Fuga dal Buio

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Laurelinad
CAT_IMG Posted on 15/5/2009, 14:22




Allora... questa fanfiction l'ho scritta molto tempo fa ed è pure incompleta. E' basato su Sacred, un videogioco che ho giocato per più di due anni senza stancarmi! Decisamente molte cose sono da migliorare, alcune parti da allungare e altre da correggere... ma la maggior parte la scrissi di getto in una calda notte d'estate, in un'impeto di creatività che non mi assale da tempo. Insomma, questo scritto è pieno di bei ricordi cercherò di terminarlo e poi di riscriverlo da zero, magari in terza persona.

A voi!

Prima Parte

Freddo. Buio. Paura. Questo è ciò che ricordo dei miei primi anni di vita. L’esistenza non è facile, se nasci maschio tra gli elfi oscuri. In una società matriarcale come la nostra l’unica possibilità per diventare qualcuno è nascere donna e divenire una sacerdotessa, oppure farsi strada a colpi di lama. Questa è la legge, nei profondi recessi della città sotterranea di Zhurag-Nar, una volta patria dei nani. Non ebbi mai il minimo remore nell’affondare la mia spada nelle carni dei miei compagni e fratelli, pur di ottenere qualche pezzo di quella carne rancida che i nostri tutori ci davano, pur di sopravvivere. Ero un Elendiar, il grado più infimo dei guerrieri dell’oscurità. La mia unica aspirazione era dimostrare il mio valore in battaglia per poter uscire da quell’inferno, divenire un guerriero d’elite e combattere al fianco di mia sorella, Aleera, una sacerdotessa delle tenebre ai diretti ordini della Matriarca. Lei fu l’unica a non trattarmi come un rifiuto durante la mia infanzia, mi insegnò a difendermi dalla magia vietata agli esponenti maschi della nostra specie, a leggere e a scrivere; fu l’unica persona verso la quale imparai a provare qualcosa di simile all’affetto. La mia ascesa verso i ranghi più alti dell’esercito continuò, fino a giungere al grado di Morgwath, il livello intermedio secondo solo agli Shalinor, i guerrieri più potenti degli elfi oscuri. La mia sete di potere e sangue mi portò a compiere atti sempre più efferati, ad uccidere senza pietà i miei avversari e lastricare coi loro cadaveri la strada che mi avrebbe portato al potere.
In quel periodo il Regno di Ancaria era in subbuglio, col re Aarnum moribondo e col Principe Valor impegnato nella lotta contro gli orchetti provenienti dal deserto, e un governo gestito dall’infido barone DeMordrey, che più volte richiese l’intervento dei nostri lupi mannari per sottomettere e schiacciare la popolazione sempre più provata dalla guerra. Le regioni a nord rimasero scoperte, senza uomini che potessero difenderle dai nostri attacchi. Saccheggiammo e derubammo più volte i piccoli villaggi che sorgevano sul nostro territorio, diffondendo morte con le nostre lame avvelenate, bramosi di nuove ricchezze.
Poi, finalmente arrivò il giorno della mia vittoria. Con la caduta dell’ennesimo villaggio di cui io fui fautore, mi venne concesso il titolo di Shalinor. Ma avrei dovuto aspettare tre mesi prima di poter entrare a far parte del nuovo Ordine, quando la costellazione della Dea sarebbe stata visibile accanto alla luna piena e sarebbe stato possibile celebrare il Rito di Accettazione, consistente nell’uccisione di un elfo silvano. Quando le nostre razze si divisero, millenni fa, noi giurammo eterno odio nei confronti dei nostri fratelli che vivevano alla luce del sole, traditori sottomessi ad un debole re umano. Avrei dovuto tagliare la gola ad uno di questi immondi esseri e berne il sangue finche il suo cuore non avesse cessato di battere. Attendevo quel giorno con gioia ed impazienza.
La mia preda venne catturata alcuni giorni dopo da alcuni Elendiar nei dintorni di Braverock, la capitale, una giovane ranger proveniente dalle pianure elfiche di Tir-Hadar. Quando la vidi la prima volta era incatenata in una cella delle segrete.

La sola vista di quella creatura mi spezzò il cuore.

I vestiti laceri dalla battaglia, i polsi scorticati per le tentate evasioni, i capelli come una cascata d’oro e occhi penetranti come frecce. Non avevo mai visto occhi simili in un prigioniero: niente paura, niente rassegnazione, solo rabbia e un’ardore che non credevo potesse nascere in un fragile elfo silvano. Quella notte non riuscì ad addormentarmi. Ripensavo a quella donna, che mi aveva guardato sfidandomi ad avvicinarmi, pronta ad affrontarmi. Mi ritrovai a vagare senza una meta lungo i corridoi della città, fino a giungere nelle prigioni. Lì un suono mi bloccò: una voce, un canto. Era lei. Prigioniera in un antro di morte, lei cantava. Canzoni su amori perduti, su rimpianti, sul ciclo delle stagioni che tutto cancella. Ascoltai la sua voce come rapito, incantato da quelle note così soavi, così belle che facevo fatica a trattenere le lacrime. Con la voce rotta dal pianto, continuò a cantare sommessamente fino all’alba, quando anch’io mi ritirai nelle mie stanze, stremato dall’emozione. Non riuscivo a capire il perché del turbamento e della confusione che il pensiero di quella donna scatenava in me, mi sentivo come impotente di fronte a tanta passione. Non trovai sollievo nemmeno nel sonno, quando la visione di quella sirena si fece strada nei miei sogni, tormentandomi.
La notte dopo tornai alla prigione portando con me acqua e cibo freschi, e un unguento medicamentoso. Quando entrai nella cella la sua prima reazione fu di balzare in piedi, pronta a difendersi. Cercai di metterla a suo agio dicendole che non le avrei fatto del male, che volevo solo che non si ammalasse per le ferite. Le lasciai la ciotola col cibo e l’acqua accanto, su cui si avventò avidamente non appena mi fui allontanato abbastanza.
“Cosa vorresti ottenere con questo?” mi chiese, non appena ebbe terminato il suo pasto.
“Nulla” risposi. “voglio solo medicare quelle ferite. Non hanno un bell’aspetto.” Effettivamente i tagli ai polsi e alle caviglie che lei stessa doveva essersi procurata cercando di allentate le catene erano rossi e gonfi, un pessimo segno.
“Non hai nulla da guadagnare curandomi. Avete intenzione di uccidermi, no? Perché non lo fate subito, invece di farmi soffrire così tanto?” ora la sua voce era carica di astio.
“E’ stata una mia idea quella di venire qui, quello che vogliono i miei compagni non mi riguarda. In ogni caso non apprezzo le donne con la pelle rovinata come la tua, quindi se non vuoi che mi avvicini, dovrai medicarti da sola” e le lanciai il flacone con l’unguento. Non riuscì neanche a prenderlo al volo, debole com’era. Cercò di spalmare la pomata sui polsi, ma l’impaccio delle catene non glielo permise. I suoi goffi tentativi mi intenerirono a tal punto che mi avvicinai senza timore, inginocchiandomi accanto a lei. Si irrigidì ma mi permise di tastarle il polso.
“Niente di rotto, per lo meno. Devi essere una che non si arrende. In ogni caso mi chiamo Laurelinad. Posso sapere il tuo nome?”
”Maegalcarwen. Puoi chiamarmi Mael”.
Terminate le medicazioni ai polsi e alle caviglie, durante le quali lei non smise di fissarmi con attenzione, passai ad un profondo taglio sulla tempia, cosa che mi permise di avvicinarmi maggiormente. Appena ebbi sfiorato la ferita lei emise un lieve gemito di dolore, e i nostri sguardi si incrociarono. I suoi occhi erano come frammenti strappati al cielo estivo, di un blu intenso dentro i quali temetti di perdermi. I dolci lineamenti elfici del suo viso erano esaltati dai lunghi capelli dorati di cui alcuni ciocche erano state finemente intrecciate. E nonostante la perdita di sangue le sue labbra erano rosse e carnose, lievemente umide e socchiuse. Pensai che avrei potuto benissimo gettare al vento tutte le mie vittorie, tutto ciò che possedevo e tutto me stesso pur di sfiorare solo per un attimo quelle labbra. I nostri corpi erano così vicini che avrei potuto stringerla senza difficoltà, l’avrei fatta mia, l’avrei…
Un attimo dopo mi scossi per liberarmi da tutte quelle fantasie. Notai che le sue gote erano imporporate, e dovevano esserlo anche le mie, e lei certamente le aveva notate nonostante la mia pelle scura. Anche la sua espressione era cambiata, ora aveva sul viso un’espressione confusa e imbarazzata. Terminai il lavoro sulla tempia e me ne andai in fretta e furia, lasciandola sola nella cella. Tornato nelle mie stanze chiusi pesantemente le porte alle mie spalle. Il turbamento era ora vera e propria agitazione.

Cosa mi sta succedendo? Sono impazzito? Magari ho la febbre. Non ho mai esitato di fronte a nessun nemico, nemmeno al peggiore, e ora non riesco a vincere nemmeno il pensiero di una sporca silvana! Una traditrice! Si, devo stare male. Magari è colpa di Mael, mi avrà contagiato con qualche malattia della sua terra! Però, Mael… E’ un bel nome. Mi ispira tranquillità. Al confronto i nomi degli oscuri suonano rozzi. Ma cosa c’entra questo? Lei è un’animale da macello. Lei diventerà il nutrimento che mi permetterà di ottenere il potere che ho sempre anelato e per cui ho lottato. La ucciderò e …

Uccidere Mael?

Cominciai a stare male sul serio. Il solo pensiero di farle del male mi dava il voltastomaco. E pensare che fare del male è stata la mia maggior occupazione della mia vita. Per la prima in tutta la mia esistenza non sapevo cosa fare. Mi infilai sotto le coperte, ma il sonno non arrivò nemmeno quella notte. E provai qualcosa che all’epoca non sapevo spiegare, qualcosa che non avevo mai provato e che non avrei mai potuto concepire: mi sentì solo.

La prima cosa che feci il giorno dopo fu assicurare a Mael vitto e alloggio migliori, con la scusa della maggiore qualità del suo sangue. Nessuno dei miei compagni sospettò qualcosa, nemmeno mia sorella. Occupavo le mie giornate allenando il mio corpo e il mio spirito in vista del Rito, ma il mio animo era comunque diviso in due. Da una parte la sete di potere, dall’altra il desiderio di vedere la giovane elfa sana e salva, lontano da quel lurido posto. E questa parte desiderava che io fossi con lei. Di giorno riuscivo ad ignorare entrambe le mie brame, tenendo la mente impegnata nella creazione di veleni da spargere sulle mie spade e nell’allenamento fisico. Di notte tutti i miei dubbi tornavano a galla dopo i miei incontri con Mael, divenuti ormai quotidiani.
Era un errore, e lo sapevo. Non avrei dovuto vederla mai più. Ma ogni notte, contro ogni mia volontà, le mie gambe mi conducevano nella cella dove risiedeva la mia dama.
Nel giro di una settimana si riprese quasi del tutto dalle ferite, potendo contare sulle mie cure. Durante i nostri incontri parlavamo a lungo. La sua diffidenza scomparve in poco tempo, in particolare dopo che le ebbi raccontato come si viveva a Zhurag-Nar e di come ero cresciuto. Anche lei aveva dovuto sopportare dure prove, la solitudine di un’orfana e la separazione forzata dalla sua casa quando divenne una ranger e fu inviata nell’esercito del regno. Mi parlò spesso delle sue terre, di quanto era bello cavalcare lungo il fiume, delle foreste di querce ed olmi, delle canzoni cantate al chiaro di luna. Io parlavo piuttosto poco, preferivo ascoltare la sua voce e fingere per un momento non esistesse altro.
Non le avevo ancora spiegato il vero perché della sua cattura, e quando me lo chiedeva rimanevo sul vago. Che vigliacco. Ma cosa potevo dirle, “sarai la portata principale del banchetto che si terrà in mio onore”?
Passarono due mesi. Il giorno del Rito si avvicinava, ed io ancora non riuscivo ad essere sincero con Mael.
“Lau” mi chiese una sera. “cosa c’è che non va?”
Aveva preso l’abitudine di chiamarmi con questo curioso diminutivo, e mi riempiva di gioia ogni volta che lo faceva.
“Niente” risposi.
“Bugiardo. Sei teso. C’e qualche problema?”
A parte il nostro primo incontro ravvicinato, Mael ed io non ci siamo mai nemmeno toccati. Gli unici momenti in cui potevo sfiorare il suo corpo erano durante i miei sogni, e in quei giorni sognavo spesso. Era per me una tortura resistere al suo sguardo indagatore, come stava facendo adesso, era come se volesse esplorare nel mio animo da cima a fondo; desideravo tanto di potermi abbandonare alle sue esplorazioni, ma di certo non avrebbe trovato niente degno della fiducia che provava nei miei confronti.
“Sono solo un po’ stanco per gli allenamenti. Non sono facili, sai. Chi non è abituato crollerebbe dopo poco.”
“Si, molto interessante. Ma ora rispondi alla mia domanda. Guarda che lo capisco, se menti”.
Sorrisi. “Un giorno dovrai spiegarmi come diavolo fai a leggermi come se fossi un libro aperto. Credevo di essere bravo nel celare le mie intenzioni”.
Stavolta fu lei a ridere. “Allora è vero che mi nascondi qualcosa! Posso sapere cosa?”

Non le sfugge niente! Non posso continuare ad ingannarla, ma chissà come reagirebbe. E’ una donna imprevedibile, forte e coraggiosa, temo che non potrei sopportare il suo odio. Ma lei è sempre stata così sincera con me… E va bene, vuoto il sacco. Anche se poi mi odierà.

