sapere. Ma un dubbio attanagliò la sua mente: se fosse morta? Era l’unica persona a Silent Hill a sapere qualcosa su Cindy, e se l’unica fonte di informazioni fosse andata perduta, si sarebbe ritrovato nuovamente a vagare nel nulla di quella città. Inoltre non poteva essere certo se l’informazione che avesse riguardo a Shawn Walker fosse fondata. Non sapeva nemmeno chi fosse quel dottore, aveva solamente letto il suo nome sulle cartelle cliniche al Brookhaven Hospital, e saputo che Brad sapeva chi fosse. Ma più di tanto non gli era consentito sapere, così come molte cose di quella cittadina. Ovviamente c’erano stati momenti in cui gli sembrava tutto così chiaro da poter essere fermamente sicuro di quello che pensava, ma quello non era uno di quei momenti. In quel momento l’angoscia premette così tanto la sua volontà di proseguire, che dovette fare uno sforzo pari a quello fatto per rimettersi in piedi, per reprimere, sebbene in piccola parte, quella sensazione.
Un leggero vento gelido aveva cominciato a tirare, provocando lo stesso suono che aveva udito non appena aveva ripreso i sensi, lo scosciare delle poche foglie secche attaccate ai rami degli alberi oltre il muro in mattoni che circondava il motel. La felpa, nonostante tenesse caldo il suo corpo, non fermò il tremito di gelo che lo percorse da capo a piedi. Involontariamente, come faceva sempre, alzò entrambe le spalle per provocare quel brivido caldo che avrebbe contrastato quello gelido, ma aveva dimenticato che una delle due era fuori uso, e la fitta arrivò così inaspettata e potente che per un attimo fu convinto che l’arto gli fosse stato amputato. Era pronto a guardare alla sua destra per vedere il suo braccio cadere a terra come quello di un manichino, atterrare sul terreno mentre all’altezza della scapola, visibile ad occhio nudo fuoriusciva sangue a fiotti. Ma non vide nulla di tutto ciò, non solo perché non successe nulla di quello che aveva pensato, ma perché la vista gli mancò di colpo dal forte dolore. Vide tutto nero nonostante gli occhi fossero aperti. O erano chiusi? In quell’istante il movimento delle sue palpebre era l’ultimo dei suoi pensieri. Il dolore iniziò come una scarica di breve intensità per aumentare drasticamente esplodendo in tutta la sua potenza, proprio come un tuono di cui si riesce ad udire la leggera scarica iniziale per poi arrivare al boato effettivo. Cercò di afferrare nel vuoto qualcosa a cui appoggiarsi, ma non trovò nulla e dopo aver barcollato per due o tre passi cadde in ginocchio. La forza per urlare non era sufficiente, gli era stata strappata via anche quella. Tenendo i denti serrati l’ unico suono che gli uscì dalla gola fu un verso gutturale, mentre la mano che reggeva il tubo di ferro e poggiata alla ferita tremava convulsamente. Solo dopo una decina di secondi la vista gli ritornò facendolo ripiombare dal vuoto nero a Silent Hill.
Vide la nebbia, il cielo grigio, il pavimento e qualcosa gocciolare su di esso. Con la mano ancora tremante, la passò alla fronte, notando come stesse sudando. Se la sua Jeep fosse stata parcheggiata nel posteggio del motel, il termometro avrebbe indicato qualcosa come sette gradi centigradi. Eppure Logan sudava, e ciò significava soltanto una cosa: il suo stato stava peggiorando progressivamente e ad alta velocità. Quale sarebbe stato il prossimo stadio? Avere visioni? Ne stava già avendo senza che l’infezione facesse il suo sporco gioco, sempre se di visioni si trattavano. Perdita di memoria? Aveva già dimenticato abbastanza. Deliri? Crisi?
Gli si raggelò il sangue al solo pensiero di ciò che sarebbe potuto accadergli. Una volta ricongiunto con Brad avrebbe aspettato che il sole sorgesse, anche se in quella città era solo un modo di dire, per poi andare verso la Ridgeview Medical Clinic.