“In effetti qualcosa c’è” deglutì a fatica. “ma mi è difficile dirtela. E’ da quando ci conosciamo che questo problema mi attanaglia.” la fissai negli occhi “Mael, non ho mai conosciuto nessuno come te. Nessun elfo oscuro può possedere la tua stessa passione, la tua forza. La tua gioia di vivere, che non ti ha fatto perdere la speranza. Mi hai affascinato sin dal primo momento.”
Era la prima volta che le parlavo così apertamente dei miei sentimenti. Arrossì visibilmente durante la mia confessione.
“Ma non è questo il punto. Quel giorno non sei stata catturata per puro caso. Tra pochi giorni si terrà una cerimonia, durante la quale…” strinsi i pugni. “tu sarai sacrificata.”
Sul suo viso si intrecciarono una miriade di emozioni, sorpresa, sgomento, incredulità.
“La cerimonia si terrà in mio onore.”
Si alzò dalla branda dove eravamo seduti. Prese a camminare per la stanza, nervosamente.
“Mael, io … ”
“Silenzio! Ora capisco tutto. E’ tipico di quelli come te. Volevi conoscere tutto di me, volevi che mi fidassi di te, solo per potermi distruggere interamente alla fine! Come sono stata sciocca… Tutte quelle belle parole, e alla fine questo! Allora, ti piace così tanto giocare con le tue prede? Schifoso sadico!”
Fu come ricevere una pugnalata in pieno petto. Mi alzai e cercai di avvicinarmi.
“Non è così! Cerca di capirmi, io voglio davvero aiutarti, ma non so più cosa fare, a cosa credere…”
“No! Stammi lontano!”
Cercò di attaccarmi, ma le bloccai entrambe le mani afferrandone i polsi per poi spingerla contro il muro col peso del mio corpo. Quando finalmente smise di dimenarsi potei vedere che stava piangendo.
“Ascoltami, ti prego! Non avrei mai voluto ingannarti, ma sono così confuso! Per tutti questi mesi non hai fatto altro che incrinare il mio castello di certezze e ideali, mi hai stregato con la tua voce, non ho fatto altro che pensare a te! Io ti amo, Mael!”
Dai suoi polsi potevo sentire il battito frenetico del suo cuore. I nostri corpi erano ancora intrecciati per la precedente lotta e mi accorsi che tremava.
“Ti amo. Ma anche se disertassi, se decidessi di fuggire con te, ne ricaveremmo l’odio incondizionato di tutto il mio popolo. Ci darebbero la caccia per tutta la nostra vita, ci costringerebbero a dormire notti inquiete, e sarebbe tutta colpa mia! Non potrei mai costringerti a questo, ma non posso neanche permettere che tu muoia. Non so più cosa fare…”
Mollai la presa sui suoi polsi e mi allontanai da lei, a malincuore. Si asciugò le lacrime che erano scivolate lungo le guance e inspirò a fondo. Era sollievo quello che lessi nei suoi occhi quando mi guardò, sollievo e serenità. Mi si avvicinò e posò la testa sul mio petto, abbracciandomi. Le sue parole pronunciate a bassa voce furono la mia condanna.
“Perdonami. Non avrei dovuto reagire in quel modo, ma ho avuto tanta paura… Temevo d’essermi sbagliata sul tuo conto, che mi avresti usata per raggiungere i tuoi scopi. Lo temevo fin dall’inizio, ma ho scelto comunque di fidarmi di te, e quando mi hai detto la verità ho perso la testa. Non avrei mai voluto dirti tutte quelle cose… Anch’io ti amo, Lau”.
Fu come abbattere un vecchio muro. Ogni dubbio o incertezza fu spazzato via, come se non fossero mai esistiti, e mentre stringevo tra le braccia quella creatura meravigliosa sentì che nuove certezze andavano solidificandosi in me. Non ho più paura, ora.
“Come faremo, adesso?” mi chiese, timidamente. “Non ci sono possibilità di fuggire dalle prigioni, e siamo tre livelli sottoterra, ci bloccherebbe mezza città”.
“Dobbiamo aspettare. La sala delle cerimonie è al primo livello, sarà più facile raggiungere l’uscita. Ma dovremo vedercela con un gruppo di Shalinor e di sacerdotesse, senza tener conto della Matriarca. Ci sarà da combattere, e duramente. Ma ce la faremo. Non permetterò loro di toccarti, te lo giuro.”
“Non preoccuparti per me. Non andrà come quel giorno, durante l’imboscata. Saprò difendermi, ma resta il problema della direzione da prendere una volta fuori. Ascolta, se riuscissimo ad attraversare i monti a sud-ovest potremmo giungere a Bellevue. Quell’area può contare sulla protezione dell’esercito valoriano, ed io sono riconosciuta come suo soldato, dunque troveremo asilo. Metterò una buona parola anche per te…”
“Aspetta. Stai parlando di fuggire attraverso mezzo regno senza le adeguate provviste, senza armi e senza cavalli?”
Mael sorrise amaramente. “Hai un’idea migliore?”
“Direi di no. E non abbiamo altra scelta” ricambiai il sorriso “ma non sarà poi un così gran problema, per un ranger. Dico bene?”
“Dovrai darti da fare per starmi dietro!” disse, ridendo dolcemente. Quanto è bella, quando ride. Soffermai il mio sguardo sulle sue labbra, così rosee, chiedendomi quanto potessero essere morbide. Senza accorgermene avvicinai il mio viso al suo, sfiorando le sue labbra con le mie, e ancora una volta lei mi sorprese, rispondendo al mio timido gesto con un bacio. Per un attimo temetti che mi sarei sciolto tra le sue labbra, che di me non sarebbe rimasto altro che una pozza d’acqua che la gente avrebbe indicato dicendo “ecco cosa succede ad uno quando si innamora”. Il suo calore, il suo profumo, il suo sapore… inebriato, affondai le mie mani nei suoi capelli, approfondendo il bacio. Lei sospirò, rispondendomi con passione, e mosse delicatamente le mani lungo la mia schiena, dandomi lievi brividi. Tremai dalla gioia pensando a questo momento come reale, e non come ad un sogno che sarebbe svanito al mio risveglio. Quando si allontanò e mi permise di riprendere fiato vidi che sorrideva ancora, felice. Stavo per baciarla di nuovo, quando sentì il rumore dei passi di una guardia. Prima che potessi avvertirla, Mael era già corsa a sedersi letto, facendosi piccola, ed io rimasi in piedi di fronte alla porta. Qualche secondo dopo la guardia entrò nella cella con fare frettoloso.
“Laurelinad? La somma Aleera vi sta cercando. Vi aspetta nella sala delle cerimonie. Ha detto di fare presto.”
“Va bene. Dille che sto arrivando.”
La guardia si dileguò in un attimo, inghiottito dal buio delle segrete. Non avevo idea di cosa volesse mia sorella, raramente ci incontravamo al di fuori delle sale di addestramento. Sentì Mael sospirare, sollevata dall’assenza della guardia.
“Ora devo andare. Domani elaboreremo un piano, dopodichè non credo che ci potremo più vedere fino al giorno del Rito. Cerca di resistere fino ad allora.”
“Sarò forte. Aleera è la sorella di cui mi hai parlato?”
“Sì. Sarà l’unica cosa che mi mancherà di questo posto.”
Lei si incupì. “Mi dispiace…”
“Non devi. Ho preso la mia decisione, e non tornerò indietro. Quando ottieni qualcosa devi abbandonare qualcos’altro, e nel mio caso si tratta di mia sorella. Spero solo che la Matriarca non la incolpi a causa mia. Comunque se la caverà, è in gamba.”
Le sfiorai le labbra un ultima volta. “A presto”.
Rimase in silenzio, guardandomi mentre andavo via. Ebbi la sensazione di sentire il suo sguardo che mi seguiva anche dopo essere uscito dalle prigioni, come se cercasse di non perdere il contatto con me.

La Sala delle Cerimonie era un’ampia stanza circolare, il cui soffitto saliva verso l’alto lasciando una grande apertura rotonda, da cui sarebbe entrata la luce della luna durante il rito. Al momento era illuminata solo dalle torce alle pareti, che lanciavano lugubri ombre lungo le elaborate colonne di fattura nanica. Gli unici elementi aggiunti dalla mia stirpe erano le due statue di marmo nero ai lati del trono della Matriarca, raffiguranti la dea dei lupi e la dea del veleno. Una raffigurazione della Dea suprema era impossibile, in quanto appariva a ogni individuo in modo diverso, a seconda di ciò che si trova maggiormente disgustoso o meraviglioso. Personalmente l’ho sempre immaginata come una minacciosa donna dalle ali nere. Al centro della sala si ergeva un altare rettangolare di pietra, il cui unico ornamento erano i solchi scorrisangue che ne facilitavano la pulizia dopo i sacrifici. Ai quattro lati erano fissate le catene che bloccavano la vittima, e provai un moto di rabbia pensando a come Mael sarebbe stata incatenata a quell’orrendo monumento.
Aleera attendeva accanto alla statua della dea dei lupi, intenta ad osservare la belva ghignante ai piedi della dea. La salutai inchinandomi e portando il pugno destro al cuore, segno di sottomissione, a cui lei rispose chinando la testa.
“Mi cercavi, sorella?”
Lei rivolse nuovamente lo sguardo alla statua. Indossava un corpetto rigido e una lunga gonna di organza nera, e bracciali di cuoio nero e argento ai polsi. Era nota a Zhurag-nar per la sua eleganza, oltre alla rara chioma di capelli d’ebano, di cui io avevo ereditato solo due ciocche nere tra i capelli argentei, ben più comuni tra gli elfi oscuri.
“Pensavo a come sei cresciuto dai tempi in cui eri un Elendiar. Chi non credeva in te ha dovuto rimangiarsi la parola vedendo la forza che hai ottenuto in così poco tempo. Sono orgogliosa di te, fratello.”
Chinai la testa e chiusi gli occhi, riconoscente. Per quanto possa salire di rango, ad un maschio non sarà mai concesso di rivolgersi ad una sacerdotessa ignorando l’etichetta che ci impone eterna remissività nei confronti delle donne, le favorite dalla Dea.
“Ricordi cosa mi dicevi durante gli allenamenti, sorella? Che la magia senza una spada che la difendi è vulnerabile e debole. Per questo ho lottato, per diventare la tua spada e proteggerti. Se ora sono quello che sono lo devo unicamente a te”.
“Non dire sciocchezze. Chiunque vorrebbe giungere al tuo livello, ma la maggior parte perisce o resta debole per tutta la vita. Le tue vittorie le devi unicamente a te stesso, alla tua forza e alla tua volontà. Certo, buon sangue non mente…”
Ridemmo entrambi. I momenti di ilarità sono sempre stati molto rari tra noi, ma ognuna di quelle gocce di serenità sono impresse a fuoco nei miei ricordi.
“… ma non montarti la testa. La nostra battaglia non finirà mai. Faremo grandi cose insieme, sono certa che un giorno faremo entrambi parte dell’aristocrazia matriarcale, quindi giura che non mi abbandonerai mai. La nostra unione sarà il nostro potere”.
Mi inginocchiai con riverenza, senza la minima traccia di esitazione.
“Hai tutta la mia fedeltà e riconoscenza, sorella. Ti rigrazio”.
Aleera ne fu molto compiaciuta. “Bene. Ora và a riposare, è tardi. E preparati per il Rito, quando sarai accettato come guerriero da tutti noi. Buonanotte”.
Detto questo uscì dalla sala accompagnata dal fruscio dei suoi indumenti. Provai una punta di amarezza pensando a ciò che mi accingevo a fare, a rompere un giuramento che avevo atteso per tutta la vita per rispettarne uno fatto solo pochi minuti prima. Avrei tradito l’unica persona che mi aveva permesso fino ad allora di andare avanti, e avrei seguito colei che mi avrebbe condotto lungo una strada tortuosa e sconosciuta. Ripensai a Mael e mi chiesi se davvero valeva la pena di fare tutto questo.

Certo che ne vale pena.

La notte dopo spiegai a Mael la mia idea di come fuggire. Avrei spezzato le catene che la imprigionavano e ci saremmo scontrati con gli Shalinor per guadagnarci una via di fuga. Potevo far in modo che gli incantesimi delle sacerdotesse non ci sfiorassero, ma solo per un breve periodo, grazie all’utilizzo di un’aura protettiva che avrei dovuto evocare durante la battaglia, la Pak-Nakor, utilizzata dagli elfi oscuri maschi come unica difesa contro la magia. Non ero certo di poter proteggere efficacemente anche lei, ma sarebbe stato sufficiente fino all’allontanamento della sala. Una volta fuori, ci saremmo diretti verso sudovest, in direzione delle foreste, e da lì avremmo continuato verso sud fino a Bellevue. Un’impresa quasi impossibile, ma non avevamo intenzione di rinunciare. Un altro problema da risolvere era l’equipaggiamento per Mael, non sarebbe andata molto lontano vestita con indumenti di tela di sacco, ma con tutta probabilità la roba che le avevano confiscato alla sua cattura era ancora nell’armeria. Ci andai quella notte stessa, favorito dalla sonnolenza delle guardie. Nella grande stanza era stipata qualunque cosa fosse in grado di uccidere, spade, lance e armature. Come supponevo, il suo equipaggiamento era stato gettato in angolo con noncuranza. I ranger difficilmente utilizzano armature pesanti, preferendo quelle in cuoio leggero per muoversi in piena libertà tra le foreste, e quella di Mael non faceva differenza. Aveva anche una spada corta e un piccolo scudo, ma fu l’arco a stupirmi di più. Era di un legno scuro che non riuscì a identificare, con intarsi dorati e argentei. Mi parve troppo grande per la sua statura, e quando provai a tenderlo mi sorprese la forza necessaria a tenerlo. Ero un buon arciere, ma non credo che avrei mai potuto utilizzare un arco del genere. Comunque recuperai tutto, oltre a due zaini dall’intelaiatura di legno che avrei dovuto riempire con tutte le vettovaglie che riuscivo a trovare. Anche con gli zaini stracolmi, sarebbero durate al massimo qualche giorno, dopodichè avremmo dovuto affidarci alla foresta.
Dopo quello che mi sembrò un tempo infinito, finalmente giunse il giorno del Rito. Mi venne data un’armatura cerimoniale di cotta di maglia rossa, che avrei dovuto indossare durante la cerimonia. Ero teso fino allo spasimo, ma riuscì a nasconderlo mostrando a tutti un’orgogliosa superbia. E quando la luna raggiunse lo zenith, ci riunimmo tutti nella sala delle cerimonie, io, gli Shalinor, le sacerdotesse e Maeglawari, la Matriarca.
Maeglawari aveva una aspetto imponente, seduta sul trono di lucida pietra, sfoggiando orgogliosamente sulle sue spalle le ali metalliche di un serafino che aveva trucidato in passato. Pur essendo ancora molto giovane, aveva spodestato senza troppe difficoltà la precedente Matriarca mozzandole la testa. Ci governava col pugno di ferro, imponendoci pesanti regole militari per assoggettare la sua sete di sangue. Trovarsi faccia a faccia con la maggiore autorità degli elfi oscuri di solito metteva in soggezione i futuri Shalinor, ma io non provavo assolutamente niente di simile, specialmente in quel momento. Da quando avevo perso la mia sete di potere, quella donna mi faceva semplicemente pena. Quando fu certa che fossero presenti tutti i generali e le somme sacerdotesse, e qui notai l’assenza di mia sorella, la Matriarca sbatté con forza con forza il suo bastone sciamanico sul pavimento, reclamando il silenzio.
“Figli miei” tuonò “in questa notte di luna noi ci riuniamo per salutare l’avvento di nuovo fratello. Un fratello concepito da un lago di sangue, e che oggi sarà battezzato con altro sangue. Stanotte noi accetteremo l’atto di devozione da lui compiuto e renderemo onore al suo giuramento di fedeltà alla causa dell’Oscuro Popolo. Ora, che si faccia avanti colui che ha combattuto e ucciso sognando questo momento. Fatti avanti, Laurelinad”.
Avanzai fieramente tra i miei compagni, fermandomi di fronte all’altare ora illuminato dalla luce della luna.
“Fiero guerriero della notte, la Dea è soddisfatta dalle tue gesta e stanotte si è fatta avanti di persona per darti la sua nera benedizione. Onora la sua presenza con un ultimo, splendido sacrificio. Che la Vittima Prescelta venga condotta in nostra presenza!”
Sentì un lieve urlo provenire dalla mia sinistra. Due oscuri trascinavano violentemente Mael dalle braccia, vestita solo con una tunica di seta bianca. Uno dei due elfi aveva un grosso livido sulla guancia, causato da un gesto di rabbia della ranger. Dovettero dare fondo a tutte le loro forze per incatenare Mael all’altare, da cui si allontanarono ansanti.
Mancava poco. Solo un altro minuto, e si sarebbe scatenato un inferno di lame. C’erano più sacerdotesse di quanto avessi immaginato, e gli Shalinor erano ben armati, seppur di armi cerimoniali. Cominciai a sudare freddo, temendo di averci condannati semplicemente ad una morte atroce. Mael stava guardando la luna, che gettava i suoi raggi dall’apertura rotonda del soffitto, con un’espressione che non riuscì a capire in quel momento: sembrava contenta. Quando i nostri sguardi si incrociarono mi sorrise lievemente e ammiccò. Che cosa aveva in mente?
“Ora, io che dono il potere per compiere il volere della Dea, ti porgo l’arma che fa di te il nuovo membro della nostra fratellanza, e ti chiedo: accetti la nera benedizione?”
Lo sguardo di tutti i presenti si posò su di me.
“La accetto”.
Un coro di urla festose si alzò alle mie spalle, e una sacerdotessa si avvicinò reggendo una splendida thal, la tipica arma dalla lama irregolare dei guerrieri d’elite. Ne strinsi l’impugnatura, sentendone il peso. Quanto avevo sognato di possedere quella lama.
“Festeggia dunque per il tuo ingresso nella fratellanza, Shalinor! Godi nel bere il sangue di quest’impura creatura, e consacra il tuo corpo nel nome della Dea!”
Alzai al cielo la mia nuova arma, e le voci degli oscuri ripresero a gioire, ma non abbastanza forte da coprire il grido che proruppe dalla gola di Mael:

“ENTHALA RES-NA!!”

Le urla di gioia si trasformarono in urla di terrore quando con uno schianto la roccia del pavimento della sala si spaccò, distrutta dalla fuoriuscita di una miriade di radici d’albero che si avvinghiarono sui corpi dei presenti, stritolandoli.
“Cosa stai aspettando? Liberami!”
Stupefatto dall’avvenimento, avevo quasi dimenticato il mio obiettivo, e abbattei con tutta la mia forza la thal sulle catene, che si infransero come fatte di vetro.
“Ora andiamocene da...”
Feci appena in tempo ad afferrare Mael e a ergere su di noi la Pak-Nakor, che una gigantesca palla di fuoco si abbatté sull’altare, annerendolo col suo calore. Avrei dovuto aspettarmi una pronta reazione della Matriarca.
“Tu! Cos’hai fatto, schifoso traditore?! Come osi disonorarmi in questo modo, dopo averti accettato come un membro della mia stessa famiglia?!” urlò, dimenandosi tra i viticci.
“Proprio tu parli di famiglia, tu che getti via la vita dei miei compagni nel nome di uno sporco ideale? Fa silenzio!”
La Matriarca si pietrificò, accecata dall’ira.
“Non chiamarmi traditore, perché i veri traditori siete voi, che vendete l’anima ad una falsa divinità per ottenere ricchezza, e vi pugnalate alle spalle l’un l’altro nel nome dell’onore! Dov’è la gloria, in tutto questo? Io non vedo nient’altro che falsità e odio fini a se stessi, dove dovrebbero esserci comprensione e amore!” sfiorai la spalla di Mael “Allora, io vi ripudio. Ripudio la mia razza e il mio popolo, che ha rinnegato le sue pure origini in cambio del potere, e ha cercato di intrappolarmi nell’oblio di una vita senza senso! Io scelgo di vivere alla luce del sole, scelgo di seguire il mio cuore. Io appartengo solo a me stesso, non sarò mai vostro schiavo!”
Gli Shalinor e le sacerdotesse nella sala ringhiarono carichi d’odio intrappolati tra le radici, cercando di liberarsi. Afferrai la mano di Mael e ci voltammo verso l’entrata della sala, ma prima di uscire mi voltai un’ultima volta verso la Matriarca. “Prega la tua Dea di non farci incontrare mai più, perché quel giorno morirai”.
Maeglawari strillò furiosa tra i viticci, ordinando ai soldati di catturarci. Correndo via riuscì a udire il rumore dei colli di alcuni elfi che si spezzavano nel tentativo di liberarsi, pur di riuscire a fermarci. Corremmo con tutta la nostra forza fino ad un lungo corridoio, dove dovetti fermarmi violentemente di fronte alla figura che mai avrei voluto vedere quel giorno.
“Sorella!”
Era ferma di fronte a noi, con una sciabola d’argento in mano. Pur essendo una sacerdotessa, era anche un’abile spadaccina. Per un attimo credetti davvero che sarei riuscito ad abbandonare quel luogo senza doverla affrontare, ma mi sbagliavo. Mi preparai a combattere contro di lei.
“Non avrò pietà di te se non ci lasci andare. Fatti da parte!”
Senza scomporsi, si incamminò verso di noi. Invece di attaccare, ci superò per ascoltare le voci che giungevano dal fondo del corridoio.
“Si avvicinano. Prendete la prossima porta a destra, vi farà guadagnare un po’ di strada. Io cercherò di sviarli il più possibile. Fate presto”.
Mi sarei aspettato qualunque reazione da parte sua, tranne questa.
“Ci stai aiutando? Perché, sorella?”
“Perché sapevo che sarebbe successo. Ti conosco meglio di chiunque altro, e so che la vita da bandito non fa per te. Ero certa che prima o poi ti saresti ribellato al volere della Matriarca, anche se non in modo tanto teatrale”.
“Ma allora, quello che mi hai detto quella notte…”
“Quando hanno portato lei quaggiù e ho saputo che la andavi a trovare ogni notte, ho cominciato ad aver paura di perderti. Ero certa che la vita in superficie ti avrebbe attratto. Per questo ti ho detto tutte quelle cose. Ma se è questa la strada che hai scelto, allora percorrila fino alla fine”.
Sentì le lacrime salirmi agli occhi. Come potevo abbandonarla così?
“Fuggi con noi! Siamo ancora in tempo! Ti prego”.
Aleera mi guardò dolcemente: “Ormai faccio parte di questo mondo, piccolo mio. Non c’è spazio per me la fuori, e non saprei ambientarmi. Ma tu sì. Vai, e vivi felice” si rivolse a Mael “Prenditi cura di lui, per favore”.
Lei annuì, commossa “Lo farò”.
Le voci si fecero sempre più forti dietro di noi. Ormai l’intera città era in allarme.
“Arrivano! Andate ora, presto!”
Non potei fermare le lacrime, che scesero copiose lungo il mio viso.
“Grazie di tutto, sorella mia. Spero di rivederti, un giorno”.
“Io invece spero di non rivedere mai più il tuo brutto muso. Ora scappate!”
Cacciando indietro le lacrime, presi Mael per mano e corsi via, senza voltarmi indietro.

L’uscita sembrava una grotta naturale, per sviare coloro che erano così pazzi da cercare di entrare in città. La brezza delle notti del tardo inverno ci avvolse di odore di pino, mentre ci dirigevamo verso gli alberi innevati. Avevo nascosto in un tronco caduto gli zaini con le nostre provviste, dove Mael potè indossare la sua armatura di cuoio. Riprendemmo la nostra fuga verso sud poco prima dell’inizio degli ululati dei lupi mannari. La fuga era iniziata.

Le settimane seguenti furono un incubo. Pur cercando di non lasciare tracce sul nostro cammino, puntualmente gli urli lamentosi si facevano sempre più vicini. Le razioni terminarono nel giro di poco tempo, e ci affidammo del tutto alla bravura nella caccia di Mael. Col suo arco riusciva a colpire al cuore un coniglio a più di cinquanta metri di distanza. Quando le chiesi come facesse, mi rispose semplicemente: “E’ solo talento naturale”.
Di notte dormivamo a turno, col risultato che all’alba eravamo più stanchi che al tramonto. Quando si è in fuga, d’istinto si cerca un luogo dove riposare, dove recuperare le forze, mentre l’inseguitore è eccitato dalla foga della caccia, ed è sempre in vantaggio. Più di una volta ci scontrammo apertamente coi nostri inseguitori, sia elfi che lupi, riuscendo comunque a riprendere la fuga, seppur feriti. Ne uccidemmo parecchi, ma ogni volta riuscivano a metterci in difficoltà. I lupi mannari furono una vera spina nel fianco: seguivano con facilità la pista, e in combattimento attaccavano a tradimento. Una volta, impegnato a respingere un oscuro, un lupo riuscì ad azzannarmi al polso sinistro e a strattonare, affondando i denti fino all’osso. Me ne liberai piantandogli la mia lama in un occhio, per poi fuggire. Ero sul punto di svenire a causa della perdita di sangue, ma ancora una volta mi venne in aiuto Mael, con la sua magia. Pronunciate poche strane parole, sfiorò i bordi della ferita con le dita, e vidi che ogni, capillare, vena e muscolo veniva rigenerato magicamente.
“Perché non hai usato qualche incantesimo mentre eri prigioniera?”
“Traggo potere dagli alberi, e dalla luce della luna e del sole. L’influenza negativa delle sacerdotesse sembra aver cancellato ogni forma di vita vegetale, a Zurag-nar, per questo non sono riuscita a formulare nessun incantesimo. La sala delle cerimonie non solo era inondata di luce lunare, ma era anche vicina ai pini della foresta, così ho pensato di chiedere loro un po’ d’aiuto”.
“Un po’ d’aiuto, dici? Ordinare a delle semplici radici d’albero di distruggere una lastra di pietra spessa non so quanti centimetri per poi stritolare un centinaio di elfi ti sembra ‘un po’’ d’aiuto?”
Lei si strinse nelle spalle “Avrei potuto fare di più, ma sai, essere legati mani e piedi ad un altare non è proprio una situazione che agevola la concentrazione.”.