Per il momento però, si ritrovava nuovamente inginocchiato, e se per ogni minimo movimento brusco della spalla sarebbe finito in giù sarebbe stata estremamente dura raggiungere l’obbiettivo prefissato. Una volta che il fiatone passò si rimise con fatica in piedi non mollando la presa del tubo di ferro e soprattutto non levando la mano dalla spalla destra.
Riprese a camminare, con lo stesso andamento precedente, ma con meno pensieri per la testa, il che gli fecero sembrare il tragitto rimanente per le scale più breve di quanto non lo fosse. Una volta arrivato di fronte alla scala il cuore prese a battergli più forte. Se non fosse stato così felice di poter finalmente rivedere il ragazzino, si sarebbe di sicuro terrorizzato che fosse uno degli effetti collaterali dell’infezione che lo stava sfinendo. Reggendosi al muro con la mano salì lentamente i gradini, uno per uno, e ad ogni gradino sentiva già il calore della sua camera, la gioia di Brad nel rivederlo, la morbidezza del letto nel quale si sarebbe disteso facendo le proprie scuse al ragazzino.
Fu proprio quando mise piede sull’ultimo gradino che udì, da qualche parte, lontano da dove si trovava ma incapace di capire se provenisse dall’interno del motel o dalle strade di Silent Hill, una serie di urli disperati che finirono di botto con qualcosa che, alle orecchie di Logan, parve uno sparo. Si voltò osservando solamente la nebbia silenziosa che trapassava ogni cosa come un mare di spettri, mentre la quiete aveva ricominciato a regnare. Le palpitazioni euforiche parvero fermarsi, per il terrore di ciò che aveva appena udito. C’era qualcuno vivo, da qualche parte, e se quello che aveva sentito era stato davvero uno sparo, il verbo che aveva utilizzato sarebbe stato corretto: c’era. Ricordò immediatamente cosa era successo la stessa notte in cui aveva pernottato nello chalet per la via principale che l’avrebbe condotto in quella città.
Sssssssssssssssssssssssssssssssssssss…
Non voleva pensare a quel sibilo, a quella voce che aveva qualcosa di malato e folle; quella voce che l’aveva portato allo stremo della sua pazienza con non meno di cinque frasi e che l’aveva spinto a sparare a chiunque ci fosse fuori dalla stanza, nonostante non avesse mai avuto l’occasione di impugnare una pistola e il cervello non gli avrebbe mai mandato un impulso nervoso capace di fargli muovere il dito, premendo così il grilletto. Non voleva pensare a chi vide fuori, quella sua copia identica che lo guardava e rideva con quella risata stridula, mentre notava che il proiettile aveva colpito se stesso senza alcuna logica alla spalla destra, la stessa spalla nella quale, in quel momento, aveva una ferita d’arma bianca infetta.
Scosse la testa con forza per scacciare quei ricordi, reali o falsi che fossero. Era finalmente arrivato, dopo un paio di passi lenti, di fronte alla sua camera. Alzò la mano sinistra per bussare, ma bloccò il pugno a mezz’aria, quando un dilemma gli si presentò in testa. Cosa avrebbe detto per scusarsi con Brad? Quale scusa gli avrebbe inventato questa volta? Non poteva dirgli nulla, né dell’inferno in cui era stato piombato, né tantomeno di ciò che aveva visto nella camera ventuno, non poteva parlargli di Dylan. Eppure se davvero credeva che quel ragazzo fosse la cosa più importante che aveva in quel momento, doveva dirgli tutto. Erano ormai una sorta di squadra, non avrebbe mai dimenticato come l’aveva salvato da quella creatura a Munson Street, quando gli sembrava che tutto fosse finito. Sì, gli avrebbe raccontato tutto.
Bussò, e dopo una ventina di secondi la porta si aprì.
In quel momento l’unico sentimento presente nell’anima di Logan fu la felicità. Aveva dimenticato perfino Cindy o la ferita, non appena vide Brad di fronte a sé, incredulo, come se alla porta avesse bussato una star di Hollywood.
«Logan!» esclamò il ragazzino mollando la presa dal pomello della porta e buttandosi incontro al ragazzo, che istintivamente si inginocchiò su una sola gamba, protendendo il braccio sinistro con un sorriso in volto.