Qualche giorno dopo fummo sorpresi da una bufera di neve. Da una parte fu una benedizione, perché coprì ogni traccia del nostro passaggio permettendoci di guadagnare terreno, ma una volta calato il sole il vento freddo delle montagne si rafforzò, minacciando di assiderarci. Cercammo rifugio ai piedi di una rupe, ma la neve accumulata dal vento aveva già riempito ogni anfratto, lasciandoci allo scoperto.
“Di questo passo non vedremo la prossima alba! Cosa facciamo?” urlò Mael, cercando di farsi sentire oltre l’ululato del vento. Mi guardai attorno, in cerca di una soluzione. Accendere un fuoco sarebbe stato impossibile, con la legna umida e il vento, ed anche se fossimo riusciti ad accenderlo il fumo avrebbe segnalato la nostra posizione agli inseguitori. Non avevamo con noi niente con cui coprirci; essendo vicina la primavera non avevo pensato a mettere negli zaini nessuna coperta, non avrei mai creduto possibile una simile tempesta di questo periodo. Non c’erano grotte nei dintorni, e continuare a camminare era diventato ormai intollerabile, inoltre i fiocchi di neve cadevano con un tale impeto che ci saremmo persi in un attimo. Poggiai la schiena contro un enorme mucchio di neve, esasperato. Dopo aver tanto penato non avrei mai accettato di morire congelato in una tormenta, specie se accompagnato da Mael. Frustrato, sferrai un pugno contro la neve, avvertendo con sorpresa uno strato duro e compatto sotto il velo più fresco e soffice.
“Forse ho un’idea”.
Impugnai la mia thal e affondai la lama nella neve, spalandola via. Dopo pochi affondi avevo già creato una piccola rientranza.
“Cosa fai?”
“Forse riusciamo a crearci da soli una grotta. Aiutami”.
Usando le nostre armi come pale e picconi, nel giro di poco più di un’ora avevamo scavato nella neve un rifugio abbastanza grandi da farci stare comodamente seduti all’interno con la nostra roba. Una volta dentro ricoprì l’entrata con un sottile strato di neve, isolandoci dal mondo esterno.
“Visto? Non è stato così difficile”
“Si, ma guardati le mani”.
Tenuto conto del colore scuro della mia pelle, le mie mani erano terribilmente pallide. Le dita stringevano ancora l’impugnatura della thal contro la mia volontà, e quando provai a muoverle ebbi la sensazione che migliaia di chiodi stessero perforando la pelle. Riuscì a malapena ad aprirle quel tanto sufficiente a far cadere la lama per terra, poi Mael le afferrò e le strofinò con le sue. I suoi guanti di cuoio, per quanto leggeri, avevano evitato alle sue delicate mani la stessa sorte delle mie.
“Così rischi di perdere le mani” disse, preoccupata “successe la stessa cosa ad una mia amica. Le perse entrambe. In compenso ora è una cantante favolosa”.
Sorrisi dolcemente “Ma non credo sia più brava di te”.
Lei arrossì e assunse una buffa espressione imbarazzata “Ma come, mi hai sentita? No, che vergogna! Ero certa non ci fosse nessuno. Non sono per niente brava a cantare”.
“Hai una voce bellissima, invece. E quando tutto questo sarà finito promettimi di cantare ancora, solo per me”.
Lei mi guardò ancora con quegli occhi così pieni di emozione, che col loro calore mi fecero dimenticare il gelo del mio corpo. Portò le mie mani sul suo petto, stringendole con dolcezza.
“Solo per te”.
Col tempo la temperatura dell’aria nella caverna di ghiaccio si fece sensibilmente più alta, abbastanza da farmi riprendere la sensibilità delle mani. Decidemmo di fare dei turni di guardia, ma il calore del rifugio ci parve così piacevole dopo quel freddo, che ci addormentammo entrambi.
Fui svegliato dagli strattoni di Mael.
“Lau, svegliati! C’è qualcuno là fuori”.
Dalla sottile parete di ghiaccio si intravedeva la luce di una torcia. Afferrai l’impugnatura della thal e attesi, imitato da Mael, a cui feci cenno di rimanere in silenzio. Eravamo in un’area troppo isolata per sperare che fosse solo un cacciatore, non c’era nessun villaggio nel raggio di miglia. Quando le figure si avvicinarono riconobbi le voci dei nostri inseguitori. Erano poco più di una dozzina, e non c’era traccia dei lupi mannari, probabilmente inviati sulle nostre tracce. Una ben magra consolazione, tenendo conto dell’odorato fine di un elfo. Pregai affinché la neve coprisse i nostri odori. Li sentì imprecare e inveire contro il vento, furiosi per averci perso di vista, e uno di loro sembrava debole per qualche ferita. Rimasero accampati all’esterno del nostro riparo per chissà quanto tempo, durante il quale non potemmo far altro che aspettare, spaventati da ogni movimento. Decisero di muoversi circa un’ora prima dell’alba, sperando di trovarci ancora addormentati da qualche parte, e si diressero verso est. Tirai un sospiro di sollievo quando non sentì più i loro passi.
“C’è mancato poco. Avrei dovuto pensare che si sarebbero diretti in questa zona in cerca di riparo, conoscono l’area bene quanto me. E’ stato un errore”
“Non tormentarti, Lau. Saremmo già morti a quest’ora, se non ti fosse venuta l’idea di scavare un riparo nella neve. Ammetto che non ci avrei mai pensato. E poi, se ne sono andati. Siamo salvi, no?”.
Annuì, dubbioso. Se si fossero avvicinati anche solo di un metro, avrebbero notato l’entrata. Finché saremo nei territori controllati dal mio popolo, dovrò sempre tener conto delle loro conoscenze del terreno. D’ora in poi dovrò cercare di prevedere ogni loro mossa, pensare come pensano loro. Un attimo di distrazione e ci saranno addosso.
“Dobbiamo andare. Potrebbero tornare ad accamparsi quaggiù, quando si riuniranno ai lupi. Continuiamo verso sud, prima che lo facciano loro”.
“Aspetta un attimo”.
Mael tagliò via parte della stoffa del suo zaino ormai vuoto e ne ricavò alcune larghe strisce, che avvolse intorno alle mie mani fissandole con delle strisce più strette.
“Non saranno granché, ma così non rischierai più di congelarti le mani”.
“Ti ringrazio”.
Fu sufficiente rompere la sottile lastra di ghiaccio che chiudeva l’entrata della grotta per far sì che una terribile ventata d’aria gelida la riempisse, cancellando ogni traccia del calore precedente. Uscimmo nella bufera ormai prossima ad attenuarsi, e riprendemmo la nostra corsa verso sud.


Seconda parte...

Col passare dei giorni le giornate iniziarono a farsi miti e soleggiate, man mano che ci allontanavamo dalle montagne, ma nessuno dei due aveva voglia di gioirne. La nostra meta era lontana al massimo un’altra settimana di cammino, ma eravamo stremati dalla fatica, e gli elfi oscuri erano decisi a renderci sempre più la vita difficile. Sembravano capaci di prevedere le nostre mosse, ogni volta riuscivano a tagliarci la strada e a farci prendere una via più lunga e faticosa. Il bel viso di Mael era rovinato da occhiaie scure, e io non avevo un aspetto tanto migliore. La situazione migliorò un poco quando lei riuscì a uccidere un cervo con le sue frecce, e finalmente dopo giorni potemmo mangiare carne a sazietà, benché fosse cruda. Prime di iniziare il pasto, Mael sfiorò il capo dell’animale ucciso e intonò una breve preghiera in elfico antico, di cui capì che chiedeva perdono alla natura per aver stroncato una vita innocente.
“Perché lo fai?” le chiesi.
“Uccidere è pur sempre un crimine, anche se è necessario. Gli animali sono innocenti, come i bambini, e non meritano un simile destino. Ecco perché non mangio carne né pesce, a meno che non ne vada della mia sopravvivenza, come ora”.
“E gli elfi?” la provocai. Lei mi guardò negli occhi, seria.
“Gli esseri pensanti, che siano elfi, umani o orchi, scelgono volontariamente di uccidere, anche se non ne va della loro sopravvivenza. Lo fanno senza pietà, né rispetto per gli esseri viventi che incontrano. Non meritano nessuna preghiera”.

Quello stesso pomeriggio facemmo un incontro del tutto inaspettato. Su un sentiero di animali viaggiavano due cacciatori di pelli, entrambi visibilmente di buon umore per il ritorno a casa dopo la stagione di caccia. Il primo conduceva un carro stracolmo di pelli di animali, il secondo lo seguiva cavalcando al suo fianco. Non uno, ma ben due cavalli da lavoro, forti e resistenti, tutti per noi. Un piccolo furto non avrebbe danneggiato più di tanto i cacciatori, che con tutto il loro bottino avrebbero potuto benissimo comprarsene almeno quattro, di cavalli.
“Tu occupati del cavaliere,” mi sussurrò Mael, “io penso al carro”.
Attesi che il cavaliere mi passasse accanto, poi saltai fuori dai cespugli e lo disarcionai senza fatica, e senza che il cacciatore potesse capire cosa lo stava attaccando. Mael fu molto meno furtiva, minacciando con l’arco teso il secondo cacciatore che intanto era sceso dal carro per correre in aiuto del suo compagno. In pochi colpi di lama tagliò le briglie del cavallo e vi salì in groppa, facendomi segno di seguirla, e spronai il cavallo al galoppo verso l’ombra sicura dei boschi. In poco tempo fummo abbastanza lontani dalla strada da poter rallentare, e mi affiancai alla mia compagna.
“Non ti credevo così irruente. Lo hai spaventato a morte”.
Lei rise. “Mai quanto hai fatto tu con quel poveretto, crederà di esser stato attaccato da un mostro”.
I cavalli ci avrebbero dato un grosso vantaggio sugli inseguitori, almeno finché non avessero trovato le tracce della nostra lotta coi cacciatori. Senza attendere oltre, galoppammo verso la salvezza.

La mia piccola amazzone cavalcava a pelo bene quanto me, che cavalcavo con la sella. In pochi giorni coprimmo quasi tutta la distanza che ci separava da Bellevue senza essere inseguiti, forti della speranza di salvezza. Ci accampammo in una radura per la notte, a poca distanza dal villaggio. Eravamo troppo stanchi per continuare, inoltre non sapevamo come i villani avrebbero reagito nel vedermi. Meglio essere in forze. Seduti tra le radici contorte di un albero, mi concessi il lusso di cingerle le spalle con un abbraccio. Lei si abbandonò tra le mie braccia, con gli occhi chiusi, e mormorò qualche parola di cui non capì il significato.
“Hisen mea de thules gele…”
“Come?”
“Non sai parlare l’elfico? Ho solo detto ‘non vedo l’ora di tornare a casa’. Dovrai imparare bene la mia lingua, per quando vivremo a Tyr-Hadar” disse sorridendo, ma io non riuscivo a condividere il suo entusiasmo.
“Vorresti davvero portarmi nella tua patria? Tra gli elfi silvani?”
“Certo. Cosa c’è di male?”
Il solo pensiero di vivere accanto a lei mi riempiva di gioia, ma ero certo che non sarebbe andato così.
“Mael, guardiamo in faccia la realtà. La tua gente è famosa per il suo ideale di conservazione. Credi davvero che permetterebbero l’unione di un membro della loro razza con un estraneo, o peggio un elfo oscuro?”
Non rispose, ma conosceva già la risposta. Con un po’ di fortuna, avrebbero cacciato me ed esiliato Mael. E costringerla a scegliere tra me e il suo popolo mi sembrava la cosa più crudele che potessi farle, lei amava la sua terra. Chi ero io per darle tanta sofferenza?
“Tenteremo comunque. Racconteremo la nostra storia agli Anziani, troveremo una soluzione. Non ho intenzione di perderti per una sciocchezza del genere. Abbi fiducia in me, Lau”.
Ancora non riuscivo a comprendere la vera portata dell’amore che lei riversava in me. Mi stordiva, come avrebbe fatto una medicina benefica, dandomi una piacevole sensazione di rilassatezza. Mi chiedevo cosa avessi fatto per meritare tanta devozione da qualcuno che conoscevo da così poco tempo, e da così poco tempo aveva completamente stravolto la mia vita. La strinsi forte, commosso.
“Grazie. Grazie, amore mio”.
Lei posò la testa sul mio collo come aveva già fatto nelle prigioni, e restammo così per lungo tempo, godendo del contatto fisico che così raramente potevamo permetterci. Si offrì di fare il primo turno di guardia, dandomi la possibilità di dormire per primo, poggiando la testa sulle sue gambe. Mi assopì cullato dalle sue carezze, totalmente abbandonato alle sue cure. Quando mi svegliò, qualche ora dopo, sembrava sul punto di crollare per il sonno che le avevo privato, e si addormentò all’istante tra le mie braccia. Montare la guardia era diventata per me un’abitudine, ma Mael non riusciva ancora a sopportarla, e ogni volta appariva distrutta. In compenso, la mattina dopo sarebbe stata in forze ben più di me.
La notte passò lenta e tranquilla, il silenzio rotto occasionalmente dai richiami di piccoli animali notturni. Poi il manto nero del cielo iniziò a sfumare verso il blu, e infine i primi raggi di sole si riversarono sulle foglie degli alberi, tingendo la radura con macchie d’oro. L’aria fresca profumava di verde, e i primi uccelli iniziarono il loro saluto al nuovo giorno con un canto armonioso, mentre una coppia di gufi si rifugiava nel loro nido in un tronco d’albero. Ripensai con disgusto alla freddezza di Zhurag-nar, che con tutta la sua grandezza non valeva neanche la metà di questa piccola radura con la sua semplice esistenza. Chiusi gli occhi, scaldato dal calore del corpo di Mael e dalla luce solare, godendo di quei brevi attimi di perfezione che mai avrei ritenuto possibili nella mia vecchia vita, ormai così lontana.

Un lieve rumore attirò la mia attenzione. Avrebbe potuto essere una volpe o qualche altro animale, ma rimasi comunque all’erta. Un movimento sospetto alla mia sinistra mi fece intendere che si trattava di qualcosa di più grosso. Erano più di uno. Svegliai Mael cercando di muovermi il meno possibile.
“Sta all’erta. Sono qui”.
Il sonno svanì in un attimo dal suo viso, rimpiazzato dall’agitazione. Come avevano fatto a trovarci? Eravamo certi di esserci lasciati alle spalle, abbastanza lontani da far perdere loro le nostre tracce. Mossi la mano verso la thal che avevo lasciato lì vicino, stringendone l’impugnatura. Anche i cavalli legati alle radici dell’albero avvertirono la presenza di un nemico e scalpitarono, nervosi.
“Al mio segnale corri verso gli alberi a destra”.
Lei annuì sommessamente, tesa quanto me, e si mosse quel tanto sufficiente da poter afferrare le cinghie della faretra con l’arco. Rimasi in ascolto, cercando di captare un suono specifico. Lo sentì, il rumore delle corde delle balestre tese.
“Ora!”
Scattammo in piedi nel momento stesso in cui un nugolo di dardi veniva scagliato non nella nostra direzione, ma verso i cavalli, che caddero a terra trafitti da numerosi dardi. Mezza dozzina di elfi oscuri si lanciarono all’inseguimento, brandendo spade e archi rubati chissà dove, seguiti dai lupi. Con nostro sommo orrore, scoprimmo che uno di loro, probabilmente il capo, avanzava cavalcando uno stallone nero che non ebbe difficoltà a raggiungerci. Ci sbarrò la strada, ridendo di gusto come un bambino che cattura una lucertola, e si lanciò all’attacco roteando la spada, che evitammo scartando di lato. Nell’evitare l’attacco afferrai una manciata di terra, che lanciai sul muso del cavallo facendolo imbizzarrire, e il suo cavaliere cadde penosamente a terra, imprecando. Prima che potesse alzarsi gli sferrai un calcio in pieno viso, stordendolo abbastanza da permetterci di scappare. Tallonati dai lupi, corremmo con tutte le nostre forze fino ad una collina sassosa che presentava una piccola apertura su un fianco, l’entrata di una grotta. Ci rifugiammo al suo interno, ansanti.
“Maledizione!” sbottò Mael “Per quanto ancora andrà avanti questa storia?”
“Senza i cavalli non riusciremo a raggiungere Bellevue senza essere raggiunti. Vogliono divertirsi fino all’ultimo, quei bastardi”.
All’esterno della piccola grotta, le grida concitate degli elfi si facevano sempre più vicine.
“Tappiamo loro la bocca”.
Mi sorprese una frase del genere detta da lei.
“Ormai sanno dove siamo e dove siamo diretti,” continuò. “a questo punto è inutile continuare a fuggire, prima o poi ci stanerebbero di nuovo o chiamerebbero rinforzi. Ma se li eliminiamo, faremo perdere completamente le nostre tracce”.
Aveva ragione. Non poteva che finire col sangue, in un modo o nell’altro. E l’idea di far pagare quei dannati per il viaggio poco piacevole che ci avevano costretti a intraprendere mi intrigava.
“La preda diventa cacciatore. Non aspettavo altro” sussurrai.
Gli oscuri pattugliavano la zona in nostra ricerca, ansiosi di trovarci. Non si aspettavano una reazione del genere, probabilmente ci credevano dei codardi, o semplicemente si credevano abbastanza abili da poterci tenere testa. Dopotutto non erano altro che giovani Elendiar, troppo sicuri di sé per accorgersi del pericolo che li minacciava. Non sapevano che una preda messa con le spalle al muro può rivelarsi pericolosa.
Uscimmo dalla grotta e aggirammo l’area per prenderli alle spalle. In tutto sei elfi e quattro lupi mannari. Dall’inizio della nostra fuga il loro numero era sensibilmente calato.
Il sangue mi ribolliva nelle vene. L’eccitazione della caccia, che non provavo da mesi, si fece strada nel mio corpo come un veleno, facendo di me un essere nato per combattere. Il mio cuore era ormai domato, ma non la mia indole, non il mio istinto. Desideravo questa battaglia, come un falco desidera di volare. Fremevo dalla voglia di lanciarmi nella mischia e distruggere qualunque ostacolo.
Mael tese l’arco, pronta a colpire, ansiosa quanto me di entrare in azione.