Sentì le braccia di Brad stringersi sul suo collo, mentre sulla spalla dolorante sentì il mento del ragazzino poggiarsi e senza volerlo contrasse i muscoli digrignando i denti, ma talmente tanto era l’entusiasmo di entrambi che Logan non badò al dolore che gli apparve solo come un leggero pizzico, e Brad non si accorse della contrazione del ragazzo che stava abbracciando.
«Mi sei mancato» sussurrò Logan all’orecchio di Brad.
Ma il ragazzino non rispose, strinse ancora di più l’abbracciò facendogli sentire un’altra leggera fitta.
«Perdonami Brad» continuò a sussurrargli accarezzandogli la testa, accorgendosi che alcune lacrime stavano rigando il suo volto. Era questo quindi il momento in cui era pronto ad ammettere a se stesso di provare un affetto profondo verso quel ragazzino.
Quando notò che Brad singhiozzò, fu lui stesso a stingerlo a sé, non sapeva la causa di quelle lacrime da parte del ragazzino ma era certo che Brad aveva bisogno di un conforto, e lui gliel’avrebbe dato.
«Cos’è successo Brad?» chiese a bassa voce non mollando la stretta, ma il ragazzino non rispose, continuando a singhiozzare.
Vide la sua camera, proprio come la ricordava, accogliente ma c’era più confusione di quanta ne aveva lasciata.
«Ehi, ehi, Brad calmati sono mancato solo poche ore» gli disse con tono consolatorio continuando ad accarezzargli i capelli castani scompigliati.
Fu allora che sentì la stretta allentarsi, mostrando il viso del ragazzino bagnato di lacrime, ma che lo guardava come se avesse detto qualcosa di assurdo.
«Che c’è?»
Brad tirò su col naso, asciugandosi gli occhi con un pugno chiuso, ma non rispose. Logan lo afferrò delicatamente per le spalle, guardandolo negli occhi.
«Ehi, cosa è successo?»
«Non sono … » si bloccò asciugandosi nuovamente gli occhi da cui erano riprese a scendere altre lacrime « … Logan, sei … mancato cinque giorni.»
«Cosa?» chiese Logan sussultando e sgranando gli occhi.

Edited by °Xander° - 10/1/2010, 10:20
 
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Carambola
CAT_IMG Posted on 10/1/2010, 13:48




Letto anche quest'ultimo capitolo..o meglio, la prima parte!
E infatti attendo la seconda!

L'avevi detto che questo capitolo sarebbe stato più narrativo. Io sono abituata a storie con più dialoghi XD, ma devo dire che é stato davvero niente male, una narrazione decisamente dettagliata, in un capitolo che da' carta bianca alle sensazioni (di dolore più che altro) del protagonista, al terrificante luogo ...Lo chiamerei, appunto, Il capitolo del dolore, visto che Logan sta proprio male.
Grazie al cielo lui e Brad si ritrovano , attimo commovente ma allo stesso tempo terrificante.....vista la rivelazione finale!
Per questo non vedo l'ora di scoprire che cosa é successo a Logan nei 5 giorni in cui é stato via.
Ancora ottimo lavoro, inutile che te lo dica, un bel capitolo scritto bene e molto interessante, anche con pochi dialoghi!
 
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Dalamar89
CAT_IMG Posted on 10/1/2010, 15:37




Wow! Alla faccia dell'introspezione! Direi che sia un'idea abbastanza completa di quanto sia sfinito Logan in questo momento! XD poveraccio, distrutto in tutti i sensi... è uno straccio! ci vorrebbe un fagiolo di Balzar
Una parte molto descrittiva, ma direi che ci voleva dopo tutte le cose che sono successe! ci sta molto il paragone con il doposbronza
Io sono curiosa di sapere se a Brad è successo qualcosa nel frattempo 8D
 
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Huskyman
CAT_IMG Posted on 11/1/2010, 13:36




Grandioso l'effetto improvviso della rivelazione finale! ^^
questa lunga parte narrativa è stata davvero molto interessante,poichè ha fatto focalizzare tutta l'attenzione sull'animo di Logan straziato sia fisicamente che psicologicamente...
ancora una volta,ottimo lavoro :)
 
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°Xander°
CAT_IMG Posted on 23/1/2010, 02:10




18
Parte 2



Di sicuro Brad era sconvolto, a tal punto da portarlo a dire cose prive di ogni senso. Non era neanche lontanamente possibile che fosse rimasto via per cinque giorni, dato che erano passate poco meno di una decina di ore.