E’ ora.

Scattai in avanti, coprendo in pochi secondi la distanza che mi separava dal bersaglio più vicino. Prima che potesse accorgersi di essere attaccato, il primo Elendiar fu trafitto dalla mia thal alla schiena, urlando di sorpresa. Un lupo si avventò verso di me, ma il suo balzo fu interrotto da una freccia che lo colpì nell’orecchio. Il resto degli elfi accorse troppo tardi per veder morire il loro compagno. Quando mi riconobbero urlarono di rabbia e si avventarono contro di me, ma due di loro vennero trafitti dalle frecce tirate con mortale precisione da Mael. Il capo rimase indietro, osservando la scena dalla sella del suo cavallo. Respinsi uno dei due elfi rimasti e affondai la lama nelle carni di un lupo, prima di venire colpito di striscio al braccio destro dalla spada del secondo elfo, che mi fece cadere la thal. Indietreggiai di un passo, sulla difensiva, e i miei avversari parvero intravedere nel mio gesto un segno di resa, vedendomi disarmato. Poveri folli. Non sanno che finché avrò il mio corpo, io non sarò mai disarmato. Risi, della stessa risata che mi aveva rivolto il loro capo poco prima, la risata di uno che si sta divertendo. Evitando l’affondo di uno dei due mi avventai sull’altro, bloccandogli la mano che impugnava la spada e colpendolo allo sterno con un calcio, sentendo le costole rompersi. L’altro non potè reagire, perché un lampo dorato balenò tra me e lui, e Mael lo trafisse con la sua spada corta per poi respingere e uccidere un lupo mannaro. L’ultimo lupo rimasto, spaventato dalla nostra furia, indietreggiò guaendo verso il capo sperando di essere protetto, ma questo lo uccise con la spada, senza pietà.
“Stupido animale”.
Il capo avanzò lentamente tra i cadaveri dei suoi compagni, osservandoci come si osserva un animale raro. Aveva i tipici lineamenti degli elfi oscuri, tratti affilati e zigomi alti, e la pelle particolarmente scura. La guancia sinistra era ancora contusa per il calcio che gli avevo sferrato poco prima. I capelli argentei erano raccolti in una coda, e gli occhi rossicci, simili ai miei, pieni di ostilità. Recuperai la mia thal, e Mael ripose la spada per riprendere l’arco.
“Un gran bel calcio, quello di prima. Immagino che non ti ricordi di me, Laurelinad”.
Osservandolo meglio mi accorsi di riconoscere il suo viso.
“Shaliar? Ma che sorpresa. Ti credevo disperso”.
“Non sono mai stato disperso, sei tu ad essere andato via, quando ti hanno promosso al rango di Morgwath”.
“Dunque sei rimasto un Elendiar. Giustamente, i vermi continuano a strisciare anche da adulti”.
Sul suo viso si dipinse un’espressione di pura collera.
“Taci, traditore! Tu non sai cosa ho passato cercando di emulare le tue imprese! Mi hai fatto passare una vita d’inferno!”
“E la colpa sarebbe mia?” chiesi, con un’espressione di falsa comprensione sul viso. “E’ un peccato che tu non abbia mai avuto le capacità per salire di rango, ma non credo di poter perdere tempo a scusarmi” gli puntai contro la thal, “quindi scendi da quel cavallo e affrontami, così poteremo sistemare la questione”.
“Perché dovrei? Non ho intenzione di scendere allo stesso livello di uno che scappa di casa per andare dietro ad una sgualdrina silvana”.
Mael incoccò una freccia, furiosa, ma la fermai con un cenno della mano.
“Come vuoi. Sono proprio curioso di vedere come combatte un verme in groppa ad un cavallo”.
Shaliar urlò di rabbia e spronò il cavallo alla carica verso di me, che evitai scartando di lato. Lui girò il cavallo cercò di nuovo di travolgermi, ma stavolta invece di saltare mi spostai quel minimo sufficiente da farmelo passare accanto, e lo colpì alla gamba sinistra con la mia lama. Ringhiò furioso e roteò la spada sperando di colpirmi, ma parai il colpo e lo afferrai per il braccio, per poi tirarlo a terra con un tonfo. Gli permisi di alzarsi e di contrattaccare, bloccando facilmente ogni sua mossa, ma con mia sorpresa fintò così efficacemente da riuscire a colpirmi al fianco. La ferita era lieve, ma il bruciore fu forte come se mi fosse stato versato addosso dell’acido: la lama era avvelenata. Shaliar sorrise maligno, lasciandomi intendere che finora aveva solo giocato, e si lanciò nuovamente all’attacco, cercando di disorientarmi, ma non ci riuscì. Anch’io fino ad allora mi ero limitato a giocare. Lo respinsi con un ruggito e lo affrontai, brandendo la thal come se fosse stata un’estensione del mio braccio, ferendolo più volte e ricevendo a mia volta altre ferite brucianti. Mi mossi appena in tempo per evitare che mi tagliasse in due la testa, ma riuscì a infliggermi un graffio sull’occhio destro, dalla fronte a metà guancia. Urlai di dolore, sentendo il veleno che bruciava la carne e il sangue che mi accecava l’occhio, e Shaliar ne approfittò per colpirmi nuovamente alla spalla sinistra. Stavolta la lama entrò in profondità pur senza recidere alcun muscolo, e la fitta fu talmente forte che temetti di perdere i sensi, ma riuscì a respingerlo e ad allontanarlo da me. Sentivo il calore del sangue che scorreva lungo il mio corpo come un fiume in piena, ma invece di cadere indebolito mi risollevai, irato, e ricominciai una nuova danza di morte col mio avversario. Poi, bloccandogli la mano armata con la mai lama e ignorando il dolore alla spalla, lo colpì col palmo sinistro al mento con tanta forza da farlo sollevare da terra, e lo vidi ricadere urlante, cercando di bloccare il sangue che fuoriusciva dalla sua bocca a fiotti. Si era tagliato la lingua. Sarebbe morto di lì a poco, annegato nel suo stesso sangue. Cercò di rialzarsi, ma lo shock causato dalla violenta emorragia glielo impedì, costringendolo a strisciare per afferrarmi una caviglia. Mi liberai della sua lieve stretta con uno scatto e gli voltai le spalle, impietoso. In questo mondo non c’è spazio per i perdenti. Mael aveva osservato lo scontro pronta ad intervenire con le sue frecce, e fu sollevata nel vedere che era tutto finito. Ma prima che potessi dire qualcosa scorsi qualcosa che si muoveva alle sue spalle. L’elfo oscuro a cui avevo rotto le costole aveva recuperato la balestra di un suo compagno caduto, e stava puntando il dardo contro di lei.
“Mael! Atten…”
“Lau!”
Scoccò la sua freccia verso un bersaglio dietro di me: Shaliar si era in qualche modo rialzato e aveva cercato di ghermirmi alle spalle, la freccia lo colpì in piena fronte, uccidendolo sul colpo. Nello stesso istante, un urlo straziante. Vidi la scena come se il tempo fosse rallentato, il dardo lanciato dall’elfo morente che si conficcava nella spalla di Mael, il suo corpo che cadeva violentemente a terra, l’elfo oscuro che spirava.
“MAEL! NO!”
Le fui subito accanto, cercando di sostenerla. Il suo viso era contratto in una smorfia di dolore, mentre stringeva la spalla ferita. Il braccio sinistro ciondolava inerte dal suo corpo, forse la freccia ne aveva intaccato i muscoli. Sanguinava copiosamente.
“Stupida! Perché lo hai fatto? Avresti dovuto pensare a te stessa”
“Ma saresti stato colpito tu” disse, debolmente.
Iniziò a tremare, pur essendo imperlata di sudore. Guardando meglio, notai una sostanza nera che inumidiva il quadrello. Veleno! Imprecando, praticai un incisione con la thal ed estrassi il dardo, mentre lei urlava. Avevo allargato la ferita, ma questo impedì ad altro veleno di entrarle in circolo. La sollevai delicatamente tra le mie braccia.
“Mael, ascoltami, devi rimanere sveglia, non svenire! Resta sveglia.”
Lei annuì debolmente, tremante. Il cavallo di Shaliar era ancora lì che scalpitava nervosamente, e ne afferrai con forza le redini, costringendolo a calmarsi. Montai in sella stringendo Mael di fronte a me.
“Fatti forza, piccola. Devi dirmi che direzione devo prendere, non conosco questi boschi. Ti prego, fa uno sforzo. Hai bisogno di cure”.
Lei si guardò attorno confusa, come se non conoscesse la zona, sforzandosi per non perdere i sensi.
“A est della grotta… un … sentiero…”
La sua testa cadde all’indietro esanime, mentre lei crollava sconfitta dalla fatica. La chiamai, ma non rispose. Era svenuta. Spronai violentemente il cavallo al galoppo verso la collina dove avevamo trovato rifugio e da lì verso est, grato del fatto che la mia razza non avesse ancora perso la capacità di riconoscere istintivamente il nord. Giunsi sul sentiero intono a mezzo giorno, indeciso da quale direzione prendere. La strada si estendeva verso sud e verso nord-est, tagliando in due il bosco. Mi guardai attorno, esasperato, cercando qualcosa che mi aiutasse a capire in quale direzione avanzare per giungere a Bellevue. Guardando il cielo scorsi una vaga scia di fumo provenire da nord. Un forno, o forse un fabbro? Corsi in quella direzione, cercando di dare a Mael meno disagio possibile. Ci volle un’altra ora di viaggio per arrivare alle porte del villaggio, poco altro che un’ammasso di case e fattorie. La mia irruzione mise in allarme i cittadini e le guardie, che mi vennero in contro cercando di fermarmi. Erano confusi e spaventati, non avrebbero mai pensato di vedere un elfo oscuro con in braccio un elfo silvano esanime, entrambi ricoperti di sangue. Non sapendo cosa fare smontai da cavallo, urlando a squarciagola.
“Aiutatemi! Vi prego! E’ avvelenata, ha bisogno di cure! Vi prego!”
In altre circostanze avrei pensato che mai prima d’ora avrei rivolto certe parole ad un manipolo di umani, ma in quel momento non pensavo ad altro che a Mael. Qualunque cosa, purché non muoia. Le mie richieste d’aiuto però sembravano non trovare risposta dai villani spaventati, che preferivano tenermi a distanza. Poi la folla di divise, lasciando passare l’aggraziata figura di un serafino. Mi fece quasi impressione: una donna alta e muscolosa, con tatuaggi neri intorno agli occhi privi di pupilla, e lucenti ali metalliche sulle spalle. Avanzò verso di noi senza paura, mentre le guardie cittadine le cedevano il passo. Osservò attentamente Mael, che gemeva e ansimava tra le mia braccia, e la ferita ancora sanguinante sulla sua spalla.
“Cosa vi è successo?”
“Siamo stati attaccati. È stata colpita da una freccia avvelenata, è in queste condizioni da più di un’ora, ti scongiuro, devi aiutarla!”
Lei mi guardò con fare indagatore, cercando di sondare le mie intenzioni. Quando il suo sguardo si fece più duro temetti seriamente che ci avrebbe scacciati, ma una voce proveniente dalla folla mi fece cambiare idea.
“Maegalcarwen?”
Era un uomo di mezz’età, probabilmente un comandante, a giudicare dall’armatura. Si avvicinò, allarmato.
“E’ Maegalcarwen, mia signora, un ranger del re. Un elemento valido, ha scortato il re in persona, in passato”.
Il serafino ci fissò nuovamente, dubbioso. La sua diffidenza parve affievolirsi.
“Seguitemi al monastero. Verrete curati come meritate”.
Ci condusse verso un grande monastero, sulle rive di un fiume. Era gestito dalle Sorelle della Luce, un ordine monastico che ogni anno seleziona le donne in grado di divenire serafini. Il monastero era collegato ad un’ampia camerata adibita ad ospedale, dove mi fecero porre Mael su un letto dove avrebbe ricevuto le prime cure. Le Sorelle, vestite con sai candidi, si affaccendarono intorno al suo letto accertandosi delle sue condizioni. Io rimasi lì accanto, pregando per la sua salvezza. Mi sedetti su un letto vuoto di fronte al suo, osservando la scena con occhi sempre più appannati. Fu come se tutta la stanchezza accumulata durante il viaggio, più la debolezza delle ferite e del veleno, mi fosse caduta addosso come un macigno, schiacciandomi. Più che addormentarmi persi letteralmente i sensi, accasciandomi sul letto accompagnato dal pensiero di Mael. L’ultima cosa che vidi fu lo sguardo del serafino su di me.