«Scherzi, vero Brad?» gli disse deglutendo, nonostante non avesse nulla da mandare giù per la gola, il che lo portò a sentire un pizzico leggero.
Il ragazzino alzò il volto dal parquet della camera in cui alloggiavano entrambi agli occhi di Logan, guardandolo con uno sguardo che andava oltre la rabbia.
«Ti sembra che io stia scherzando?» chiese alzando leggermente la voce, mentre le lacrime continuavano ad uscirgli dagli occhi «Credi che mi diverta a prenderti in giro?»
Non sapeva cosa pensare. Brad non mentiva, erano davvero passati cinque giorni come aveva detto. In quel momento si sentiva vuoto, come se avesse perso qualcosa che non avrebbe mai più potuto prendere nuovamente. Era il tempo ciò che era passato, senza che avesse potuto accorgersene, senza alcuna percezione. Il tempo gli era sfuggito di mano ed era corso avanti lasciandolo indietro.
“Il tempo” pensò corrugando le sopracciglia e poggiandosi la fronte sulla mano “Il tempo mi è stato rubato.”
«Brad» iniziò osservandolo negli occhi castani «non ti sto dando del bugiardo. È solo che … »
«Bene! Non credermi!» sbottò il ragazzino allontanandosi da Logan e rientrando dentro.
«Io voglio crederti Brad! Sono sincero, ma ti assicuro che è successo qualcosa, che mi ha portato a credere che siano passate solo poche ore» gli disse rimettendosi in piedi, e fu allora che una fitta di dolore gli attraversò la spalla da parte a parte.
Emise un sordo suono rauco stringendo i denti, ma non tanto sordo da non arrivare alle orecchie di Brad, che subito si precipitò verso di lui.
«Cos’hai?» chiese allarmato.
Logan non poté rispondere, la fitta gli aveva impedito di prendere fiato e proferire parola, ma lo rassicurò con un gesto della mano, come per fargli capire di non preoccuparsi.
«È la ferita alla spalla, vero? Quella di cui non mi hai voluto parlare.»
«Sì» sussurrò con un filo di voce mentre posava il tubo di ferro sul mobiletto all’ingresso, per poi sedersi sul letto.
La sensazione di avere qualcosa di morbido su cui sedersi fu più che gradita, dopo aver passato ore – o giorni? – alzato o disteso in superfici gelide e dure come la pietra. Un desiderio irrefrenabile era quello di distendersi e poter stare comodo, magari sotto le coperte, senza pensare a nulla se non al calore che sentiva; l’avrebbe di certo fatto se non avesse perso, inspiegabilmente e senza rendersene conto, cinque giorni della sua vita. Era stanco, e la voglia del riposo era grande quanto il numero di domande che gli stavano passando in testa in quel momento. Vide Brad che, dopo aver chiuso la porta dell’ingresso a chiave con tre scatti, andò in bagno a prendere la cassetta del pronto soccorso.
«No Brad» sospirò guardandolo dirigersi verso di lui «Non ce n’è bisogno.»
Il ragazzino lo osservò con un’ espressione tra lo stupito e l’arrabbiato. Con molta probabilità lo stava prendendo per uno squilibrato, che aveva un assoluto bisogno di aiuto ma che allo stesso momento non ne voleva.
«Levati la felpa che cerco di disinfettare quella ferita» disse Brad, quasi come un ordine, mentre indicava con la mano libera la felpa nera del ragazzo che gli stava di fronte.
«Sul serio Brad, non è così grave.»
«Ah no?» chiese abbassando lo sguardo a terra.
La reazione di Brad fu così veloce da non potergli permettere neanche di evitare di sentire un dolore fortissimo. Il ragazzino diede una pacca abbastanza potente alla spalla di Logan, e non appena la mano poggiò sulla ferita, la sofferenza fu oltre ogni limite.
«CRISTO SANTO! BRAD!» urlò chiudendo gli occhi per il forte dolore e tamponando la ferita con la mano sinistra.