Non so per quanto tempo dormì, ma il mio risveglio fu tutt’altro che piacevole. Mi sentivo la testa pesante, e la gola riarsa. Mi guardai attorno in cerca di qualcosa da bere, e vidi su un tavolo dall’altra parte della stanza su cui era stata lasciata una brocca probabilmente piena d’acqua. Persino alzarmi fu difficoltoso, l’occhio destro bendato mi disorientava, e una volta in piedi dovetti reggermi alla parete per non cadere in preda alle vertigini. L’acqua però era fresca, e bevendola capì cosa dovesse provare una pianta del deserto durante un temporale. Mi accorsi che mi era stata tolta l’armatura – che strana sensazione, dopo averla indossata per settimane – e le mie ferite erano state medicate e fasciate. Portavo solo i miei pantaloni neri che avevo indossato sotto i gambali dell’armatura. Immediatamente rivolsi la mia attenzione a Mael, ancora addormentata nel suo letto. La sua fronte era ancora calda, ma la crisi sembrava scongiurata, i suoi lineamenti sembravano distesi e finalmente rilassati, e il respiro regolare.

Non riesco a crederci. Siamo salvi. E’ finita.

Tornai al mio letto, rincuorato. Dopo tutta quella sofferenza, finalmente potevo riposare. Fuori era già notte, solo una sfumatura azzurrina del cielo e il calore del pavimento ricordavano che fino a poco tempo fa la luce solare doveva aver inondato la sala. Rimasi per qualche minuto completamente immobile sul ciglio del letto, con la mente come svuotata da ogni pensiero e la sola sensazione di sollievo nel cuore. Ce l’abbiamo fatta.
Ritornai bruscamente alla realtà quando avvertì nell’aria una vibrazione che negli anni avevo imparato a temere: magia. Mi voltai di scatto, pronto a innalzare su di me la Pak-Nakor, ma l’unica cosa che vidi fu un uomo seduto a gambe incrociate sul letto adiacente al mio, intento a rigirarsi tra le mani un globo di fumo luminescente. Troppo concentrato per accorgersi di me, l’uomo plasmò il fumo come fosse stato creta fino ad ottenere la sagoma di un piccolo drago, e muovendo le dita come farebbe un burattinaio coi fili, gli fece compiere vari movimenti estremamente realistici, dallo sbatter d’ali al muto ruggito. Soddisfatto, il mago dissolse il fumo agitando distrattamente la mano, e finalmente si accorse di me.
“Scusa amico, non avevo intenzione di spaventarti. Era solo un gioco per passare il tempo. Rilassati”.
Mi sedetti, per niente rilassato. Nessuna sacerdotessa, neanche la Matriarca avrebbe mai saputo eguagliare l’abilità di quell’uomo nel plasmare le energie del vento come aveva appena fatto. Era sicuramente un mago di Mystdale, l’enclave degli stregoni, patria del meglio e del peggio che la magia possa offrire.
“In ogni caso, finalmente ti sei svegliato. Credevamo che non ti saresti più rialzato, conciato com’eri”.
“Per quanto tempo ho dormito?”
“Due giorni. La tua amica ha rischiato grosso, eravamo quasi certi che sarebbe morta. Ringrazia il comandante Romata quando lo vedi, è stato lui a convincere Azarel a portarvi qui. Quella donna è troppo sospettosa per i miei gusti”.
Ricollegai i due nomi agli individui che ci avevano aiutati al nostro arrivo nel villaggio. Gli dovevo la vita mia e di Mael.
“Avete creato un gran putiferio col vostro arrivo, non capita tutti i giorni di vedere uno della tua razza in questa regione. Dovete averne passate di cotte e di crude, lì fuori”.
“Siamo fuggiti insieme da Zurag-nar”.
Il mago rimase a bocca aperta. “Siete fuggiti da quell’inferno? Ora capisco perché siete così malconci. Nessuno ha mai vissuto abbastanza a lungo da raccontare una storia del genere, spero di poterla sentire”.
“Magari un’altra volta”.
Non ero in vena di raccontare i particolari della nostra fuga, né tanto meno di raccontarli ad un perfetto sconosciuto. Inoltre non mi sono mai piaciuti, i maghi.
“Certo, non preoccuparti. Comunque, mi chiamo Jared. Tu?”
“Laurelinad”.
In quel momento entrarono nella sala un uomo dai capelli rossi accompagnato da una Sorella. Era alto e terribilmente muscoloso, dal portamento fiero e i lineamenti duri, ma in quel momento sembrava solo un bambinone sgridato dalla sua badante per una malefatta. La monaca sembrava abituata a riprenderlo, tanto era seccata, mentre lui si limitava a sorridere imbarazzato biascicando parole di scusa. Quando si sedette su un letto di fronte a noi e la Sorella se ne fu andata, Jared gli rivolse un sorriso divertito.
“Ti sei fatto prendere ancora, eh? Ce l’hai fatta almeno?”
L’uomo frugò in una tasca della sua veste, simile a quella indossata dai gladiatori nelle arene, e ne tirò fuori una grossa coscia di pollo con aria vittoriosa.
“Non ne potevo più della poltiglia che servono in mensa, ho bisogno di cibo vero. Avrei preferito del manzo, ma credo di potermi accontentare”.
“Dovresti imparare ad apprezzare ciò che ti viene offerto, invece di andare a rubare nelle cucine altrui” disse il mago, ridendo, “Comunque, ti presento Laurelinad. Lui è Kain”.
Mi salutò con un cenno di mano, mentre addentava la coscia di pollo.
“Bah! È freddo. Ti spiace, Jared?”
Si alzò, avvicinandosi ai nostri letti, e porse la carne al mago che scioccò le dita producendo una piccola fiamma fluttuante. L’odore della carne sul fuoco mi ricordò che stavo morendo di fame, tanto da solleticarmi l’idea di rubare la coscia di pollo, ma non ero in vena di litigare. Tuttavia il mio sguardo famelico non passò inosservato.
“Fammi indovinare: hai fame” mi chiese Kain.
“Che vuoi che siano due giorni di digiuno dopo un’aspra battaglia” risposi, ironico.
“In effetti anch’io mangerei volentieri” disse Jared, restituendo il pollo “andiamo in mensa?”
“Non contare su di me. Odio la zuppa di verdure. Me ne starò qui a riposare, ci vediamo dopo”.
“Ne mangerò abbondantemente anche per te. Tu vieni, vero?” mi chiese, mentre indossava una veste da mago rossa e marrone. Io annuì, faticando nuovamente per alzarmi. Percorremmo qualche metro, poi dovetti girarmi a guardare Mael, ancora profondamente addormentata. Sarebbe stata la prima volta, dopo settimane, che mi sarei allontanato da lei.
“Dai, non preoccuparti, starai via solo per un po’ di tempo, non te la ruberà nessuno” mi disse Jared. Vero, ma era comunque doloroso. Mi resi conto di quanto fossi legato a lei, in maniera ormai viscerale. Affrontando la morte fianco a fianco siamo diventati come un unico essere, uniti nel corpo e nell’anima, rendendo il nostro rapporto qualcosa di più del semplice amore. Mi è impossibile spiegarlo a parole. Ogni passo compiuto allontanandomi da lei fu come un pugnale conficcato nelle spalle.
La mensa era brulicante di gente. La grande sala era illuminata da un enorme camino acceso che rendeva l’aria tanto calda da essere quasi irrespirabile. Numerosi tavoli di legno erano disposti ordinatamente nella sala, pieni di persone intente a mangiare da tazze di legno. Le pareti erano spoglie, salvo qualche torcia e qualche piccolo arazzo raffigurante l’emblema del regno di Ancaria. Da quel che potei ascoltare stando in fila per avere del cibo, le conversazioni erano quasi tutte incentivate sulla condizione precaria della politica del regno, e di quanto fosse difficoltosa la campagna nel deserto del principe Valor, ma ero troppo preso dalla fame per preoccuparmene. Ci venne data una ciotola colma di zuppa, una pagnotta di pane nero e un boccale di birra, con cui ci sedemmo ad un tavolo vuoto. Nella minestra galleggiavano inermi un paio di rape, come tronchi marci in una palude, il pane era raffermo e la birra annacquata, ma il semplice fatto di essere cibo cotto me lo fece apparire come un pasto da re. Stavo per affondare il cucchiaio nella zuppa, quando una mano guantata colpì violentemente sul tavolo. Tre guardie di Bellevue troneggiavano su di noi, irose.
“Non mi piace che quelli come te mangino nella stessa stanza dove sto io” disse uno, minaccioso.
“Allora cambia stanza” risposi, neutro. Lui mi puntò contro un dito “Avrai ingannato Azarel, ma non riuscirai a farla franca anche con noi. Lo sappiamo che stai architettando qualcosa alle nostre spalle. Mi fai vomitare”.
Molti occhi si posarono su di noi, alcuni preoccupati, altri eccitati dall’idea di una rissa. Jared percepì il sentore di guai nell’aria.
“Avanti ragazzi, stiamo solo mangiando, non pianificando una guerra. Perché non vi sedete con noi, così chiacchieriamo?”
“Tu sta zitto, sottospecie di illusionista. Anche quelli come te mi fanno schifo. Pensate di essere tanto potenti solo perché sapete fare giochi di luce con le mani”.
Jared non parve contento di essere definito in quel modo. Poggiò il gomito sul tavolo e alzò il palmo della mano al cielo, dove minuscole saette danzarono crepitando tra le sue dita.
“Ci tieni tanto, a vedere qualche gioco di luce?”
Le guardie ci accerchiarono, pronte a combattere. Ma a me non interessava far rissa.
“Stasera non sono in vena di litigare. Ne parleremo un’altra volta, ora lasciateci mangiare”.
Ma prima che potessi assaggiare un sorso della ciotola, la guardia me la fece volare dalle mani, riversando il contenuto sul tavolo.
“È vero dunque che non hai fegato, lurido elfo. Ti credi tanto superiore solo perché hai fatto cadere quell’elfa ai tuoi piedi? Dev’essere anche lei una povera menomata, per starci con te”.
La fame, si sa, rende nervosi. E non potevo in alcun modo sopportare quegli insulti su Mael. Mi alza violentemente, subito imitato da Jared, mentre la sala si riempiva di grida concitate, ma prima che qualcuno potesse fare qualcosa un acuto rumore metallico riecheggiò acuto tra le pareti, reclamando il silenzio. Sulla soglia dell’entrata della mensa c’era Azarel, il serafino, che aveva violentemente colpito il pavimento con l’asta di un’alabarda d’argento. Si avvicinò al nostro tavolo, e le tre guardie si misero immediatamente sull’attenti. Non sarà stata un capitano, ma sembrava avere una forte autorità sulla milizia locale. A giudicare dalla sua espressione riconobbe le tre guardie, che intanto si erano fatte piccole e insignificanti, spaventate dall’arrivo del serafino.
“Date una pulita. E portateci altre ciotole di minestra” disse, sedendosi scompostamente al tavolo. Le guardie obbedirono senza dire una parola, asciugando il tavolo e servendoci tre scodelle di minestra, poi si dileguarono, non senza prima rivolgermi uno sguardo d’odio, che contraccambiai. Intanto nella sala era tornato tutto alla normalità. Azarel addentò con noncuranza un pezzo di pane.
“Teste calde. Fanno così con chiunque sia nuovo, non fateci caso. Sedetevi. Devo parlare con te” disse, indicandomi. Jared non sembrò preoccupato, anzi si sedette e cominciò a mangiare con entusiasmo. Lo imitai, mosso più che altro dalla fame, che finalmente saziai trangugiando la zuppa e divorando il pane fino all’ultima briciola. Una volta finito mi sentì in dovere di parlare.
“Devo ringraziarti per averci condotto qui. Temevo che saremmo stati abbandonati a noi stessi”.
“Inizialmente era quella la mia idea” disse, senza rancore né rimorso “ma ti sei trovato un’amica famosa. Serve questo regno da lungo tempo, e il suo nome è pronunciato con rispetto anche nella corte reale. Quanto a te, immagino non ti sorprenderà se ti chiedo di raccontarmi ogni cosa sul perché tu sia qui”.
Le raccontai della nostra fuga, tralasciando i particolari della nostra relazione. Non mi fidavo ancora abbastanza da dirle tutto. Jared ascoltò la mia storia con interesse crescente.
“Da Zhurag-nar a qui in sei settimane” mormorò lui, attonito. “siete stati incredibili. Non ci crederei, se non me l’avessi raccontato di persona”.
“Una grande impresa” continuò Azarel. “e tu hai fatto la scelta migliore. Non è mai successa una cosa del genere – un elfo oscuro desideroso di tornare alle sue origini silvane – e sono purtroppo certa che la tua sarà una strada in salita. Se i tuoi ideali sono sinceri, hai il mio rispetto”.
“Lo sono, assolutamente. Grazie per la fiducia”.
“Lei non si è ancora svegliata?”
“No, dorme ancora. A dir la verità sono un po’ preoccupato.”
“Non temere, sta reagendo bene alla cura, si riprenderà presto.”
Annuì, sollevato. Non vedevo l’ora di rivederla.
“Cosa farai, dopo essere uscito da qui?”
“A questa domanda ancora non so rispondere, dovrò affidarmi a Maegalcarwen per un consiglio. Sono libero, ma non so da dove cominciare per rifarmi una vita”.
“In questo caso ne riparleremo quando si sarà ripresa. Puoi riposare quanto vuoi, nessun’altro ti darà fastidio, te lo garantisco io. Ora vogliate scusarmi”.
Prese la sua alabarda e uscì dalla sala, salutandoci cordialmente. Impossibile capire le sue intenzioni.
Tornammo ai nostri letti, dove finalmente potei rivedere la mia dama dormiente. Le scostai una ciocca di capelli dal viso, sentendo la sua pelle calda. Sperando di darle un minimo di conforto, le inumidì le labbra con l’acqua fresca e le posai un panno umido sulla fronte. Tornando al mio letto notai che Jared stava sorridendo.
“Che c’è?”
“Niente. Vi invidio un pò”.
Immagino che solo un cieco non si sarebbe accorto dei miei sentimenti. Non mi andava di affrontare altre seccature che si sarebbero ripercosse su di lei. Ero visibilmente turbato.
“Lasciamo stare. Questo mio comportamento potrebbe solo recarle danno. Ti prego di non farne parola con nessuno”.
“Solo un chiarimento: vi amate sul serio?”
“… sì”.
“Allora non c’è bisogno di tanta riservatezza. Lei non mi sembra il tipo da nascondere certe cose, gli elfi silvani sono sempre schietti e sinceri. Segui il suo esempio, starete entrambi meglio, e se ci sarà qualche difficoltà la affronterete insieme” detto questo si infilò sotto le coperte.
Forse aveva ragione. Nascondermi mi avrebbe fatto apparire colpevole, inoltre era vero che Mael si sarebbe arrabbiata con me per un comportamento tanto codardo. Dovevo pur essere degno di essere il suo compagno. Mi addormentai tranquillamente, col viso rivolto verso di lei.

Quando mi svegliai l’infermeria era inondata dalla luce del sole, che mi accecò coi suoi raggi. Cercai di stropicciarmi gli occhi, ma un’acuta fitta di dolore mi ricordò della medicazione sulla parte destra del mio viso. Ho sempre odiato i bendaggi, specie se in faccia, e sulla spalla erano talmente strette da darmi prurito. Mi alzai in cerca di acqua, ma fui fermato dai gemiti soffocati di Mael, che intanto aveva iniziato a svegliarsi. Le fui immediatamente accanto, felice di poter nuovamente sentire la sua voce. Lei aprì faticosamente gli occhi e si guardò attorno, intontita, prima di soffermarsi su di me.
“Ciao” mi disse, con un filo di voce.
“Ciao, piccola. Come ti senti?”
“Mai stata meglio. Dove ci troviamo?”
“Nel monastero di Bellevue. Siamo al sicuro”.
Sorrise debolmente e mi accarezzò il viso col braccio sano, sfiorando i bordi delle fasce. Cercò di alzarsi ma fece una smorfia di dolore quando cercò di far leva sul braccio sinistro, e mi permise di aiutarla. Quando mi chiese dell’acqua dovetti andare fino alla mensa, dove trovai Kain e Jared intenti a discutere su chi meritasse di mangiare una pagnotta posata al centro di un tavolo, che con molto garbo raccolsi ringraziando i due attoniti contendenti, e tornai in infermeria portando una caraffa piena d’acqua fresca.
“Dunque, è stato grazie a Romata che ci siamo salvati” disse addentando il pane, dopo che ebbi raccontato cosa era successo mentre era incosciente. “Quel vecchietto è troppo gentile per essere un comandante. Non vedo l’ora di salutarlo. Serve re Aarnum da anni, sai? Lo conosco da tempo”.
“Non mi avevi detto di essere tanto conosciuta nell’esercito valoriano. Se l’avessi saputo avrei subito fatto appello al tuo nome”
“Hai ragione. Pensavo di potermi presentare di persona, ma questa ferita me l’ha impedito. Dannazione, fa ancora malissimo.”
“Guarirai presto, sei di tempra forte. Non credo che un’altra sarebbe sopravvissuta ad un colpo così duro.”
“Grazie. E tu, come stai?”
“Mai stato meglio” le dissi, facendole il verso. Lei sorrise e mi strinse dolcemente la mano, guardando le fasce avvolte intorno alla mia testa.
“Appena mi sarò ripresa ti guarirò io.”
“No, piccola, devi pensare prima a te. Se lasci guarire normalmente quella ferita alla spalla, di certo non potrai più tirare con l’arco, né combattere. E fammi indovinare, la cosa non ti farebbe piacere.”
“Bè, direi di no. Per come sono cresciuta, l’invalidità sarebbe per me inaccettabile. Forse è triste o semplicemente stupido, ma… non credo di poter vivere, al di fuori di una battaglia.”
“Non è stupido” dissi, allungando la mano verso il suo viso. “è la tua natura. La nostra natura. L’avevo già capito quando abbiamo combattuto insieme, quando ho visto quel lampo di luce nei tuoi occhi. Anche tu desideravi combattere. Siamo più simili di quanto credessi, io e te.”
Mi curvai verso di lei e le baciai le labbra, stando attento a non toccare le sue medicazioni. La sua bocca sapeva ancora di pane… che dolce. Fu solo un lieve contatto, ma tanto caloroso da farla arrossire.
“Ma per fortuna questo nostro lato non cancella la nostra capacità di amare qualcun altro.”
Restammo insieme tutta la mattina, fin quando non giunse alle nostre orecchie un trambusto proveniente da fuori, dall’entrata principale della chiesa. Mi affacciai alla finestra della sala per vedere cosa stesse succedendo, e scorsi un giovane Sorella dagli abiti sporchi di fango, accompagnata da una donna vestita con una tuta di pelle nera. Molte altre Sorelle le stavano intorno, abbracciando la loro compagna e lanciando urla di gioia e ringraziando la strana donna, che rispondeva con tiepidi sorrisi. I suoi lunghi capelli avevano una tinta innaturale, di un bianco candido e lucido. Portava al fianco una lunga spada di strana fattura e dall’aria antica, con intarsi vermigli. Aveva un’aria austera ed impaziente, come se avesse meglio da fare che stare ad ascoltare le moine delle monache, ma comunque controllata ed educata. Non pareva tanto contenta di essere al centro dell’attenzione di così tante persone. Il vociare terminò solo quando le due donne vennero condotte all’interno dell’edificio, dove poterono lavarsi e rifocillarsi. Incredibile come quel posto attirasse la gente strana.
La Sorella giunta con la donna in nero venne condotta nell’ospedale per curare una lieve ferita al braccio. Per nostra sfortuna il suo posto era a soli due letti di distanza dai nostri, e lei parlava a voce talmente alta che fummo costretti ad ascoltare tutta la sua storia mentre veniva medicata.
“… e così sono riuscita a fuggire, ma è stata proprio dura, quell’uomo era un vero fanatico, tutto vestito di nero e con una faccia da maniaco! Non ci crederai, ma voleva sacrificarmi a un qualche demone! Comunque ho corso con tutte le mie forze, e dove credevi che sarei andata a finire? Nella villa abbandonata nel bosco a est, quella che si dice sia la dimora di un vampiro, ma io di vampiri non ne ho visto nemmeno l’ombra, ho trovato solo la signorina Freya, anche se in effetti non so proprio cosa ci facesse in un posto simile, e così le ho chiesto di scortarmi fino a qui, dunque ci siamo incamminate, e in chi credi che dovevamo incappare? Nel maniaco! Ho avuto una paura che non ti dico, ma Freya ha sguainato la spada e ha combattuto come un leone, e non si è nemmeno ferita, io invece mi sono presa una bella botta qui sul braccio, accidenti, però ce l’abbiamo fatta e abbiamo corso fin qui, poi… “
Mael intanto sembrava non aver mai desiderato così tanto di strangolare una persona a mani nude. Quella ragazza era insopportabile. Il sermone continuò per almeno un’ora, dopodichè finalmente venne riaccompagnata nella sala delle preghiere.
“Sia lodata la Grande Madre!” sospirò Mael. “non avevo mai desiderato di essere sorda in vita mia. Né vorrei essere nei panni di questa povera Freya, quella ragazza non la lascerà in pace un attimo”. Stavo per rispondere, quando nella sala entrò a grandi passi l’imponente figura di Kain.
“Ah, Laurelinad, ti stavo cercando.” Quando notò Mael fece un goffa riverenza. “Salute, signorina. Sono lieto di vederla sveglia”.
“La ringrazio”.
“Comunque, oggi andiamo tutti a pranzare in una locanda giù in città, Jared è già andato avanti. Può venire anche lei, se se la sente.”
“In locanda?” chiesi. “purtroppo non abbiamo un soldo con noi.”
“Tanto meglio” ridacchiò lui. “offre il comandante Romata”.

Si chiamava “La locanda del Serafino Danzante”, ed era forse l’edificio più ampio del paese, dopo l’abbazia e la caserma. Peccato che di tanto aggraziato avesse solo il nome, non era altro che un buco dalla muratura scrostata e il soffitto annerito dal fumo, ma l’odore che giungeva dalle cucine era delizioso. Romata era seduto ad un tavolo sotto la finestra, con lui c’erano Azarel, Jared e Freya. Dopo esserci scambiati saluti e convenevoli, il comandante ci invitò a sederci e ci offrì un piatto di patate e cipolle.
“Mi spiace di non potervi offrire di più, ma questo periodo dell’anno è piuttosto povero di frutti”.
L’armatura di ferro che indossava era ricoperta da una ragnatela di graffi e ammaccature, a lasciar presagire le battaglie da lui affrontate. Posò l’elmo sul tavolo, scompigliandosi i pochi capelli grigi rimasti sulla sua testa.
“Devo ammettere che tutti voi siete giunti in circostanze assai strane. Sembra quasi che vi siate messi d’accordo su chi dovesse fare l’entrata più teatrale a Bellevue!” Romata ridacchiò. “C’è chi sceglie questa zona come scenario del suo esame finale per la laurea di stregoneria,” disse, rivolgendo lo sguardo a Jared. “e che invece giunge quaggiù dopo un lungo viaggio o una precipitosa fuga” terminò, guardando prima Azarel e Freya, poi Kain, me e Mael.
“In ogni caso, volenti o nolenti, avete dato prova di un grande valore, oltre a un forte senso dell’onore. La ragione per cui vi ho riuniti tutti qui è che abbiamo bisogno di forze da inviare nel deserto per combattere al fianco di Valor, e come ho già detto voi sembrate ciò di cui ha maggior bisogno il nostro principe. Sarete pagati, ovviamente, e godrete di ogni privilegio concesso ai membri del nostro esercito. Cosa ne pensate?”
Ci guardammo un po’ disorientati, per la schiettezza della domanda. La prima a rispondere fu Mael.
“Io faccio già parte dell’esercito, eseguirò con dovere qualunque ordine mi diate, Comandante”.
“Non avevo dubbi al riguardo, Maegalcarwen. La tua mancanza si sarebbe altrimenti fatta sentire, tra le fila di Valor. Voi?”
Freya si accomodò maggiormente sulla sedia, bevendo da un boccale di creta. “Conosco personalmente Valor, e sono pronta a dare il mio aiuto. Sono certa che gradirà il mio intervento, come lo gradì a suo tempo il re Aarnum. Conti su di me.”
Kain e Azarel assentirono senza troppi indugi, non avendo altre occupazioni, e Jared riflettè sulla possibilità di approfondire i suoi studi magici direttamente in vere battaglie, e acconsentì. Quando Romata si rivolse a me, lo fece con considerazione.
“Ho saputo delle tue vicende, Laurelinad, e sappi che siamo disposti ad accettarti nel nostro esercito. Un elemento come te ci sarebbe indispensabile nelle regioni del nord. Che mi dici?”
“La ringrazio, ma declino l’offerta.”
Con questa mia risposta provocai la sorpresa di Romata, e lo sgomento di Mael. “Perché?” mi chiese. “Credevo volessi accettare!”
“Non ho mai detto questo,” dissi, risoluto. “non ho intenzione di servire nessuno, meno che mai un regno di cui non me ne importa niente. Tutto qui.”
“Ma avresti almeno un punto di riferimento, un punto di partenza, chiamalo come vuoi, non è detto che servirai il principe per sempre. Quando la guerra sarà finita avrai abbastanza denaro da farti una vita a tuo piacimento, potresti…”
“Mael” la interruppi. “ho detto di no. Non sarò mai più lo schiavo di nessuno”.
Fece una smorfia di rabbia e si alzò violentemente, ignorando le fitte al braccio, e uscì prepotentemente dalla locanda. La seguì con lo sguardo, sbigottito dalla sua reazione, ma non mi alzai per fermarla. Ammiravo la sua devozione, ma non per questo mi sarei invischiato in problemi che non mi riguardavano, il principe poteva anche venir divorato dai goblin, per quanto mi riguardava. Una lieve gomitata di Jared mi fece girare verso di lui.
“E allora? Non lasciarla andare così, dannazione”.
“Può offendersi quanto vuole, non cambierò idea”.
“Non si tratta di quello, testa di legno, non ti parlerà mai più se chiudete in questo modo la questione! La vuoi forse perdere? Credi che vi rivedrete se lei decide di partire?”.
Il mio stomaco si strinse in un nodo. Sapevo che prima o poi saremmo arrivati ad un punto simile. Mi alzai, frustrato, salutando a malapena il Comandante, e tornai al monastero. Ero arrabbiato con me stesso per aver ferito Mael, ma lo ero anche con Mael stessa, che si era rifiutata di mettersi nei miei panni. Il patriottismo non serve a niente, se crepi solo come un cane durante una battaglia. Aveva visto com’era Zhurag-nar, sapeva cosa avevo patito a causa della tirannia delle sacerdotesse, allora perché non ha pensato che avrei potuto non gradire l’entrata a far parte di un esercito? Sapevo di essere nato per combattere, ma anche per essere libero. Le regole militari mi davano il voltastomaco, mi sarei per sempre rifiutato di seguirle per piacere di un paio di sergenti col pallino della disciplina. Non ero – o, per meglio dire – non ero più tipo da sottomettersi a qualcuno. Perché non ha pensato a questo?