Vide tutto bianco nonostante avesse gli occhi chiusi, ormai era agli sgoccioli. Dovevano andare alla clinica medica il più presto possibile, l’indomani stesso sarebbero partiti. Ma il dolore gli fece sparire il pensiero della clinica che gli era passato davanti in maniera inconsistente, come la nebbia che aleggiava perennemente a Silent Hill.
«TI HA DATO DI VOLTA IL CERVELLO?!» sbraitò aprendo gli occhi e guardando Brad, davanti a sé, parecchio tranquillo con la cassetta del pronto soccorso ancora in mano.
«L’hai detto tu stesso che non era grave» lo informò «Non prendertela con me. Ora levati quella felpa.»
Non poteva fare altro, o avrebbe di certo ricevuto un’altra pacca poco amichevole da parte del ragazzino. Con la massima cautela alzò entrambe le braccia, afferrando il colletto della felpa e lo tirò su, facendo sprofondare la testa in essa. Una volta uscito il busto e la testa, passò alle maniche, e con la medesima cautela fuoriuscì il braccio sinistro per primo e successivamente il destro, evitando di muovere violentemente la spalla. Restò a torso nudo, in quella camera priva di ogni riscaldamento, mentre il freddo lentamente lo prendeva con sé arrivando fino alle ossa. Voleva rabbrividire ma sapeva che se l’avesse fatto il dolore sarebbe ritornato, più violento che mai.
«Sii veloce. Ti chiedo solo questo» disse osservando il ragazzino aprire la cassetta del pronto soccorso e prendere del disinfettante, inzuppando un batuffolo di cotone idrofilo.
«Ora devi farmi il favore di non muoverti. Peggioreresti ancora di più la situazione» lo avvertì il ragazzino poggiando la mano delicatamente sulla parte superiore della spalla destra, levando le bende e le garze macchiate di sangue, sentendo i muscoli contrarsi sotto il proprio tatto.
«Smettila Logan» lo ammonì quasi cantilenando «Non posso aiutarti se continui ad irrigidirti.»
In quel momento gli sembrava di essere tornato bambino, quando sua madre gli disinfettava le varie ferite alle ginocchia che si procurava quando giocava in giro per il quartiere dovute a qualche caduta; ogni volta si dimenava per la paura che potesse fare male, per la reazione che il medicinale avrebbe avuto con la ferita aperta. Sarebbe stata di sicuro questa la reazione che avrebbe avuto se avesse potuto muovere la spalla.
«Brucerà?» chiese con un tono preoccupato al ragazzino che avvicinava il batuffolo di cotone idrofilo alla ferita.
«Ti consiglio di stringere i denti» gli rispose guardandolo negli occhi.
Non ebbe neanche la possibilità di chiedere cosa avesse detto, che un bruciore intenso partì dalla ferita per diramarsi in tutto il corpo come se un’enorme quantità di polvere ardente stesse circolando nel suo intero sistema sanguigno. Abbassando la testa, vide solamente il cotone idrofilo poggiato su uno strato di pelle rialzato come una piccola collinetta violacea, e poi anche la vista lo abbandonò a causa degli occhi che si chiusero istintivamente. Fece proprio come gli aveva consigliato Brad, stinse i denti, il più forte che poteva. Contrasse i muscoli della spalla al massimo, e ciò gli causò una fitta di dolore. Si fusero entrambi, il dolore della ferita e il bruciore del tampone usato da Brad, in un’unica e lancinante pena. Avrebbe voluto svenire per non sentire più quel dolore ma il suo desiderio non venne esaudito. Gridò a denti stretti mentre Brad continuava a tenergli stretta la spalla, tamponando la ferita.
«Abbiamo quasi finito Logan» lo rassicurò il ragazzino, ma Logan continuava a provare quel dolore apparentemente senza fine.
Brad gettò via il cotone macchiato di sangue e pus, prendendone un altro batuffolo e inzuppandolo di disinfettante, afferrò nuovamente la spalla di Logan e il dolore riprese con il suo secondo round. Soffriva come sotto tortura eppure stette immobile, per evitare di peggiorare la situazione come aveva detto il ragazzino. Un’altra vampata di bruciore prese a circolargli per l’intero corpo, partendo dalla ferita per poi diramarsi ovunque. Il sudore riprese a scivolare sul viso dalla fronte, ma era convinto che la causa non era la ferita, bensì lo sforzo che stava facendo per non muoversi e sopportare tutto. Grugnì ancora a denti stretti, alzando la testa verso il soffitto dove il ventilatore da soffitto continuava a ruotare per far circolare l’aria. Credeva di stare per impazzire, troppo dolore in una sola volta. Si chiese se in guerra i soldati provassero quei dolori ogni singolo giorno, e dovette ritenersi, in un certo senso, fortunato di non essersi mai arruolato. Istintivamente mollò la stretta del piumone per poggiare la mano sulla spalla del ragazzino, per avere un minimo di sostegno. Sapere che era ancora lui a procurargli quel dolore, lo rasserenava lievemente.
«Ho finito Logan. Ho finito» lo informò levando il cotone dalla ferita e gettandolo nel cestino «Devo solo mettere qualche garza e bendare la ferita, ma il peggio è passato.»
La stretta sulla spalla di Brad andava ad affievolirsi, insieme al fiatone che aveva subito dopo aver terminato la disinfezione. Inspirava ed espirava a denti stretti riaprendo lentamente gli occhi guardando Brad intento a prendere l’occorrente dalla cassettina del pronto soccorso.
«Cielo» sussurrò tra un sospiro e l’altro, asciugandosi il sudore dalla fronte con il braccio sinistro «Credevo non avesse più fine.»
«Lo so, è sempre così per ogni ferita infetta» alzò lo sguardo verso il viso di Logan «Che fortuna avere un padre che lavora come medico eh?»
«Una fortuna sfacciata Brad» rispose abbozzando un lieve sorriso scompigliandogli i capelli «Fortuna che ci sei. Sono contento di avere qualcuno come te al mio fianco.»
Il ragazzino non rispose, in preda all’imbarazzo abbassò lo sguardo sorridendo, ricominciando la sua ricerca delle garze. Una volta trovate ne prese alcune poggiandole delicatamente nella ferita.
«Perché non mi racconti che cosa è successo? Come mai sei mancato così tanto?»
Logan immaginò che lo stesse chiedendo, non solo perché voleva davvero sapere cosa l’aveva portato nell’allontanarsi per così tanto tempo dalla sua stanza, ma anche perché l’avrebbe distratto da ogni minimo dolore che gli avrebbe provocato nell’applicazione delle garze. Fu quindi quello il momento della verità, come aveva già detto a se stesso, sarebbe stato sincero con Brad, non voleva mentire all’unica persona a cui teneva più di ogni cosa.
«Come potrai immaginare, non sono andato a prendere alcuna bevanda. Ricordi quando eravamo affacciati dalla finestra pochi minuti prima che andassi via? Mentre cercavamo di scorgere un movimento qualunque?»
Brad annuì non guardandolo in faccia.
«So che ce l’hai con me perché ti ho mentito … »
«Sei l’ultima persona al mondo con cui posso avercela» lo informò bloccando il discorso «Se l’hai fatto, è perché non volevi che corressi qualche pericolo.»
«Sapevo che eri troppo sveglio per non capirlo» disse sorridendo arruffandogli i capelli.
«Dai Logan, smettila!» gli disse spostando la testa imbarazzatissimo.
«In ogni caso, in quel momento ho visto qualcosa. Un luccichio, una specie di flash proveniente da una camera al piano di sotto. Sono andato a controllare, e non ti dico ciò che ho visto.»
«Credi che abbia paura dopo tutto quello che abbiamo passato?»
«Sì Brad, perché io sono terrorizzato per quello che sta succedendo.»
Il ragazzino stette in silenzio, applicando altre bende delicatamente alla spalla del ragazzo. Logan ridacchiò osservandolo.
«Ho fatto centro, non è vero?»
Anche Brad proruppe con una risata, che fece capire a Logan di aver indovinato. La paura non poteva essere eliminata in alcun modo, d’altronde avere paura li rendeva umani, ma avere terrore li rendeva indifesi. E da quando aveva messo piede a Silent Hill, capì quanto la paura potesse essere infinita.
«Una volta che vidi cosa c’era in quella stanza, avevo intenzione di ritornare qui, ovviamente dopo aver preso qualche bibita per mascherare la vicenda. Fino a quando non venni attratto da una camera in particolare e AHI!»