Si rifiutò di parlarmi per parecchi giorni. Guarì senza difficoltà la sua ferita con un incantesimo, e guarì anche me, anche se indirettamente. Preparò diversi unguenti incantati con la magia della luna che donò al monastero, e che finirono per lenire anche le mie ferite. Purtroppo il taglio sul mio viso si era già cicatrizzato lasciando un segno indelebile, come se una lacrima avesse lasciato un solco lungo la mia guancia. Non che me ne importasse qualcosa, in fondo. Avrei dovuto reputarmi fortunato, qualche millimetro più in profondità e la spada da Shaliar mi avrebbe tagliato in due l’occhio, se non tutto il cranio, ma in quel momento non pensavo a questo. Dovevo trovare un modo per chiarire con Mael al più presto, ma lei riusciva sempre ad eludermi aiutando le monache nella mensa, o nel giardino di piante officinali, o in qualunque altro modo. Riusciva a farmi sentire un verme anche senza dirmi niente.
Non ebbi il tempo di rimuginare troppo, che si diffuse una certa agitazione nel monastero. Molte religiose avevano un’aria ansiosa e preoccupata, e parlottavano tra loro con fare inquieto. Sembrava che l’uomo reo del rapimento di una delle sorelle non fosse solo in questa regione, e che un’altra giovane adepta fosse stata rapita. Purtroppo le poche guardie reali a disposizione erano già impegnate in altre faccende, e temevo di sapere a chi si sarebbero rivolti per risolvere la situazione. Romata non tardò a farsi avanti per chiedermi di unirmi alla squadra di recupero, nella quale ci sarebbe stata anche Mael. Una buona occasione per poterle parlare, oltre ad un certo introito di monete d’oro. Questa volta accettai senza troppe esitazioni.
C’era una piccola grotta lungo il fiume, nascosta da un’alta scogliera, ed era qui che probabilmente si trovava il nascondiglio dei fuorilegge. Fu deciso che io, Mael, Jared e gli altri saremmo andati a scovarli a notte fonda, quando i delinquenti sarebbero stati tutti rintanati all’interno. Lo scopo non era solo quello di salvare la Sorella, ma anche di capire chi ci fosse dietro tutto questo e sistemarlo nel modo più adeguato. Il che poteva significare solo farlo fuori.
Ci incontrammo al tramonto lungo la riva opposta del fiume, che avremmo guadato con delle canoe riparati dal buio e dallo sciabordio dell’acqua. Eravamo nascosti alla vista delle sentinelle da un ammasso di tronchi caduti e carcasse di piccole barche da pesca, dietro le quali ci accampammo in attesa della notte. Ancora una volta, Mael mi trattò come un perfetto sconosciuto, creando tra noi un’aria estremamente tesa, abbastanza da farla notare anche agli altri. Cercai almeno di sedermi accanto a lei, ma tenne il viso voltato per tutto il tempo. Ancora oggi posso dire non aver mai conosciuto una persona più cocciuta della mia ranger.
“Niente luna, stanotte, con queste nuvole” rifletté ad alta voce Kain. “Una serata perfetta per un agguato. E pensare che una cosa del genere non mi sarebbe mai successa, se fossi rimasto all’arena”.
“Quale arena?” chiesi. Forse facendo un po’ di conversazione mi sarei rilassato.
“C’è un enorme anfiteatro alla periferia di Bellevue, dove fino a poco tempo fa si tenevano degli incontri per il divertimento del pubblico. Io ero l’attrazione principale. Ne esistono solo altre due in tutta Ancaria, e ora questa è stata chiusa.”
“Allora hai perso il lavoro. Peccato.”
“Non l’ho proprio perso, il lavoro, è solo che se ti viene puntata una spada alla gola ti devi difendere. Quello che una volta era il mio mentore cercò di liberarsi di me,” disse, sospirando “ho semplicemente agito per autodifesa, e ho creato abbastanza scompiglio da far chiudere l’arena. Poi sono arrivato al monastero, ed eccomi qui, a dar la caccia ad un paio di banditi, in attesa di diventare un soldato vero e proprio.”
La cosa sembrava piacergli parecchio. In ogni caso, uno come lui potrebbe sul serio far parlare di sé in qualunque ambito battagliero.
La conversazione tra lui, il serafino e il mago si spostò su argomenti al di fuori del mio interesse, e rimasi in silenzio. Mael sembrava rinchiusa nei suoi pensieri, del tutto estraniata dal resto del gruppo. Mi avvicinai un po’ di più, cercando però di sembrare il meno invasivo possibile, e attirai la sua attenzione toccandole lievemente il braccio.
“Come stai?”
“Bene.” rispose, sperando di chiudere lì la chiacchierata.
“Senti… Non volevo farti arrabbiare quel giorno. Forse non mi hai capito, volevo dire che non mi va di sottostare all’autorità di qualcun altro per raggiungere le mie mete, non che non volessi stare con te. Lo capisci, vero?”
Mael si girò verso di me dopo tanto tempo, ma lo fece con una tale freddezza che quasi mi spaventò.
“Dunque dovrei essere io a dover comprendere te? Sei un idiota, Laurelinad.”
Il sentirmi attaccato in quel modo quasi mi fece perdere la testa. Come poteva trattarmi in quel modo?
“Allora spiegamelo tu! Spiegami perché tutta questa diffidenza nei miei confronti, dopo tutto quello che ho fatto per te! Allora? Dov’è che ho sbagliato? Dov’è che hai sbagliato tu?”
Forse alzai troppo la voce, perché gli altri smisero di parlare e ci fissarono incuriositi. Incollerita, lei fece per dire qualcosa, ma cambiò idea e girò con noncuranza la testa dall’altra parte, esattamente come prima, stringendo nervosamente i pugni. Incapace di sopportare la situazione, mi alzai violentemente.
“Faccio il primo turno di guardia” dissi, pur sapendo che la zona era abbastanza tranquilla da poter trascurare la ronda. Mi diressi verso la macchia d’alberi poco distante, senza guardare indietro. Una volta scomparso dalla vista del gruppo, sferrai un pugno contro il tronco di un albero, imprecando a voce alta.

È questo che vuoi? L’indifferenza? Indifferenza anche di fronte a sincere parole di scusa? E indifferenza sia! Che vada all’inferno la tua convinzione di aver sempre ragione e la tua fermezza fuori luogo! Ti credevo più conciliante, credevo fossi dalla mia parte, ma è bastato un solo contrasto a rendermi un ignobile ai tuoi occhi! Parlami, dannazione.

Respirai a fondo, cercando di far scemare la rabbia. Alterarsi in questo modo non mi avrebbe certo aiutato a risolvere la situazione, né avrebbe in qualche modo smosso lei. Camminai un po’ alla cieca tra gli alberi dove avevo imparato a sentirmi al sicuro, sfiorando le nocche sbucciate e ripensando all’occhiata gelida di Mael, più dolorosa di qualunque tortura.
E quasi andai a sbattere contro il lupo.
Balzammo entrambi indietro quando ce ne rendemmo conto. Immediatamente la mia mano corse alla cintura per impugnare la thal, ma con tutta la rabbia con cui mi ero allontanato dal campo l’avevo dimenticata. Schioccando la lingua e maledicendomi per la mia imprudenza, riportai gli occhi sull’animale. Era un esemplare di dimensioni mostruose, e col pelo ritto sembrava ancor più grande. Con una certa dose di orrore notai le cicatrici sul capo e sul dorso, punizioni inflitte dalle fruste dei domatori. Un altro mannaro? Prese a girarmi intorno, facendo schioccare le mascelle irte di zanne, confermando i miei sospetti. Un semplice lupo sarebbe fuggito. Di solito però i mannari venivano marchiati a fuoco sul capo o sui fianchi, per renderne riconoscibile l’appartenenza a una famiglia di elfi oscuri, e questo non ne aveva. Non era neanche tra gli esemplari che ci avevano dato la caccia, da dove era venuto? Prima che potessi chiamare aiuto scattò in avanti puntando alle mie caviglie, ma lo respinsi calciandolo di lato, sul muso. Rimasi per una frazione di secondo in equilibrio precario su una gamba sola, e il lupo riuscì a riprendersi abbastanza in fretta da approfittarne e gettarsi con tutto il suo peso contro di me, facendomi cadere. Non potei far altro che tentare di alzare in tempo le braccia per riparare la gola e il viso dalle zanne che stavano per abbattersi su di me… quando una forma scura si abbattè sul mannaro, trascinandolo via. Un altro lupo? Mi alzai di scatto per osservare la scena, le due creature lottavano ferocemente alzando nuvole di polvere, finchè la nuova arrivata non riuscì a bloccare il lupo a terra, artigliandolo. E affondò i denti nella sua gola scoperta. Il mannaro si dimenò per qualche secondo ancora prima di afflosciarsi tra le braccia della morte, con un osceno suono di risucchio nell’aria. Quando la creatura alzò la testa dal suo lugubre pasto, un brivido gelido di paura risalì lungo la mia schiena. Freya.
Si rimise in piedi lentamente, col sangue del lupo che ancora colava dalle sue fauci verso la gola e il seno, ma lei non sembrava preoccuparsene, anzi, sembrava goderne. Quando si voltò verso di me potei vedere, senza ombra di dubbio, che i suoi capelli avevano cambiato colore. Il bianco innaturale aveva lasciato posto ad un ancor più anormale color ebano, ancor più oscuro della notte ormai giunta. Anche i lineamenti parevano cambiati, più infossati e marcati, come quelli di un essere straziato dalla fame. Quando sorrise, mostrando i denti rossi di sangue e i lunghi canini, la morsa di paura si fece più stretta…
“… un vampiro…”
Cercai freneticamente una via di fuga tra gli alberi, pronto a correre via con tutte le mie forze, ma lei alzò una mano con aria paziente.
“Calmati… Laurelinad, giusto? È tutto sotto controllo. E non ti mangerò, se è quello che temi.”
Ridacchiò derisoria davanti alla mia paura. Respirai un po’ più agevolmente, ma rimasi teso e pronto a scattare via al primo segnale di pericolo. Un vampiro, per la misera! Un immortale! Anche armato di tutto punto non avrei potuto fare granchè contro un simile mostro.
“M-ma tu…” balbettai. “la luce, non ti ha bruciato. Che cosa sei?” cercai di chiederle. La paura che provavo per quell’essere era qualcosa di viscerale, istintivo, la stessa paura che prova una lepre per una volpe. Lei posò le mani munite di artigli sui fianchi, e si imbronciò.
“Così mi offendi, elfo oscuro. Sono una persona esattamente come te. Mi nutro di sangue e calpesto queste terre da almeno un millennio, va bene, ma questo mi rende forse diversa?” Ironizzò lei. “Sì, mio caro, sono un vampiro e se non ti dilanio così, su due piedi, lo devi a quelli come Azarel. È grazie a loro se di giorno non divento cenere. Quindi rilassati e smettila di guardarmi con quella faccia da idiota.” Disse, facendo un gesto di stizza con la mano.
Il suo cambiamento d’umore mi parve piuttosto consono ad una creatura simile. Mentre cercavo di apparire un po’ più controllato, lei si piegò per osservare la bestia morta ai suoi piedi.
“Dì un po’… non è che sai qualcosa su come questo lupo mannaro sia giunto qui?”
“Sai di cosa si tratta?” chiesi, alquanto incuriosito.
“Ma certo. Anime di schiavi e paesani strappate ai loro corpi e impiantate forzatamente all’interno di un corpo di lupo. Anche l’anima di un santo uscirebbe depravata e corrotta da un trattamento simile. Le abilità delle vostre sacerdotesse a volte mi sorprendono.”
Se era vero che Freya viveva da mille anni come sosteneva, allora non avrebbe dovuto sorprendermi una tale conoscenza in fatto di magia. Con tutta probabilità li aveva visti nascere, gli elfi oscuri. Mi avvicinai a disagio, osservando il lupo senza mai perdere d’occhio lei.
“Che sia un mannaro non ci sono dubbi. Ma non ha alcun marchio di riconoscimento, quindi non posso risalire all’allevamento dove è stato creato e addestrato.” Mi strinsi nelle spalle. “Non si spingono mai oltre la valle di Zhurag-Nar. Qualcuno deve averlo portato fin qui, non può essere giunto in questo luogo da solo. Io non ne so niente.” Precisai, quando lo sguardo della vampiressa si fece più duro. Sbuffò pensierosa, e si deterse il mento col dorso della mano, trascinando via un po’ di sangue, e si incamminò in direzione del fiume. Prima di sparire tra le ombre si girò verso di me un’ultima volta.
“Per adesso non pensiamoci, ogni nodo verrà al pettine, a tempo debito. E per quanto riguarda me puoi stare tranquillo, Romata e Azarel lo sanno.” Il suo sguardo si fece malizioso, ai miei occhi apparve orrendo. “Ma non dire a nessuno quello che ti ho detto sui serafini. Sarà il nostro piccolo segreto…” e sparì nelle tenebre.
Finalmente ritrovai la forza di respirare. Quella donna era un mostro ancor peggiore delle sacerdotesse degli oscuri, qualcosa di ancor più deviato, contro natura. Un non-morto. Il fatto di doverla rivedere accanto agli altri mi disgustava… Dimenticando il cadavere del mannaro, tornai di corsa all’accampamento in riva al fiume, dove gli altri si stavano preparando a fare irruzione del covo dei banditi.
Kain e Azarel stavano soppesando le loro armi, rispettivamente una voluminosa ascia e una spada, e Mael aveva appena incordato l’arco corto che le avevano prestato le guardie cittadine; nel vedermi arrivare con tanta fretta si allarmò non poco.
“Cos’è successo?” chiese.
In un’altra situazione mi avrebbe fatto piacere vederla tanto preoccupata nei miei confronti, ma la scoperta fatta pochi minuti prima non me ne diede la possibilità.
“Quella donna, Freya, è una vampiressa! Lo sapevi?”
La sua espressione confusa non durò a lungo, perché Azarel richiamò tutti a in adunata con fare frettoloso. Proprio in quel momento giunse la non-morta, con le vesti umide dell’acqua che doveva aver usato per lavarsi di dosso il sangue del lupo. Le sue sembianze non erano cambiate. Jared e Kain si rivolsero uno sguardo perplesso, nemmeno loro avevano mai visto Freya sotto una tale luce. Lei avanzò come se nulla fosse, andando a recuperare la lunga spada che aveva lasciato al campo, assicurandola alla cintura. Azarel sbuffò, scuotendo la testa come se fosse seccata dai modi e dalla presenza della vampiressa, e fece cenno di avvicinarci per spiegarci il piano, piuttosto semplice in realtà. Non avremmo dovuto far altro che fare irruzione e sgominare i fuorilegge, stimati intorno alla decina, per poi occuparci del cultista.
 
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Knira
CAT_IMG Posted on 10/1/2010, 20:57




Bellissimo. La trama è fantastica!!! Io adoro le love story :wub: :dogcute: !!!! Anche lo stile di scrittura è molto bello!!!! Amo quando i narratori non sono onniscienti!!!1
 
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yaya3
CAT_IMG Posted on 9/11/2015, 17:10




Dai ma la fine è bruttissima..Secondo me dovresti fare che Mae e Laur alla fine fanno "Pace" perché Laur le fa un regalo o qualcosa del genere poi scrivi altre cose,salvano la novizia nella grotta e Laur trova una runa e impara una nuova mossa con la quale salva maegslkarwen ,si baciano e scrivi altre cose come magare Romata che manda una lettera a Laur portandolobin una missione segreta e scopre che deve uccidere sua sorella perché e poi fai te.. Rendi la storia più avvincente e alla fine fai che il mondo si calma o se hai tempo di che shaddar ha creato Sakkara e Laur deve salvare il mondo e che Mae deve tornare a Tyr-hadar .

Comunque bella storia . Complimenti. E sempre forza l elfo oscuro
 
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2 replies since 15/5/2009, 14:21   165 views
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