«Scusa, colpa mia!» si scusò il ragazzino levando di scatto le mani dalla ferita.
«Dicevo, non avevo idea del perché fossi così attratto da quella stanza, cercavo di contrastare quella voglia di toccare la targhetta incisa, ma ero come richiamato da essa. Una volta toccata … » si bloccò chiedendosi se era meglio tacere sulla questione dell’incubo in cui spesso veniva scaraventato « … Da quando sono a Silent Hill, per più di una volta sono stato, travolto da un incubo.»
«Sì Logan, non sei l’unico.»
«No, è differente. Ricordi quando al Brookhaven Hospital ci siamo separati? Bene, in quel caso io sono stato piombato in questo incubo, mentre per te è rimasto tutto come sempre. Io ero nello stesso posto, lo stesso identico posto ma era tutto differente, era tutto … malato. Sangue ovunque, ferro, ruggine. È questo l’incubo di cui ti parlo.»
Abbassò lo sguardo verso Brad che lo guardavo con occhi sgranati.
«Credo che la ferita ti stia facendo delirare, Logan.»
«Non è un’allucinazione … » si bloccò poggiando la fronte in una mano « … o almeno, non credo. Ma ti assicuro che questa ferita me la sono procurata da una creatura al terzo piano dell’ospedale.»
«Impossibile, ci sono passato, e oltre ad un continuo rumore di acqua che cadeva non c’era nulla.»
«Vedi? È questo quello di cui ti parlo, eravamo entrambi nello stesso luogo, eppure nel contempo era differente.»
«È meglio se riposi Logan.»
«Non prendermi per pazzo, ti prego! È successa la stessa identica cosa quando ho toccato la targhetta di quella stanza. Di solito sentivo il suono graffiato di una sirena d’allarme antiaerea prima che succedesse questo, cambiamento, ecco perché te l’ho chiesto una volta usciti dall’ospedale.»
Fece una pausa corrugando la fronte a testa bassa mentre con la mano la massaggiava.
«Ma questa volta sono stato sparato all’interno dell’incubo. E come prima cosa sono venuto a cercarti. Non c’era nessuno nella mia mente, neanche mia sorella Cindy. C’eri solo tu, Brad. Ho visto l’ingresso della nostra camera, murato da uno strato spesso di cemento e guarda … » gli mostrò le nocche ferite della mano destra
« … questo me lo sono procurato dando un pugno a quello strato di cemento. L’unica via per poter tornare era entrare all’interno della camera che mi aveva sbattuto lì. Ho rischiato di morire Brad.»
«Sai che novità» disse ironico fermando la bendatura con un cerotto.
«Era lui, Brad. L’essere che ci ha seguiti all’ospedale.»
La scatola di cerotti cadde a terra dalle mani del ragazzino che lo guardava terrorizzato.
«Sì, ci ha inseguiti. Pensavamo di averlo lasciato indietro, e invece non è stato così. Ci fiuta Brad. Ci sente. E credo che non si fermerà fino a quando non ci avrà fatto fuori. So benissimo di non doverti dire queste cose, ma se stessi in silenzio non agevolerei la situazione, ti mentirei di nuovo. E le bugie sono finite.»
Era vero, le bugie per Brad potevano definirsi concluse. Sarebbe stato sincero con quel ragazzo da quel momento in poi. Non gli dette il tempo di dire qualcosa, continuando la sua storia.
«Una volta che l’ho scampata, sono riuscito ad entrare in quella stanza. E lì ho trovato qualcuno che né ora e né mai avrei immaginato di vedere: la mia ex moglie. Non riusciva ad uscire da lì, e non sarei potuto più uscire neanche io se non avessi avuto dei motivi per cui andare avanti.»
«Cindy?» chiese Brad, intrappolato in quel racconto come un bambino con una favola.
«Non solo» puntò l’indice verso di lui «Anche tu.»
«Io?»
«Esatto. Brad tu sei riuscito in ciò in cui molti hanno fallito. Sei riuscito a prenderti un posto di rilievo qui» si bloccò spostando l’indice dal ragazzino al petto, all’altezza del cuore «Avevo un amico tempo fa. Si chiamava Steve. Sono cresciuto insieme a lui e abbiamo condiviso insieme ogni cosa, ogni dolore e ogni gioia. Era il mio unico appiglio quando Cindy scomparve, l’unica luce in un mondo che mi appariva nero. Poi … »
Si bloccò, ogni volta che ricordava ciò che era successo, la tristezza lo assaliva.
« … Poi è morto.»
Brad lo osservava con un misto di compassione, gratitudine e incredulità. Comprensibile, tutte quelle spiegazioni, quei segreti e quelle emozioni salite a galla insieme e all’improvviso.
«Da allora nessuno ha avuto importanza per me. Nessuno. Fino a quando non ho incontrato te Brad, tu in un certo senso hai colmato il vuoto che Steve mi aveva lasciato. Lo so che è una cosa impossibile, dato che sono passati solo pochi giorni da quando ci siamo incontrati per la prima volta. Però voglio dirti che ti voglio bene Brad, non sopporterei di perdere un’altra persona a cui ten … »
Non riuscì a finire la frase. Brad lo abbracciò poggiando il mento nella sua spalla e cingendogli il collo. Con molta probabilità, pensò Logan, nessuno aveva mai tenuto così tanto a lui eccetto i suoi genitori. Ma le lacrime che cadevano dal volto di Brad e che bagnavano la sua schiena nuda gli fecero capire che forse era la prima persona ad avergli mai detto quelle cose. Lo strinse a sé nonostante la spalla facesse ancora male, ma quello era il momento che aveva paura di non riprovare più, da quando Steve aveva smesso di vivere, e voleva goderselo. Era una sensazione strana, tenere stretto a sé Brad era come tenere stretto il suo vecchio amico, nonostante i due avessero solamente una cosa in comune: la sua amicizia. Sentì le braccia del ragazzino stringersi di più sul collo, e istintivamente anche lui aumentò la stretta. A quanto pare non era il solo ad aver bisogno di un amico, di qualcuno di cui fidarsi o a cui dare affetto. Brad aveva passato qualcosa di simile, ed era sicuro che presto o tardi gliel’avrebbe raccontato.
«Grazie» sussurrò il ragazzino non mollando la stretta.
«Figurati campione» rispose chiudendo gli occhi e sperando che quel momento di felicità non passasse mai «Non c’è bisogno di ringraziarmi.»
Stettero abbracciati per due interi minuti, ogniuno trasmettendo all’altro l’affetto di cui aveva bisogno. Fu Logan il primo ad allentare la stretta, e notando come il ragazzino avesse gli occhi umidi di lacrime pensò che quella città, oltre agli innumerevoli misteri e pericoli, qualcosa di bello era riustita a dargli. Gli sorrise con tutta la sincerità che potesse avere in corpo, guardandolo negli occhi marroni.
«So che non posso mantenere alcuna promessa, dato che potrei sparire davanti ai tuoi occhi in qualunque momento, ma farò il possibile per evitare che accada. Non ho intenzione di perdere anche te» disse Logan afferrando le spalle del ragazzino.
«Lo so» lo informò Brad «Ti ringrazio.»
«Ehi, smettila di ringraziarmi. Meriti questo ed altro da me ragazzino.»
Si sentiva più leggero, come se si fosse levato di dosso un peso enorme, esternando i propri sentimenti repressi per mesi. Scuotendo leggermente il ragazzino per le spalle si alzò e si diresse verso la finestra per dare un’occhiata fuori.
La sera era già calata e l’oscurità faceva da padrone in quel motel. Nessun rumore, nessun movimento sospetto. Erano soli, all’apparenza, ma Logan sapeva che, immerse nell’oscurità, quelle creature aspettavano pazientemente il momento più adatto per assalirli entrambi. Osservò il suo orologio: le 21.54 . L’indomani avrebbero finalmente lasciato quel motel per dirigersi verso la clinica medica, non aveva idea di cosa avrebbe trovato, ma di sicuro qualche medicinale per levare l’infezione dalla ferita ci sarebbe stato.
«Ti voglio bene anche io» disse Brad dietro di sé, interrompendo ogni pensiero sull’ itinerario del giorno seguente.
Sorrise senza voltarsi verso il ragazzino, finalmente era contento di sentirsi dire quella frase.


 
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